Costruire scuole per le nuove generazioni

Nuovi ambienti di apprendimento per nuove opportunità I giovani, da tempo, ci chiedono di impegnarci di più per salvare il nostro pianeta: iniziare dalle scuole sarebbe non solo molto utile, ma avrebbe anche un altissimo valore simbolico. In tempi bui come quelli che stiamo vivendo sentiamo, a maggior ragione, la responsabilità di dover lavorare per lasciare a tutti un futuro migliore.

Matteo Loria

Presidente per la Lombardia dell'Associazione Nazionale Presidi 
Lo spazio scolastico, inteso in senso fisico, ha una rilevanza tale da poter influire su ben quattro tematiche: il valore pedagogico dell’ambiente come attore del progetto educativo, in grado di promuovere la socialità e stimolare conoscenza e creatività; la vivibilità, volta a garantire comfort e benessere a tutti i membri della comunità scolastica; la sicurezza come diritto e patrimonio di legalità e salute; l’educazione all’ecologia e al rispetto dell’ambiente, con l’obiettivo di introiettare e rispettare i principi della sostenibilità ambientale. 

Nell’ambito delle scienze dell’educazione è ormai consolidato il concetto di “ambiente di apprendimento”, dovuto a un cambiamento di prospettiva in campo psico-pedagogico, che ha spostato la tradizionale visione incentrata sull’insegnamento ad una più efficace rivolta a favorire l’apprendimento, concentrandosi sulla figura dell’allievo e dei suoi processi cognitivi, in particolare sulle situazioni ambientali da creare affinché tale conoscenza avvenga in un contesto idoneo, organizzato in modo consapevole, facilitante per il benessere psico-fisico del docente e del discente. 

Naturalmente lo spazio fisico è un fattore importante, ma non è l’unico del complessivo ambiente di apprendimento, da intendere invece in senso molto ampio, come sistema aperto e quindi come reticolo in cui le relazioni sono costituite dai rapporti con altre istituzioni esterne, così come quelle non meno importanti che coinvolgono tutti gli elementi che costituiscono la comunità scolastica. 

Il ruolo dello spazio fisico è divenuto importante quando ci si è resi conto che esso non è neutrale rispetto alle scelte metodologiche, didattiche e organizzative che la scuola si dà e non deve essere interpretato solo come un contenitore ma anzi come risorsa preziosa, organizzata in modo tale da sostenere l’attività esplorativa dell’allievo e l’elaborazione costruttiva e sociale del sapere, un soggetto protagonista e fondante del progetto pedagogico. 

Gli spazi delle scuole costruite nel primo dopoguerra erano concepiti come asettici raccoglitori dell’insegnamento, inerti contenitori dei fenomeni fisici nei quali raccontare il divenire cosmico. Le scuole erano pertanto progettate e costruite in modo coerente con questa concezione newtoniana dello spazio: indifferenti aggregati di aule standard in cui distribuire gli allievi, con spazi comuni destinati esclusivamente al passaggio e agli spostamenti. La scuola era semplicemente un luogo, uno spazio contenitivo. L’unità di base era l’aula, e le scuole-alveari venivano costruite all’insegna dell’aulo-centrismo previsto dalla omologante disciplina normativa. 

Già agli inizi del XX secolo, però, stava iniziando una riflessione pedagogica e didattica che avrebbe portato a una nuova concezione dello spazio fisico come intrinsecamente “curvato” sulla progettazione didattica e sulla modalità pedagogica: non più vuoto contenitore, ma variabile operativa dell’apprendimento. Analogamente alla riflessione relativistica sullo spazio fisico, cominciava a farsi strada l’idea che lo spazio dell’apprendimento non dovesse essere semplicemente un vuoto contenitore ma che richiedesse una curvatura specifica sulle opzioni metodologiche e didattiche e sulle competenze obiettivo del processo didattico. Ma questa nuova consapevolezza si è andata consolidando prevalentemente nella scuola dell’infanzia e, in parte, nella scuola primaria; negli altri ordini scolastici si è perseverato nella conservazione dell’esistente, anche a causa di edifici scolastici vetusti che mal si prestavano a nuove sperimentazioni. 
L’autonomia delle scuole, faticosamente perseguita e conquistata solo grazie al DPR 275/1999, è funzionale alla progettazione dell’offerta formativa e dunque alle opzioni curricolari, metodologiche e didattiche. Le scuole possono così interagire tra loro e con gli enti locali per promuovere il raccordo e la sintesi tra le esigenze e le potenzialità individuali e gli obiettivi nazionali del sistema di istruzione.

Questa diventa l’occasione per poter intervenire nei progetti di costruzione di nuovi ambienti o di riqualificazione di quelli esistenti, in coerenza col principio di non neutralità dello spazio di apprendimento. Fondamentale è quindi l’inserimento di soggetti esperti di didattica e di management scolastico nelle commissioni di valutazione dei progetti, con lo scopo di introdurre e valorizzare il concetto di “setting” didattico, di promuovere l’identità della singola scuola e la valorizzazione del contesto in cui è costruita, in opposizione alle normative omologanti dei decenni passati.

Per superare la vecchia scuola aulo-centrica non basta contrastare le cosiddette “classi-pollaio”, occorre fornire agli studenti dei luoghi aggiuntivi dove sostare e dialogare, divertirsi e apprendere anche in modo informale. Il libro e l’aula non rappresentano più i vettori esclusivi della cultura, gli spazi dell'apprendimento diventano ibridi per poter integrare il fisico con il virtuale e si ampliano al di fuori, al di là degli spazi – interni ed esterni – tradizionali.

Anche i concetti di vivibilità, di “stare bene” a scuola, finora sacrificati rispetto alla priorità di una gestione meramente economica, devono trovare spazio all’interno di progettazioni ecologiche e sostenibili degli edifici scolastici, in grado di soddisfare non solo le ovvie esigenze di ambienti che non danneggino salute e corpo, ma possano soddisfare anche il desiderio più antico e profondo di vivere un luogo salutare sia per la mente sia per lo spirito, per ritrovare quelle radici e quel simbolismo delle forme che nella società dello stress e dell’alienazione si stanno perdendo o dimenticando.

Per quanto riguarda la sicurezza, al di là degli ovvi adempimenti normativi relativi alle strutture, occorreranno veri e propri passaggi culturali, per trasmettere agli allievi l’idea che tenere comportamenti sicuri, attenersi alle regole siano questioni educative e trasversali, da affrontare all’interno di tutte le discipline curricolari pur in coerenza coi programmi didattici.

La scuola, infine, potrebbe fare molto anche per fronteggiare la nuova emergenza energetica. Con i fondi del PNRR gli enti locali potrebbero installare pannelli solari fotovoltaici sui solai di ogni edificio scolastico, realizzando di fatto una vera e propria centrale elettrica diffusa senza precedenti. Le scuole diventerebbero così un esempio concreto di transizione ecologica e ancora una volta sosterrebbero il sistema-Paese. Se fossero coinvolti tutti gli edifici scolastici presenti in Italia (oltre 40.000) si potrebbe creare energia più o meno come una centrale di media potenza.

I giovani, da tempo, ci chiedono di impegnarci di più per salvare il nostro pianeta: iniziare dalle scuole sarebbe non solo molto utile ma avrebbe anche un altissimo valore simbolico. In tempi bui come
quelli che stiamo vivendo sentiamo, a maggior ragione, la responsabilità di dover lavorare per lasciare a tutti un futuro migliore.


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