G20, COP26 e clima

Le conclusioni del G20 e del COP26 hanno determinato valutazioni tra loro molto contrastanti, soprattutto in riferimento alle linee guida indicate per proteggere il nostro pianeta dall’inquinamento e dalle alterazioni climatiche. Eppure, se si abbandonano un approccio squisitamente ideologico e interessi di parte, si registrano progressi non disprezzabili che il nostro comportamento quotidiano potrebbe contribuire a rinforzare

Pasquale Antonio Ceruzzi

Componente del Comitato di Redazione Dirigenti Industria
Mentre le luci della ribalta si spengono sul G20 di Roma e sulla COP26 di Glasgow, rimangono invece accese e ben presenti le critiche sui risultati raggiunti e sulle iniziative per proteggere l’ambiente e utilizzare energie non inquinanti. Si fronteggiano, in questo duello ormai decennale che si rinnova e alimenta in ogni occasione, due fazioni agli antipodi. Da un lato gli eco-ambientalisti insoddisfatti che si riconoscono nelle posizioni delle attiviste Greta Thunberg e Vanessa Nakate, che vogliono una transizione più spedita verso un mondo meno inquinato, e dall’altro i fautori di un cambiamento più diluito nel tempo o addirittura non necessario. 
E dire che il G20 di Roma qualche risultato interessante lo aveva prodotto, ad esempio: 
  • il ritorno graduale al “multilateralismo” nei rapporti tra le nazioni (grazie alla nuova posizione dell’amministrazione americana) che determinerà a cascata una riattivazione del Commercio Mondiale e della sua Organizzazione.
  • L’abbandono di tasse doganali, specialmente nell’interscambio commerciale tra Europa e Stati Uniti. 
  • Il recupero del trattato per la non proliferazione dell’energia nucleare a fini militari (vedi Iran).
  • L’impegno preciso a sostenere l’obiettivo dell’OMS a vaccinare il 40% delle popolazioni dei Paesi poveri entro il 2021 e il 70% entro il 2022, fornendo vaccini anti-Covid di buona qualità, uniti a quelli del progetto dell’ONU tramite l’iniziativa nota come COVAX che prevede lo sviluppo e la produzione di vaccini anti-Covid direttamente in loco liberalizzando i brevetti.
  • La ratifica finale di un accordo globale su un’unica tassazione delle imprese multinazionali (Corporate).
  • L’obiettivo di contenere il riscaldamento globale del pianeta a 1,5°C sopra il livello pre-industriale entro il 2030, migliorando l’accordo della COP21 di Parigi (2°C). (fig. 1)
Ma, si sa, le buone notizie non sono utili ad alimentare le polemiche. Lo sono invece le dichiarazioni politiche dei potenti e i compromessi che si riescono faticosamente a raggiungere tra posizioni a volte molto diverse. Paesi come Cina, Russia e Arabia Saudita in primis hanno disertato questi eventi e fornito obiettivi di raggiungimento della neutralità carbonica (2060 Cina, 2060 Russia, 2060 Arabia Saudita…) tutt’altro che incoraggianti, giustificandoli con la necessità di completare i processi di sviluppo e industrializzazione in corso che porteranno maggior benessere per le loro popolazioni. Purtroppo, non sembrano nemmeno prendere in considerazione misure compensative del contenimento delle emissioni di CO2, quali ad esempio la piantumazione intensiva di alberi per l’assorbimento dell’anidride carbonica.  Queste posizioni, solo in parte comprensibili, allarmano la fazione opposta che fa presente come la situazione del surriscaldamento globale possa essere a un punto di non ritorno, e tale da causare disastri ambientali con molte vittime in ogni angolo del pianeta. La posta in gioco, poi, può essere più di una, o semplicemente non quella ufficialmente evidenziata dalle fazioni: per alcune nazioni, ad esempio, è la supremazia realizzata attraverso il possesso, il controllo e l’erogazione dell’energia. Un chiaro segnale di questo è il prezzo dei prodotti energetici attuali (dal petrolio al gas) che hanno avuto impennate (il barile WTI è sopra gli 80 dollari) inimmaginabili fino a pochi mesi fa, senza che questo sia giustificato solo con il “boom” della domanda post-Covid (infatti, se la gente è tornata a lavorare e a consumare, così come evidenziano gli indicatori economici,  allora sarà altresì vero che sono tornati a lavorare, proporzionalmente, anche gli addetti alle produzioni energetiche).
Sul banco degli imputati responsabili dell’attuale alterazione climatica, con un aumento delle temperature medie europee di oltre 1,2°C, c’è l’“effetto serra” causato dalle emissioni di CO2, metano, e ossido di diazoto dovuto alla combustione di fonti fossili. (fig.2)
Naturalmente, questa teoria è contrastata dalla fazione opposta che sostiene che le oscillazioni climatiche della terra sono naturali, ci sono sempre state e si ripetono in questa maniera da millenni. Intanto il confronto è improponibile, perché la produzione di CO2 da utilizzo di combustibili fossili si registra da circa 150 anni (inizio della rivoluzione industriale e dell’utilizzo intensivo del carbone) e non da secoli o millenni, e il cosiddetto “effetto serra” è una conseguenza specifica di questo. Le oscillazioni di secoli fa non erano né molto documentate né misurate, con cause differenti da quelle in questione, e mancavano poi le banche dati (indispensabili per fare qualunque confronto statistico costante nel tempo). L’alterazione climatica è invece, purtroppo, visibile a tutti attraverso la semplice osservazione dei fenomeni naturali intorno a noi, quali l’aumento delle temperature (media e prevalente, e non quella episodica), gli eventi meteorologici estremi (dalla tempesta Vaia a quella ciclonica della Sicilia orientale), lo scioglimento avanzato dei nostri ghiacciai, l'abbassamento del livello delle acque dei fiumi e dei laghi dovuto alle scarse precipitazioni, l’alterazione del ciclo vegetale  delle piante (dagli alberi alle viti vinifere) e la comparsa nei nostri mari, laghi, fiumi e boschi di animali provenienti da latitudini più meridionali. Di esempi a ben guardare se ne trovano molti. 
Per valutare  i risultati di COP26 dobbiamo confrontarli con COP21 di Parigi ed evidenziare alcuni passi migliorativi: 
  • Partecipazione contributiva degli USA a COP26 e conseguente impegno verso la neutralità carbonica, insieme ad altri Paesi inquinanti. Bene, anche se non sufficientemente impegnativa, la dichiarazione congiunta con Cina. (fig. 3)
  • Più di 100 leader nazionali hanno concordato di interrompere la deforestazione delle loro nazioni entro il 2030. Tra questi il Brasile e l’Indonesia che più di altri avevano abbattuto aree alberate.
  • Eliminazione graduale dell’utilizzo del carbone da parte di Polonia e Ucraina che, dopo la Germania, decidono di abbandonare il carbone entro il 2030. (fig. 4)
  • Riduzione delle emissioni di metano del 30% entro il 2030. 
  • Stop da parte di 20 nazioni (tra cui USA, UK, Canada, Svizzera e Nuova Zelanda) ai finanziamenti di progetti di sfruttamento dei combustibili fossili fuori dal proprio Paese entro il 2022.
Si può essere insoddisfatti dei risultati ottenuti ad oggi e dall’atteggiamento eccessivamente utilitaristico (se non dominante) di alcune nazioni. Si può, però, provare a inviare messaggi chiari e incisivi indicando ai "potenti di turno" la direzione da prendere. 
Nel nostro piccolo, individualmente e collettivamente, attraverso le nostre scelte di consumatori, potremmo limitare il consumo di quei cibi prodotti  con  un maggior inquinamento atmosferico (fig. 5) e usare mezzi di trasporto a minor impatto inquinante (fig. 6).

Infine, a conclusione delle iniziative che si potrebbero attivare, si potrebbe aggiungere la richiesta da parte della UE di rendere visibile sulla scatola del prodotto importato la data di impegno verso la neutralità carbonica (2050, 2060…) del Paese esportatore al fine di sensibilizzare ogni cittadino che utilizzerà quel bene sulle sue scelte responsabili in tema di clima e inquinamento

Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in formato pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013