Dalla religiosità alla religione istituzionalizzata
Il Gruppo Cultura desidera proporre un ciclo di incontri sulla “Storia delle religioni” partendo dalle religioni monoteiste che più appartengono alla nostra sensibilità. Il ciclo sarà coordinato da Paolo Branca, docente di lingua e letteratura araba e islamistica all’Università Cattolica di Milano.
Il ciclo vuole avere una funzione propedeutica con l’obiettivo di una sua prosecuzione in un futuro prossimo, nel quale si potranno approfondire alcuni dei numerosi argomenti e delle affinità che verranno portati all’attenzione. Si inizierà da un incontro introduttivo sulla “religiosità” ed il cammino verso un senso religioso più tradizionale per giungere a discorrere dei tre monoteismi con interventi di altissimo livello.
i parte sempre dal noto anche per avvicinare e conoscere, scoprire l’ignoto. Vale in tutti i campi, compresa la religione. Intendiamo qui per “religione” sia l’aspetto profondo della “religiosità”, sia quello storico e persino istituzionale dei sistemi religiosi. Non sono la stessa cosa, e vanno distinti, ma da entrambi prendiamo inevitabilmente le mosse quando affrontiamo chi è di un’altra religione (o di nessuna): riconosceremo (o non riconosceremo) in lui/lei/loro simili o eguali spinte profonde che da sempre inducono gli esseri umani a rapportarsi col “mistero”, col “trascendente”, col “sacro”, col “divino”…
Fin dalla Preistoria riti, altari, gesti e parole, in tutte le parti del mondo, testimoniano la “religiosità” umana che si pone delle domande, che si mette alla ricerca di un senso all’esistenza, che trova vie per completare e/o superare uno stato di insoddisfazione, che tenta di andare oltre i limiti evidenti e irrimediabili della nostra condizione e in ultima analisi di “superarsi”.
Di tutto ciò siamo meno consapevoli di quanto dovremmo, in parte per la tendenza a dare per scontate le esperienze di base, preferendo definizioni ereditate passivamente oppure anche fatte proprie con impegno, ma sempre in forma rassicurante e un po’ preconfezionata che rischia di allontanarci dall’essenziale di cui invece dovremmo fare costantemente memoria; un po’ anche perché quelle esperienze di base sono necessariamente filtrate dalle forme del sistema religioso a cui apparteniamo. Quella “religiosità” o senso religioso che ci accomuna a moltissimi nostri simili, nel corso della storia è divenuto anche un “fenomeno” articolato e complesso che può fare da schermo alle domande, alle esigenze, alle questioni di base, cui pur cerca di dare risposta.
Le forme più quotidiane e semplici che tale fenomeno ha assunto nel tempo, fino alla sua istituzionalizzazione, non dovrebbero ostacolare, ma bensì conservare e ridare perpetua freschezza alla ricerca da cui tutto parte… ma fatalmente non sempre è così (basti pensare alla riduzione dell’Avvento e del Natale a periodi prevalentemente consumistici) e, come i saltatori, dobbiamo constatare che è la stessa gamba che ci dà la spinta per elevarci e urtare poi l’asticella che può cadere, annullando la validità del salto.
Riflettendoci bene, tuttavia, non è però anzitutto la differenza dogmatica o dottrinale delle varie religioni a costituire un ostacolo per la reciproca comprensione, salvo casi di fanatismo purtroppo reali ma comunque sporadici e patologici, quanto altri fattori che appartengono alla sfera antropologico-culturale, di cui in molti casi le credenze e i riti religiosi sono un più o meno spesso rivestimento esteriore che ha poco o nulla a che fare con un’autentica interiorità.
Non vogliamo con ciò relativizzare l’importanza di dogmi e atti di culto che invece portano in sé una secolare se non millenaria eredità spirituale che merita di essere approfondita e valorizzata in tutte le sue infinite potenzialità. Si tratta semplicemente e ragionevolmente di prendere atto che nulla si produce nel vuoto e che quindi le circostanze e i condizionamenti dei vari ambienti e delle differenti epoche giocano, comunque, un ruolo non secondario nelle modalità in cui qualsiasi cosa – compresa la fede religiosa – viene concepita, interpretata, espressa da esseri umani inevitabilmente collocati nel tempo e nello spazio. Facciamo un esempio, e al massimo livello, tanto per intenderci: Gesù era un ebreo, vissuto quando la sua terra era sotto il dominio politico dell’Impero romano e culturalmente segnata dall’ellenismo.
Anche chi professa la fede in lui come Figlio di Dio non può ignorare tutto questo, altrimenti non saprebbe spiegarsi perché, ad esempio, i Vangeli siano stati redatti in greco, la Chiesa abbia presto trovato in Antiochia, Alessandria d’Egitto e persino Roma (patria dei suoi carnefici) le proprie capitali che eclissarono presto Gerusalemme e tante altre cose che (come l’incontro coi popoli barbarici) hanno influenzato e continuano a determinare il “nostro“ modo di essere cristiani cattolici (modo, che, non a caso, è differente per i cristiani ortodossi, figli di un’altra storia, o per i riformati). La quasi coincidenza che riscontriamo tutt’oggi fra nazionalità e adesione a una determinata confessione cristiana anche solo nei Balcani ne è una palese conseguenza.
Analogo discorso si potrebbe fare circa l’influsso dell’Egitto o di Babilonia sull’ebraismo, delle tradizioni beduine (ma poi anche persiane, bizantine e indiane) sull’islam e via dicendo. È certamente vero che i semplici fedeli di ciascuna religione ne sanno poco o nulla, ma i più frequenti e stretti contatti fra di loro determinati dalla globalizzazione in atto richiederebbe, anzitutto, una maggior consapevolezza di tali dinamiche, eppure ciò cui stiamo assistendo è piuttosto un inasprimento delle contrapposizioni etnico-religiose su basi quasi esclusivamente emotive e pertanto effimere, quando non controproducenti sul medio-lungo periodo.
La cosa è paradossale solo fino a un certo punto: si tratta infatti di un effetto collaterale della globalizzazione stessa la quale, lungi dal diluire le identità, ne ha prodotto invece un rafforzamento
reattivo, fino alla “riscoperta“ di radici mitiche (come quelle celtiche) in funzione protettiva e rassicurante per chi si trova spaesato e senza punti di rifermento in quella ch’è stata efficacemente definita l’attuale “società liquida“ (vedi Zygmunt Bauman).
Non si tratta dunque d’inventare nulla di nuovo, ma di cogliere l’occasione e di rispondere alla necessità di allargare e approfondire ciò che già c’è, magari in forma inadeguata alle mutate circostanze. Non farlo, o farlo tardi e male, si configura come un danno per noi stessi, prima ancora che nei confronti degli altri e ci condanna a subire piuttosto che gestire una situazione vissuta come un evento meteorologico avverso, di cui potremo anche lamentarci ma senza esito alcuno.
(Tratto dal volume Nati da Abramo, Paolo Branca - Marietti 2017)
Gli incontri si terranno in ALDAI sala Viscontea Sergio Zeme - via Larga 31 – Milano
CALENDARIO
Mario Garassino
Paolo Branca
Docente di lingua e letteratura araba e islamistica all’Università Cattolica di Milanoi parte sempre dal noto anche per avvicinare e conoscere, scoprire l’ignoto. Vale in tutti i campi, compresa la religione. Intendiamo qui per “religione” sia l’aspetto profondo della “religiosità”, sia quello storico e persino istituzionale dei sistemi religiosi. Non sono la stessa cosa, e vanno distinti, ma da entrambi prendiamo inevitabilmente le mosse quando affrontiamo chi è di un’altra religione (o di nessuna): riconosceremo (o non riconosceremo) in lui/lei/loro simili o eguali spinte profonde che da sempre inducono gli esseri umani a rapportarsi col “mistero”, col “trascendente”, col “sacro”, col “divino”…
Fin dalla Preistoria riti, altari, gesti e parole, in tutte le parti del mondo, testimoniano la “religiosità” umana che si pone delle domande, che si mette alla ricerca di un senso all’esistenza, che trova vie per completare e/o superare uno stato di insoddisfazione, che tenta di andare oltre i limiti evidenti e irrimediabili della nostra condizione e in ultima analisi di “superarsi”.
Di tutto ciò siamo meno consapevoli di quanto dovremmo, in parte per la tendenza a dare per scontate le esperienze di base, preferendo definizioni ereditate passivamente oppure anche fatte proprie con impegno, ma sempre in forma rassicurante e un po’ preconfezionata che rischia di allontanarci dall’essenziale di cui invece dovremmo fare costantemente memoria; un po’ anche perché quelle esperienze di base sono necessariamente filtrate dalle forme del sistema religioso a cui apparteniamo. Quella “religiosità” o senso religioso che ci accomuna a moltissimi nostri simili, nel corso della storia è divenuto anche un “fenomeno” articolato e complesso che può fare da schermo alle domande, alle esigenze, alle questioni di base, cui pur cerca di dare risposta.
Le forme più quotidiane e semplici che tale fenomeno ha assunto nel tempo, fino alla sua istituzionalizzazione, non dovrebbero ostacolare, ma bensì conservare e ridare perpetua freschezza alla ricerca da cui tutto parte… ma fatalmente non sempre è così (basti pensare alla riduzione dell’Avvento e del Natale a periodi prevalentemente consumistici) e, come i saltatori, dobbiamo constatare che è la stessa gamba che ci dà la spinta per elevarci e urtare poi l’asticella che può cadere, annullando la validità del salto.
Riflettendoci bene, tuttavia, non è però anzitutto la differenza dogmatica o dottrinale delle varie religioni a costituire un ostacolo per la reciproca comprensione, salvo casi di fanatismo purtroppo reali ma comunque sporadici e patologici, quanto altri fattori che appartengono alla sfera antropologico-culturale, di cui in molti casi le credenze e i riti religiosi sono un più o meno spesso rivestimento esteriore che ha poco o nulla a che fare con un’autentica interiorità.
Non vogliamo con ciò relativizzare l’importanza di dogmi e atti di culto che invece portano in sé una secolare se non millenaria eredità spirituale che merita di essere approfondita e valorizzata in tutte le sue infinite potenzialità. Si tratta semplicemente e ragionevolmente di prendere atto che nulla si produce nel vuoto e che quindi le circostanze e i condizionamenti dei vari ambienti e delle differenti epoche giocano, comunque, un ruolo non secondario nelle modalità in cui qualsiasi cosa – compresa la fede religiosa – viene concepita, interpretata, espressa da esseri umani inevitabilmente collocati nel tempo e nello spazio. Facciamo un esempio, e al massimo livello, tanto per intenderci: Gesù era un ebreo, vissuto quando la sua terra era sotto il dominio politico dell’Impero romano e culturalmente segnata dall’ellenismo.
Anche chi professa la fede in lui come Figlio di Dio non può ignorare tutto questo, altrimenti non saprebbe spiegarsi perché, ad esempio, i Vangeli siano stati redatti in greco, la Chiesa abbia presto trovato in Antiochia, Alessandria d’Egitto e persino Roma (patria dei suoi carnefici) le proprie capitali che eclissarono presto Gerusalemme e tante altre cose che (come l’incontro coi popoli barbarici) hanno influenzato e continuano a determinare il “nostro“ modo di essere cristiani cattolici (modo, che, non a caso, è differente per i cristiani ortodossi, figli di un’altra storia, o per i riformati). La quasi coincidenza che riscontriamo tutt’oggi fra nazionalità e adesione a una determinata confessione cristiana anche solo nei Balcani ne è una palese conseguenza.
Analogo discorso si potrebbe fare circa l’influsso dell’Egitto o di Babilonia sull’ebraismo, delle tradizioni beduine (ma poi anche persiane, bizantine e indiane) sull’islam e via dicendo. È certamente vero che i semplici fedeli di ciascuna religione ne sanno poco o nulla, ma i più frequenti e stretti contatti fra di loro determinati dalla globalizzazione in atto richiederebbe, anzitutto, una maggior consapevolezza di tali dinamiche, eppure ciò cui stiamo assistendo è piuttosto un inasprimento delle contrapposizioni etnico-religiose su basi quasi esclusivamente emotive e pertanto effimere, quando non controproducenti sul medio-lungo periodo.
La cosa è paradossale solo fino a un certo punto: si tratta infatti di un effetto collaterale della globalizzazione stessa la quale, lungi dal diluire le identità, ne ha prodotto invece un rafforzamento
reattivo, fino alla “riscoperta“ di radici mitiche (come quelle celtiche) in funzione protettiva e rassicurante per chi si trova spaesato e senza punti di rifermento in quella ch’è stata efficacemente definita l’attuale “società liquida“ (vedi Zygmunt Bauman).
Non si tratta dunque d’inventare nulla di nuovo, ma di cogliere l’occasione e di rispondere alla necessità di allargare e approfondire ciò che già c’è, magari in forma inadeguata alle mutate circostanze. Non farlo, o farlo tardi e male, si configura come un danno per noi stessi, prima ancora che nei confronti degli altri e ci condanna a subire piuttosto che gestire una situazione vissuta come un evento meteorologico avverso, di cui potremo anche lamentarci ma senza esito alcuno.
(Tratto dal volume Nati da Abramo, Paolo Branca - Marietti 2017)
Gli incontri si terranno in ALDAI sala Viscontea Sergio Zeme - via Larga 31 – Milano
CALENDARIO
- mercoledì 21 febbraio 2018 - ore 17.30 - Introduzione alla storia delle religioni
- mercoledì 7 marzo 2018 - ore 17.30 - Discorso sull’ebraismo
- mercoledì 21 marzo 2018 - ore 17.30 - Discorso sul cristianesimo
- mercoledì 4 aprile 2018 - ore 17.30 - Discorso sull’islamismo (con testimonianze)
01 gennaio 2018