Non si guarisce la polmonite con l’aspirina

Dominick Salvatore, italo-americano già professore alla Fordham University di New York e autore di libri di riferimento di economia internazionale con 5 milioni di copie vendute, è intervenuto lo scorso 12 ottobre al convegno dell’Istituto Luigi Einaudi sulla realtà economica del Paese che richiede un radicale cambio di passo per liberarne le potenzialità.

Franco Del Vecchio

Consigliere ALDAI-Federmanager - franco.del.vecchio@tin.it
Avevo scritto un articolo Dirigenti Industria dicembre 2013 sull’intervento del Prof. Dominick Salvatore al convegno ALDAI “Vista dal mondo: cosa deve fare un’azienda italiana per essere considerata di eccellenza”, ed è stato emozionante apprezzarne dopo sei anni la vivacità e senza commenti ne riporto di seguito fedelmente le argomentazioni.

Dal 1947 al 1975 l’Italia è cresciuta del 5,9% in termini reali mediamente ogni anno, questo significa un PIL in forte crescita che raddoppia ogni 12 anni, successivamente - e fino al 1990 - la crescita si è ridotta al 3,8% con un PIL che raddoppia ogni 19 anni, una crescita ancora rispettabile e inferiore solo al Giappone; dal 1990 al 2000 la crescita si è ridotta a 1,5% che richiede 48 anni per raddoppiare, ma il crollo evidente è avvenuto dal 2000 al 2018 con 0,2% di crescita e a questo ritmo sarebbero necessari 360 anni per raddoppiare il PIL.

Le principali ragioni del miracolo economico italiano secondo Dominick Salvatore sono state:
  • La piccola industria è riuscita a superare i limiti dimensionali con l’integrazione distrettuale, acquistando materie prime e promuovendo i prodotti insieme, come una grande impresa capace di operare con più velocità della concorrenza.
  • L’utilizzo delle ricerche di base, soprattutto di altri Paesi, ha permesso brillanti innovazioni di prodotto e di processo.
Lo sviluppo economico ha  generato un PIL pro-capite italiano superiore a quello francese dal 1990 al 1998 e a quello inglese dal 1990 al 2001. Ma il PIL italiano nel 2017 è stato inferiore al 2008 e il PIL pro-capite 2018 è stato inferiore addirittura del 5% a quello del 2000. Abbiamo perso 10-20 anni di crescita.

Prima della cura ci vuole una diagnosi oggettiva e bisogna capire l’entità del problema.

Perché l’Italia non cresce ?

Nella classifica della competitività l’Italia è al 44° posto su 63 nazioni, con molti Paesi con i quali dobbiamo confrontarci in posizioni migliori: al 3° posto gli USA, 17° Germania, 23° UK, 31° Francia, 36° Spagna. Non siamo più competitivi e le imprese italiane non sono più in condizione di trainare l’economia.

La pressione fiscale in Italia è più alta di qualsiasi altro Paese eccetto la Francia. La pressione fiscale non è necessariamente un male se ricevessimo i benefici che giustificano la tassazione. In Italia si paga due volte lo stesso servizio, ad esempio per la sanità pubblica e poi per pagare i fondi di assistenza sanitaria e la sanità privata. Le imprese italiane pagano più tasse di qualsiasi altra nazione, sempre eccetto la Francia che però restituisce maggiori servizi.

Il costo per iniziare un’attività economica è in Italia 14 volte superiore agli Stati Uniti, 140 volte superiore all’Inghilterra, 3 volte la Spagna. In Italia gli uffici competenti dicono le ragioni per cui non possiamo costruire e fare business, in altri Paesi alle imprese indicano come soddisfare le condizioni per crescere. In termini di efficienza del settore lavorativo l’Italia è al 79° posto su 140 Paesi.

L’Italia non è più tra i Paesi innovatori e gli Italiani capaci oggi preferiscono lavorare all’estero. Quindici mila medici italiani sono andati all’estero e li abbiamo rimpiazzati con altrettanti medici dell’Europa dell’Est non altrettanto preparati. Non valorizzare e riconoscere il merito delle competenze equivale ad impoverire progressivamente il paese.

Dominick Salvatore, autore dei testi più venduti al mondo: Economia Internazionale, Economia manageriale e Microeconomia, aveva indicato a Romiti, molti anni fa, che per crescere bisogna investire, ma aumentando in modo bilanciato il lavoro e il capitale. In Italia invece si aumenta solo il capitale per il peso delle imposte e dei contributi sul lavoro e le rigidità delle regolamentazioni, perdendo in tal modo competitività e non creando nuovi posti di lavoro.

Nella classifica sulla facilità con cui si realizza l’attività economica d’impresa “Ease of doing business index” la Corea del Sud è al 5° posto, gli Stati Uniti sono all’8° posto, UK al 9°, Germania 24°, Spagna 30°, Italia 51°.

In termini di corruzione l’Italia è al 46° posto su 63 Paesi e tutti quelli europei sono in posizioni migliori eccetto Bulgaria e Romania. L’economia sommersa in Italia è superiore al Messico.

In termini di qualificazione delle forze lavorative l’Italia è al 40° posto su 140 Paesi; nella classifica delle infrastrutture di base l’Italia è al 53° posto su 63 nazioni, mentre la Spagna è al 26° posto; l’Italia ha solo 6 imprese delle 500 più grandi imprese al mondo, ne ha 9 la Spagna, 17 UK e 29 la Germania; In termini di investimenti esteri l’Italia riceve meno della metà della Spagna e gli investimenti non avvengono per nuovi insediamenti produttivi che generano lavoro e prosperità, ma prevalentemente per appropriarsi di tecnologie, competenze e marchi prestigiosi, per poi chiudere le fabbriche, e non è il caso di fare nomi che tutti conoscono.

Ciò dimostra non solo perché non si cresce, ma soprattutto la gravità del problema. In Italia c’è più pressione fiscale, più economia nascosta, ci sono più regolamentazioni, minore efficienza del mercato del lavoro, c’è più burocrazia e maggiori difficoltà a svolgere attività economiche.

La conoscenza della storia economica del Paese e la consapevolezza della realtà oggettiva costituisce secondo Dominick Salvatore il primo passo per riprendere la crescita che, con adeguate riforme e politiche economiche potrebbe, superare la meda europea ed avvicinarsi al 2% rispetto ai recenti zero virgola. 

La speranza non manca

Alla dura realtà presentata dal Prof. Dominick Salvatore aggiungo un sintetico commento. Abbiamo dimostrato nei momenti più difficili grandi capacità di reazione. Nessuno crede più nei miracoli e i risultati si ottengono solo con progetti organici e strutturati. Bisogna avere il coraggio di cogliere i segnali di rinascita, voltare pagina valorizzando il nostro patrimonio di competenze, unire le forze e tornare insieme a crescere.
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