Continua l’attacco alla classe media dei pensionati

La classe media dei pensionati italiani sta subendo una serie di provvedimenti ingiusti che minano il loro benessere economico. È ora di alzare la voce, agire e difendere i propri diritti. I pensionati hanno contribuito alla crescita del Paese per decenni, e ora è giunto il momento di garantire loro una pensione dignitosa, senza continue falcidie. Il futuro del sistema pensionistico italiano dipende dall'azione collettiva e dalla determinazione a difendere il diritto di tutti i cittadini a una vecchiaia serena e sicura

Mino Schianchi

Vicepresidente ALDAI-Federmanager
La situazione dei pensionati italiani, in particolare quelli appartenenti alla classe media, è diventata un'urgenza. Vent'anni di provvedimenti che hanno tagliato inesorabilmente i trattamenti pensionistici stanno mettendo a dura prova il benessere di chi ha lavorato una vita intera e pagato le proprie imposte fino all’ultimo centesimo. Dalle segnalazioni dei pensionati che ci scrivono emergono critiche e osservazioni che denunciano la situazione con cui devono attualmente fare i conti.  Una situazione critica complessiva che richiama anche le implicazioni fiscali con le quali i pensionati della classe media, ormai da anni, devono confrontarsi.  

Lo ha detto il Presidente di Federmanager e CIDA, Stefano Cuzzilla, nel Convegno CIDA tenutosi a Milano il 6 ottobre scorso: “La classe media che ogni anno vediamo ridursi nei numeri sta pagando il prezzo più alto. Si tratta di poco più di 5 milioni di italiani che, in servizio o in pensione, pagano da soli il 60% dell’Irpef. Tutti gli altri sono in prevalenza assistiti, ed evidentemente non si tratta esclusivamente di persone in povertà che bisogna sostenere”.

E, continuando, ha posto domande che richiedono risposte adeguate dai pubblici poteri: “Come si può pensare che il 13% di italiani dichiari redditi superiori a 35mila euro lordi e si faccia carico del 60% di tutta l’Irpef? Come giustificare il fatto che su 16 milioni di pensionati in Italia, quasi il 44% sono totalmente o parzialmente assistiti e che quindi non hanno versato neppure 15 anni di contributi? Come conciliare il fatto che il 57% delle famiglie vive in media con meno di 10mila euro all’anno quando gli italiani sono primi in Europa per possesso di automobili e secondi nel mondo per il gioco d’azzardo?”.

Le parole  del Presidente Cuzzilla, come  rivelano anche  le cronache,  denunciano che,  all’interno della crescente massa di assistiti, non vi sono solo quelli veramente svantaggiati e privi di risorse, ma vi si annidano, quasi sicuramente, evasori, o quantomeno, persone che non hanno mai sborsato un soldo per farsi una pensione, che per una vita si sono nascoste al fisco svolgendo attività e lavori in nero e che, giunte all’età richiesta, si presentano allo sportello INPS per domandare  pensione e assistenza. Riteniamo che un’indagine istituzionale al riguardo rivelerebbe notizie sorprendenti. Ma lanciare un’indagine al riguardo non riscuoterebbe molti consensi.  Le anime belle della “carità pelosa” direbbero che si vuole mettere in dubbio la condizione di indigenza di tanta povera gente. Niente indagine, niente coordinamento di tutti i sistemi e livelli assistenziali. In Italia c’è tanto altro da fare; c’è tanto da fare per coltivare il consenso nei turni elettorali.  Meglio lasciar correre.  Intanto noi paghiamo.

È una situazione insostenibile. Ripetiamo: è la classe media che ne sta subendo le conseguenze. E, all’interno di questa, è la classe media dei pensionati (ex dirigenti, funzionari, quadri intermedi, ecc.) che viene presa di mira con numerosi provvedimenti che peggiorano progressivamente la loro economia familiare. Una situazione che si aggrava ulteriormente quando sugli stessi soggetti in pensione si abbattono altri provvedimenti che anno dopo anno vengono adottati a loro danno, specialmente quando questi riducono il potere d’acquisto dei loro assegni rispetto all’inflazione.  

Provvedimenti che tagliano ulteriormente le pensioni

Diciamolo chiaramente: la situazione descritta dura da decenni. Perciò, a ripeterla, potrebbe apparire perfino noioso. E, invece, è utile prendere nota di qualche informazione. Serve a spiegare la nostra indignazione rispetto all’astiosità con cui siamo trattati. In poco più di vent’anni abbiamo subito ben 13 (tredici) interventi sulle nostre pensioni.  Di questi, 7 (sette) hanno bloccato o modificato in peggio il meccanismo di rivalutazione e 6 (sei) sono stati quelli che solo in maniera approssimativa, ad uso giornalistico, vengono definiti   "Contributi di solidarietà", ma che, in realtà, sono delle vere e proprie imposte aggiuntive solo ed esclusivamente a carico dei pensionati. 
La catena degli interventi riduttivi sembrava interrotta con la Legge di Bilancio 2020. Veniva introdotta una modifica della disciplina transitoria della perequazione automatica dei trattamenti pensionistici per gli anni 2020-2021 e veniva disposta l’introduzione di una disciplina a regime, a partire dal 2022. Intanto, accadeva la crisi di Governo, poi le elezioni e, quindi, si installava il nuovo Governo. E, subito, il Consiglio dei Ministri del 21 novembre 2022 ne ordinava lo stop. In effetti, con la legge di bilancio 2023 la valorizzazione delle pensioni per il biennio 2023-2024 veniva riconosciuta secondo il  meccanismo standard stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n.  448, ma, di fatto, nel dispositivo non c’era niente di quel meccanismo. Spariti i tre scaglioni di valorizzazione decrescente (100%,90%,75%), e sostituiti con sei nuove fasce di reddito: (100%, 85%, 53%, 47%, 37%,32%).  Il meccanismo “a fasce” è peggiorativo rispetto a quello “a scaglioni”, perché applica la percentuale di rivalutazione sull’intero importo della pensione mentre quello “a scaglioni” applica la percentuale di rivalutazione per quote di pensione (come nel sistema Irpef).

Contro questo nuovo stravolgimento del meccanismo di adeguamento, il peggiore mai utilizzato da precedenti Governi, con il sostegno di CIDA, è immediatamente partita la procedura delle diffide e dei ricorsi pilota presso cinque Tribunali ordinari e due Corti dei conti regionali. La procedura è ancora in corso, ma ecco che, mentre scriviamo, è già pronto un nuovo attacco alle nostre pensioni. Un nuovo intervento peggiorativo del meccanismo è disposto nel Disegno di Legge del Bilancio triennale 2024-2026. Si avvia l’iter parlamentare. L’adeguamento resta al 100% solo per i trattamenti pensionistici pari o inferiori a quattro volte il minimo. Per le altre fasce: 85% tra 4 e 5 volte il minimo; 53% tra 5 e 6 volte il minimo; 47% tra 6 e 8 volte il minimo; 37% tra 8 e 10 volte e, addirittura, 22% (rispetto al 32% del 2023) per i trattamenti superiori a dieci volte il minimo INPS.  Su queste ultime, un’ulteriore sforbiciata di 10 punti. 
Dal taglio della rivalutazione delle pensioni si prevede un ulteriore incasso per lo Stato, in 10 anni, di altri circa 20 miliardi in aggiunta ai 40 miliardi della mancata rivalutazione del 2023.

Il deperimento del potere d'acquisto

E così ora, con la Legge di Bilancio 2024, il Governo aggiunge il quattordicesimo provvedimento di penalizzazione sulle pensioni della classe media.  A questo, come spiega lo studio di Itinerari Previdenziali, va aggiunto che negli ultimi 10 anni le pensioni da 4 volte il minimo INPS (circa 2.000 euro lordi al mese) hanno perso oltre il 10% di potere d’acquisto o, se volete, sono state svalutate del 10%. 
Nessuna considerazione che questa categoria di pensionati non gode di nessun beneficio per quanto attiene all’utilizzazione di molti servizi pubblici, che paga gran parte delle prestazioni sanitarie specialistiche, che non usufruisce delle tante esenzioni e riduzioni. E la lista potrebbe continuare. Niente. Solo continui provvedimenti riduttivi per una categoria di pensionati che ha versato continuamente alti contributi e ha pagato sempre tutte le imposte nel corso della vita lavorativa. 
Per l’effetto trascinamento le conseguenze negative di questi provvedimenti continueranno, con una moltiplicazione geometrica, per tutto il resto della vita che ci resta da vivere. L’effetto trascinamento avrà un impatto negativo anche sulle pensioni di reversibilità, mettendo a rischio così il benessere dei familiari che sopravvivranno.  

Giustizia e solidarietà

Il fatto che i pensionati siano presi di mira con tanta ostilità dalla politica, e questo dura da tanti anni, diventa ancora più insopportabile ora, quando a tutto questo si aggiunge la discriminazione.  Se si pensa che i vitalizi degli ex parlamentari sono stati ripristinati secondo i vantaggi previsti dalle norme ante 2018, e questo proprio con l’aggancio a un principio richiamato dalla Corte Costituzionale relativo ai trattamenti pensionistici: cioè che è illegittima una riduzione dei trattamenti pensionistici che abbia una durata superiore a tre anni.  Come dire che per la protezione delle pensioni esistono due pesi e due misure: una per dentro (i vitalizi, per i membri del Parlamento) e l'altra per fuori (le pensioni, per i comuni cittadini). 
E, per completare il quadro delle iniquità con le quali dobbiamo confrontarci, va anche detto che tutto questo accade mentre la lotta all'evasione fiscale appare quantomeno incerta e mentre appare sempre più difficile scardinare la resistenza di corporazioni e poteri che hanno fatto super guadagni durante la crisi sanitaria da Covid e continuano a farne con le crisi belliche in corso.  E così la strada più facile per recuperare risorse è quella di mettere le mani nelle tasche dei pensionati. Tanto, loro, i pensionati, non hanno strumenti di opposizione: non hanno la contrattazione, non hanno lo strumento dello sciopero, non hanno la forza di partecipare alle grandi manifestazioni.  E poi l’operazione è facile ed immediata: i soldi sono presi alla fonte, prima ancora che le pensioni vengano pagate.
A tutto questo diciamo basta. La soluzione non può consistere nel continuare a prendere i soldi dai redditi fissi dei pensionati, negando loro aggiornamenti che compensino l'inflazione. 

Azioni per la difesa dei diritti  

Nel discorso conclusivo al Convegno di Milano di cui abbiamo detto sopra, il Presidente Cuzzilla, pur condividendo l’esigenza del Governo di realizzare, nel corso dei prossimi anni, le grandi Riforme, tra le quali   la Riforma fiscale e la Riforma previdenziale, ha aggiunto: “vogliamo credere, con ottimismo, che la politica sappia scrivere una nuova storia delle pensioni coi tempi verbali coniugati al futuro. Una storia dove i capitoli non abbiano per oggetto solo misure sottrattive e redistributive ma che parlino, invece, di crescita della popolazione, di potenziamento della vita delle famiglie, di lavoro per i giovani e le donne”.

Sono parole che contengono una strategia e un messaggio.  Sono parole, quelle del Presidente Cuzzilla, cui dobbiamo dare sostegno e forza. Sono la spinta in difesa dei pensionati. E, perciò, i pensionati hanno il dovere di collaborare e portare il loro contributo. Devono rendersi attivi. Devono sapere che il potere d’acquisto delle loro pensioni è minacciato dalla continua erosione dell’inflazione e che a questa erosione si aggiungono i provvedimenti annuali che le penalizzano ancora di più.  Devono far sentire la loro voce, non lamentarsi. Lamentarsi non serve a niente. Perciò devono coinvolgere le strutture sindacali di base, le organizzazioni associative e devono colloquiare con i politici locali per sollevare i problemi che abbiamo elencato sopra. Le nostre Rappresentanze fanno la loro parte, ma spetta anche ai pensionati rendersi attivi perché venga spezzata la catena dei continui tagli che riducono il valore delle pensioni.
Siamo convinti che i pensionati di buona volontà non lasceranno cadere nel vuoto il richiamo a un loro impegno fattivo e pressante, a difesa dei loro stessi diritti ed interessi.  

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