Il conflitto tra sistemi pensionistici
L’introduzione del sistema contributivo ha messo in discussione il patto intergenerazionale e occorre introdurre correttivi solidaristici a questo sistema per ridurre la conflittualità sociale.
Mino Schianchi
Presidente Comitato Nazionale di Coordinamento dei Gruppi Pensionati e Consigliere ALDAI-Federmanager
La conflittualità intergenerazionale
La conflittualità fra vecchie e nuove generazioni esiste da sempre. I giovani criticano i vecchi per avere attivato politiche che rendono difficile la loro vita al presente e la rendono più precaria anche per l’avvenire. Le accuse in generale mosse alle vecchie generazioni si ripetono anche a proposito delle questioni di protezione sociale.
Nell’attuale contesto economico la politica incontra enormi difficoltà a trovare l’equilibrio nei bilanci pubblici tra istruzione e pensione, tra assistenza sanitaria e regimi fiscali, incontra difficoltà a far convergere politiche che abbiano una prospettiva di lungo termine, che guardino al benessere collettivo di oggi e del domani.
La mancanza di questo equilibrio ha reso fragile il patto intergenerazionale; di questa conflittualità le forze politiche (almeno una parte di esse) se ne sono appropriate in maniera strumentale, per dire che i padri si sono costruite delle pensioni a loro vantaggio lasciando ai figli l’onere di pagarle. Le forze politiche sembrano più attente ai risultati elettorali dell’oggi che alle necessità del domani.
E’ una propaganda che prescinde dalla storia del passato e addossa ai lavoratori delle vecchie generazioni, oggi in pensione, il peso di provvedimenti che essi stessi hanno dovuto, per molti aspetti, subire.
E’ utile fare chiarezza su questi punti partendo da come è nato il Sistema Pensionistico Retributivo.
Il Sistema Retributivo
La legge del 1969, che ha introdotto il Sistema Retributivo ha preso a riferimento per il calcolo della pensione la retribuzione pensionabile degli ultimi tre (poi divenuti cinque e dieci) anni di lavoro e ha teso a garantire ai pensionati un trattamento equivalente alla retribuzione media percepita nell’ultimo periodo della vita attiva per evitare un drastico peggioramento del loro reddito.
Gli anni di lavoro precedenti a quelli utilizzati per il calcolo della retribuzione pensionabile servivano soltanto a determinare, a prescindere dai contributi versati, l’anzianità di servizio, da utilizzare nella seguente formula: 2% x n° anni = % della retribuzione pensionabile degli ultimi anni di lavoro.
I lavoratori effettuavano i versamenti sull’intera retribuzione percepita, ma il rendimento era pari al 2% per ogni anno solo fino ad una predeterminata soglia di reddito (oggi 45.000 euro). Per le quote eccedenti tale soglia l’aliquota era rapidamente decrescente fino a raggiungere lo 0,9% della retribuzione pensionabile Nel Sistema Retributivo, inoltre, la pensione era sottoposta ad un tetto massimo di 40 anni. Quindi la pensione massima era l’80% della retribuzione, ma per le retribuzioni elevate scendeva anche sotto il 50%.
Con le regole di questa riforma si voleva erogare una pensione dignitosa a quanti avevano avuto una storia lavorativa e contributiva piuttosto accidentata nell’immediato dopoguerra e a coloro che avevano visto sfumare i loro versamenti, relativi ad attività lavorative antecedenti il conflitto, per via dell’inflazione postbellica.
A queste regole si sono aggiunte successivamente le pensioni di anzianità che consentivano l’accesso alla quiescenza con 35 anni di contribuzione (20 o 25 o ancora meno nel Pubblico impiego) a prescindere dall’età anagrafica, allo scopo di risarcire così i c.d. lavoratori precoci, ma soprattutto come modo per ridurre la disoccupazione e per dare risposta ai movimenti di massa che scendevano in piazza con lo slogan “lavorare meno lavorare tutti”.
Nel Sistema Retributivo purtroppo non si è tenuto conto dell’andamento demografico e della progressiva apertura verso i mercati esteri, di conseguenza l’andamento economico del Paese è nel tempo peggiorato senza che i Governi abbiano dato corso tempestivamente ad un processo efficace di adeguamento della produzione, dei servizi e dell’occupazione alle nuove realtà.
Il Sistema Contributivo
La Riforma Dini del 1995 si fece carico di superare lo squilibrio determinato dal Sistema Retributivo che, anche per effetto dell’incremento della speranza di vita, regalava ai pensionati un certo numero di anni di prestazioni non coperti dal montante contributivo.
Adottando il calcolo contributivo (il montante su cui calcolare il trattamento è dato dalla somma degli accrediti annuali, rivalutati sulla base del PIL nominale, moltiplicato per i coefficienti di trasformazione ragguagliati all’età di pensionamento all’interno di una fascia definita) si è ristabilito un corretto rapporto tra contributi versati e prestazione, ma lo si è fatto soltanto a partire dai nuovi assunti dal 1996; chi aveva, prima di quella data, almeno 18 anni di anzianità è rimasto interamente all’interno del meccanismo retributivo e a chi aveva meno di 18 anni di anzianità è stato applicato il sistema misto con il criterio del pro rata. Dal 2012 con la “Riforma Fornero” il calcolo contributivo è stato esteso pro rata a tutti.
Il principale difetto della legge n. 335 del 1995 (Riforma Dini) consiste nell’aver determinato per i 20 anni successivi alla riforma tre trattamenti diversi tra i lavoratori al fine di salvaguardare, soprattutto sull’aspetto-chiave dell’età pensionabile, gli occupati più anziani, scaricando l’equilibrio del sistema sulle future generazioni.
Difficile oggi sopportare il clima di tensione in cui viviamo, nell’attesa che si compia il ciclo “virtuoso” della “Riforma Dini” e dell’altra più recente “Riforma Fornero”.
Quale è la preoccupazione dei giovani oggi? Dover pagare elevati contributi con un’incerta prospettiva pensionistica che non prevede meccanismi solidaristici, nonostante sia vero che il calcolo contributivo non produca, a fronte di una continuità e regolarità di lavoro grosse penalizzazioni sulla pensione.
Se si ha la fortuna di lavorare a lungo e senza interruzioni si andrà in pensione con un tasso di sostituzione socialmente sostenibile anche con il calcolo interamente contributivo. L’incerta prospettiva pensionistica dei giovani deriva dalla loro condizione occupazionale precaria e saltuaria durante la vita lavorativa.
Non è nemmeno vero che tutti i vantaggi stiano nel retributivo e tutti gli svantaggi nel contributivo. Lo dimostra il fatto che la Legge di stabilità 2015 ha imposto il doppio calcolo delle pensioni, a partire dal 2012, in modo che se il sistema contributivo attribuisce una pensione più alta di quella calcolata con il sistema retributivo, è questa pensione più bassa che viene assegnata.
Alcune forze politiche, per riequilibrare i bilanci della previdenza, si sono poste il dichiarato obiettivo di rideterminare con il calcolo contributivo i trattamenti medi e alti liquidati con il metodo retributivo quando il loro importo non è – oltre una opinabile soglia – “giustificato” dai versamenti effettuati. Non ci associamo a quelli che per tornaconto politico, strumentalizzano le problematiche del lavoro e della previdenza. Non ci associamo all’idea di chi ritiene di cambiare il corso della storia ex post.
Questo non significa che non si debbano apportare modifiche migliorative al Sistema Contributivo; riteniamo che sia giusto e doveroso rafforzare le politiche di solidarietà verso i più svantaggiati e i giovani, che occorra migliorare l’attuale modello di protezione sociale riducendo le penalizzazioni per i percorsi lavorativi instabili e introducendo, come suggerito da esperti in materia, alcuni correttivi per i nuovi occupati:
- Istituire un trattamento di base, ragguagliato all’importo dell’assegno sociale, finanziato dalla fiscalità generale che faccia da zoccolo alla pensione contributiva.
- Ridurre le aliquote contributive obbligatorie dal 33% al 24-25%
- Utilizzare lo sgravio contributivo così ottenuto per finanziare la previdenza complementare.
Sarebbe anche auspicabile poter dare la possibilità agli iscritti in via esclusiva alla Gestione Separata INPS di incrementare con versamenti volontari i loro modesti contributi degli anni passati.
Conclusioni
Per rendere più sostenibile ed equo il sistema pensionistico piuttosto che attardarsi su improbabili soluzioni revisioniste del passato, sarebbe necessario dare una sterzata alle attività produttive e di servizi che si muovono ancora sotto l’impulso di circostanze contingenti ormai superate. Sarebbe necessario dare seguito a una politica di sviluppo industriale e dei servizi, compatibile con la morfologia del Paese, con le sue caratteristiche ambientali, con la sua storia archeologica, artistica e culturale.
Sarebbe anche necessario risolvere le disuguaglianze, le inique condizioni di vita di molte persone, intraprendendo, con larga condivisione politica, una più decisa lotta contro la frode fiscale e contributiva, contro la corruzione. Un’azione politica accompagnata da una corrispondente ristrutturazione degli uffici dell'amministrazione finanziaria, dove andrebbero rafforzate e rese più rigide e puntuali le modalità di accertamento, con il massiccio utilizzo delle più avanzate tecnologie informative. In assenza di tali infrastruttura di supporto, è facile capirlo, anche i migliori propositi politici si rivelerebbero mere aspirazioni, senza effetto nella realtà. Come l’esperienza ci racconta.
01 luglio 2017