Il diritto asservito alla politica

Una corte costituzionale al servizio della politica sottomette il diritto alle scelte gestionali di bilancio e autorizza il prelievo di risorse dalle pensioni “resistenti”, frutto di contributi, dimenticando quelle frutto di evasione contributiva e vita lavorativa molto corta, come le baby pensioni, scandali che invece di essere censurati vengono in tal modo premiati. Un pessimo segnale per il Paese perché indica ai giovani che la strada da perseguire nella nostra società è quella del minimo sforzo; impegnarsi non è più un merito riconosciuto, ma anzi per la Corte Costituzionale un fattore discriminante negativo, da punire.

Michele Carugi 

Componente del comitato pensionati ALDAI - Federmanager

Il mio intervento in Assemblea Seniores Federmanager 15 12 2017

Al di la del danno materiale causato a 6 milioni di pensionati dalle leggi che hanno bloccato la perequazione delle pensioni e delle sentenze della Consulta che, anche contraddicendosi tra loro,  alla fine hanno avallato come costituzionalmente legittimo il blocco della rivalutazione per gli assegni superiori a 3.000 € lordi, c’è un danno morale ancora più grave che si annida in due passaggi della motivazione che la Corte ha scritto per la sentenza 250/17.

Del primo, che consiste nella subordinazione del diritto alla contabilità dello Stato è già stato detto esaurientemente; aggiungo solo che qui la Corte ha sancito come un principio assoluto (il diritto, appunto) possa essere piegato a una materia relativa come la discrezionalità di spesa dello Stato. Mentre il buon senso e secoli di storia suggerirebbero che lo Stato debba essere amministrato per garantire il rispetto dei diritti fondamentali, la Corte ci dice che i diritti possono essere compressi per adeguarli alla buona o cattiva amministrazione di chi governa.

Il secondo punto che deve causare allarme tra quanti ritengono che le società progrediscano grazie al lavoro e alla creatività è il passaggio nel quale la Corte indica come la penalizzazione  delle pensioni più alte (che la corte insiste incomprensibilmente a dichiarare temporanea) sia legittimata dalla maggiore resistenza delle stesse all’erosione dell’inflazione.
Questa affermazione, depurata dal linguaggio giuridico per eletti, sta a significare semplicemente che non solo i diritti sono diventati subordinabili alla buona o cattiva gestione dello Stato, ma che in questo ambito essi possono essere discriminati in base al censo. Questo ci riporta (a parti invertite) alla differenziazione censuaria dei diritti antecedente alle rivoluzioni del diciannovesimo secolo e attua un “socialismo della terza età” difficile da digerire in quanto impone sacrifici a categorie delimitate di persone in nome di una solidarietà non richiesta ad altre categorie.
Il fatto poi che la “resistenza delle pensioni più alte” sia indicato come un buon motivo per taglieggiarle evidenzia in modo brutale l’incapacità dei legislatori e dei custodi della Costituzione di comprendere e accettare le dinamiche in base alle quali tale “resistenza” si è costituita e la necessità vitale, per la società e il suo futuro, che quelle dinamiche siano accettate, interiorizzate e incentivate, non scoraggiate. In altre parole, la “resistenza” delle pensioni più alte deriva generalmente da attività lavorative che hanno richiesto per lunghi anni impegno, creatività, assunzione di responsabilità, tutte cose che non sono necessarie, bensì indispensabili alla comunità e pessimo è il segnale che viene dato quando si autorizza il prelievo di risorse dalle pensioni “resistenti” risparmiando quelle che sono magari frutto di evasione contributiva oppure di vita lavorativa molto corta per propria scelta di vita, come le pensioni baby, scandali che invece di essere censurati vengono in questo caso premiati. Pessimo perché colpisce iniquamente i pensionati attuali, e anche i lavoratori attivi che dovranno rivedere le loro aspettative previdenziali che hanno basato finora su un criterio meritocratico del quale la sentenza della Consulta fa carta straccia e perché indica ai giovani che la strada da perseguire nella nostra società, da questo punto di vista malata, è quello del minimo sforzo, perché l’impegnarsi non è più un merito riconosciuto, ma anzi i suoi frutti possono diventare un fattore discriminante negativo.
Una visione molto miope, inaccettabile in chi governa e in chi deve giudicare l’appropriatezza delle leggi.
Michele Carugi - Intervento all'assemblea Seniores Federmanager

Michele Carugi - Intervento all'assemblea Seniores Federmanager

Che sia necessario opporsi a questa ideologia che piega i diritti alla contabilità e punisce i meriti  è, credo, chiarissimo; il problema è come farlo; certamente il ricorso alla Corte UE è una strada praticabile, anche se dagli esiti assai incerti, per portare avanti le istanze dei pensionati colpiti dalla mancata perequazione, ma occorrono anche azioni che tendano a risolvere i problemi di natura meno immediata e materiale, ripristinando l’anteposizione dei diritti alla contabilità e rimettendo il riconoscimento dei meriti al centro della vita sociale.

Per farlo occorre uscire dalla semplice difesa delle nostre pensioni, senza ovviamente rinunciarvi, ma inserendola in un contesto più grande che affronti il problema, molto più vasto, della corretta visione della previdenza come sistema che, in modo certo e durante tutto l’arco di vita, sia lavorativa che di quiescenza, garantisca la continuità dei redditi.
I pilastri delle nostre rivendicazioni dovrebbero pertanto essere:

- la separazione effettiva e non solo contabile della previdenza dall’assistenza, riconoscendo contestualmente che il sistema a ripartizione ha una valenza contabile ma non può continuare a essere la giustificazione per fingere di ignorare che un sistema genuinamente previdenziale ha natura assicurativa e che gli accantonamenti devono essere sacri e inviolabili e restituiti integralmente.

- il riconoscimento esplicito della pensione previdenziale come retribuzione differita e quindi non solo legata indissolubilmente alla storia contributiva di ciascuno, con il corollario individuale di meriti, ma anche riconosciuta come continuazione logica dello status che ciascuno è riuscito a conseguire con il proprio impegno. 

- l’armonizzazione fiscale dei trattamenti previdenziali con tutti gli altri redditi distribuendo la solidarietà sociale tra tutti i cittadini, in proporzione ai loro redditi e quindi vietando una volta e per sempre prelievi tributari retroattivi quali i contributi di solidarietà limitati ai soli pensionati.

Questi obiettivi, lungi dall’essere solo una difesa dello “statu quo” degli attuali pensionati, hanno una valenza trans-generazionale  in quanto darebbero a tutte le generazioni future certezza del diritto e incentivo a costruire al meglio il proprio futuro, anziché suggerire, come improvvidamente ha fatto la sentenza della Consulta, l’immobilismo che è probabilmente la ragione principale del declino della nostra società.

Da soli e continuando a essere declinati da media e politici populisti come parassiti egoisticamente attaccati a diritti usurpati non abbiamo alcuna possibilità di successo, ancorché le nostre istanze siano corrette; semplicemente non vengono ascoltate. Occorrono pertanto primariamente un lavoro di ricostruzione della nostra immagine che non può prescindere da una presenza costante ed efficace su media e rete e un collegamento effettivo con i lavoratori attivi, condividendo istanze e strategie che, come detto prima vanno a beneficio di tutti.

Federmanager, anche tramite la sua partecipazione nell’ambito più vasto di CIDA ha tutte le caratteristiche per farsi carico di questo.
E la richiesta del comitato pensionati di ALDAI è proprio che Federmanager si attivi in questo senso, cercando anche sinergie con le altre associazioni sindacali delle categorie più simili a quella dei dirigenti di azienda. Uniti, determinati e perseveranti potremmo avere qualche possibilità di successo; in ordine sparso, affabulanti e  a corrente alternata avremmo già perso e con noi anche le future generazioni di dirigenti, medici etc.
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