Il Governo penalizza il merito

Fra gli interventi all'incontro della Confederazione CIDA: Il Prof. Alberto Brambilla, il Presidente della Confederazione CIDA Stefano Cuzzilla, Il presidente Manageritalia Mario Mantovani, Coordinatore Nazionale Medici Pensionati Massimiliano Bucari e Mino Schianchi, Coordinatore Area Previdenza CIDA. Un inaccettabile taglio al potere d'acquisto dei pensionati che hanno versato cospicui contributi previdenziali obbligatori, umiliati poi dal taglio della perequazione. Una decisione del Governo che riduce la fiducia dei lavoratori sulle capacità dello Stato di offrire certezza del diritto e servizi di welfare promessi al versamento dei contributi

Mino Schianchi

Vicepresidente ALDAI-Federmanager
Consentitemi di esprimere la delusione che provo di fronte al sistema di valorizzazione delle pensioni che il nuovo Governo sta predisponendo con la Legge di Bilancio 2023.  Delusione perché negli interventi degli esponenti del Governo partecipanti all’Assemblea CIDA del 15 novembre abbiamo sentito discorsi nei quali veniva esaltato il merito come il “driver” che avrebbe guidato le loro iniziative politiche e di Governo. 

Altro che “driver” altro che “guida” etica. Alla prova dei fatti, cioè nell’occasione in cui il merito avrebbe dovuto essere la pietra miliare su cui incentrare le nuove misure di Governo, ecco che, proprio allora il discorso si fa incerto e deludente. Proprio allora il merito è stato platealmente sconfessato

Infatti nella Manovra Finanziaria 2023 il Governo intende rivedere il meccanismo di indicizzazione delle pensioni per gli anni 2023-2024, penalizzando soprattutto dirigenti e manager che hanno avuto il “merito” di assumere le maggiori responsabilità nella guida delle industrie pubbliche e private, che hanno ricoperto i maggiori ruoli della Pubblica Amministrazione, dell’Esercito, della Magistratura.  

Avere proposto sei fasce di valorizzazione della perequazione, con percentuali addirittura irrisorie, è la prova che tanto impegno nel lavoro e nelle attività produttive, tanto impegno nei servizi della cosa pubblica, tanta disciplina nell’aver versato alti contributi, nell’aver pagato - durante gli anni di lavoro - puntualmente le imposte, e continuato a pagarle con le più alte aliquote, è stato considerato piuttosto un demerito. Se si aggiunge che è calata nuovamente la scure sul sistema perequativo a scaglioni che era stato appena ripristinato nel 2022, ed è stato riabilitato il sistema a fasce che penalizza ulteriormente l’adeguamento al costo della vita, non possiamo che concludere in un solo modo: la dirigenza privata e pubblica di questo Paese deve continuare a subire misure che riducono il potere d’acquisto dei loro trattamenti. Una categoria sociale che deve pagare per tutti.

In aggiunta a un sistema perequativo di per sé già penalizzante, perché il nostro sistema è tradizionalmente un sistema di valorizzazione parziale, dobbiamo prendere atto che i nostri trattamenti sono condannati, per legge, a perdere costantemente potere d’acquisto.  

Dobbiamo prendere atto, con amarezza e inquietudine, che ormai le pensioni medio-alte costituiscono il “bancomat” sempre aperto nel quale i Governi di turno allungano le mani per attingere risorse per far fronte a tutte le situazioni critiche della spesa pubblica. Una spesa pubblica che, stante l’alto debito del nostro bilancio, è strutturalmente in condizione critica. 

In questi giorni è in corso il dibattito sulla Legge di Bilancio 2023. Ci sono molti emendamenti.  Sapremo solo a legge definitivamente approvata, quale destino è riservato al meccanismo di perequazione delle pensioni. 
 
CIDA ha già portato le nostre istanze nel dibattito parlamentare e ha fatto presente tutta la nostra insoddisfazione per la manovra che si sta perseguendo a nostro danno. Sui tavoli di Governo si sono fatte valere le ragioni per la quali il meccanismo che si intende adottare è sperequato, ingiusto e, ormai, intollerabile. 

E’ stato messo in evidenza come l’effetto trascinamento delle sospensioni e modifiche in peggio del meccanismo perequativo moltiplicano la perdita del potere d’acquisto delle pensioni, anno su anno, vita natural durante del pensionato, con conseguenti effetti penalizzanti anche sui trattamenti di reversibilità, già a loro volta ridotti. 

E questo accade da quando la valorizzazione delle pensioni fu staccata dalla dinamica salariale per essere agganciata solo all’andamento dell’inflazione (Riforma del Governo Amato - D.Lgs. 503/1992).  Ma poi i Governi non hanno mantenuto la promessa. 

Da anni, ormai, il mantenimento del potere d’acquisto dei nostri trattamenti è legato alle disponibilità di bilancio. E le criticità di bilancio rendono sempre più precarie le possibilità di adeguare i nostri trattamenti al costo della vita. Questo nella considerazione, purtroppo avallata anche dalla Corte Costituzionale, che i nostri livelli pensionistici abbiano maggiore resistenza ai colpi dell’inflazione.  Fino a quando, e per quante volte? Non è detto da nessuna parte. Piuttosto è stato detto il contrario. E’ stato detto che il legislatore non ha un limite al suo potere di intervenire quante volte vuole, a sua discrezione, nell’aggiustare, limitare, bloccare il meccanismo perequativo. Nel rispetto di parametri costituzionali anch’essi fragili perché variamente interpretabili nelle politiche dei Governi.   

Concludo con le parole del Presidente CIDA, Stefano Cuzzilla, a proposito della piega che sta prendendo il meccanismo di perequazione delle pensioni contenuto nella proposta della Legge di Bilancio 2023.  
Se le impostazioni della perequazione delle pensioni proposta dal Governo dovessero venire confermate CIDA prenderà una posizione netta così come ha fatto in passato. Non si possono cambiare le regole a piacimento, siamo in uno Stato di diritto che non può essere aggiustato secondo le convenienze. Si rischia di compromettere definitivamente le legittime aspettative dei lavoratori e il patto tra contribuente e Stato.
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