Trent'anni di contributi di solidarietà

Se si sommano tutti i periodi, per lo più triennali, durante i quali sono state eseguite le trattenute risulta che i pensionati hanno pagato contributi di solidarietà per oltre 30 anni. Nessun' altra categoria ha pagato un’“imposta” aggiuntiva oltre l’Irpef sui loro redditi così elevata e per così lungo tempo. Un Paese che non riconosce il merito e non dà certezza del diritto.

Antonio Dentato

Componente Sezione Pensionati Assidifer-Federmanager

Le proposte di ricalcolo

Le diverse ipotesi di ricalcolo con sistema contributivo delle pensioni attribuite a suo tempo con il sistema retributivo o misto, si presentano di difficile realizzazione. Lo si sapeva da tempo, ma lo hanno spiegato, dati alla mano, i dirigenti Inps nell’audizione dei vertici presso la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati nella seduta del 15 marzo 2016: non sono reperibili le storie contributive delle pensioni che risalgono ad anni più lontani. Fare il ricalcolo solo su quelle pensioni di cui si conosce l’intera filiera dei versamenti sarebbe discriminatorio, e quindi censurabile sul piano della legittimità costituzionale. Come si legge, con sintesi perfetta, negli “Approfondimenti 2018” di “Itinerari previdenziali”, “Osservazioni sulla proposta di ricalcolo delle pensioni”: Ogni modifica con effetti retroattivi presenta profili di illegittimità costituzionale, lede il patto tra cittadini e Stato e mina la fiducia futura.
Il nuovo progetto di legge presentato il 19 settembre 2018 introduce modifiche rispetto a quello presentato lo scorso mese di agosto: atto parlamentare n. 1071. Resta invariato il meccanismo di calcolo che prevede un taglio basato sull’età di pensionamento, ma riguarda pensioni nette superiori a 4.500 (il precedente riguardava pensioni superiori a 5.000 euro netti). Un progetto che potrebbe avere una sua validità, almeno sul piano formale, se avesse effetto solo sulle future pensioni. Ma non è accettabile se lo si vuole applicare con effetti retroattivi. Come si fa a convincere della giustezza dell’operazione una persona collocata in pensione a 58 anni (lo consentiva la legge dell’epoca o addirittura era obbligato) a cui si taglia del 20% la pensione perché, ora, una nuova tabella, costruita con nuovi criteri, in base ad una nuova legge (approvata ora), sulla base di nuovi calcoli attuariali, dice che invece sarebbe dovuta andare in pensione a 63 anni?
Un progetto che, come spiegano gli esperti, rischia forti censure da parte della Corte Costituzionale. Ma non ci vuole un esperto per capire l’assurdo: ti punisco perché hai rispettato una legge dello Stato!
E questo è il nocciolo della questione. Il peggio del progetto, però, è l’altra cosa. È nel messaggio che contiene. Un messaggio che chiama ad una profonda riflessione tutti. Non solo i pensionati che sarebbero immediatamente toccati dalla legge proposta, ma soprattutto e specialmente i giovani, i lavoratori di oggi, quelli che un giorno andranno in pensione. Perché la proposta di legge spalanca il futuro all’insicurezza giuridica. Contiene, nel fondo, un messaggio devastante. Dice: non ti fidare del sistema pensionistico al quale tu consegni oggi i tuoi contributi. Perché quando andrai in pensione, fra 10/20/30 anni, il Governo di turno si potrà rifare ai precedenti e dire che i contributi che hai versato valgono solo la metà, o che avresti dovuto lavorare per più anni, invece te ne sei andato in pensione prima. Non importa se hai rispettato la legge. Ma ora quella legge non vale più. Ti riduciamo la pensione perché ti sei fidato delle leggi che lo Stato ha emanato a suo tempo. Peggio per te.
E se si allargasse l’idea di rimuovere, con valore retroattivo, altri diritti e rapporti economici su cui, rispettando le leggi, hai costruito la tua vita? Chi può dirlo? È vero che il principio della irretroattività delle leggi (art. 11 Preleggi, c.c.) non è di livello costituzionale (salvo le leggi penali, art. 25 Cost.), e che pertanto è consentito al legislatore estendere gli effetti di una legge anche al passato, ma gli esempi che si trovano descritti in letteratura sono per lo più di carattere positivo: aumenti di stipendio con decorrenza retrodatata, leggi penali più favorevoli al reo (art. 2 c.p.), interpretazione autentica di una legge.
Ma nel caso del ricalcolo della pensione, la legge proposta è fortemente penalizzante e si pone in conflitto con una giurisprudenza della Corte Costituzionale, in materia pensionistica, che da decenni si mantiene costante.
La Corte Costituzionale, infatti, ritiene che sia consentito al legislatore modificare sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata. “Le nuove disposizioni però, al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto” (v. Sentt. n. 36/85, 349/85).
Scardinata sia pure una piccola parte della diga che protegge il nostro affidamento nelle leggi dello Stato, si sa da dove si comincia ma non si sa dove si va a finire. Non è il ricalcolo delle pensioni, quale che sia, il fatto più preoccupante, per quanto possa fare molto male a un gran numero di pensionati, ma l’incertezza del rispetto dei diritti, come potrebbe evolversi per il futuro.
È a questa deriva che siamo chiamati ad opporci. Non solo i pensionati, ma tutti i cittadini che vogliono vivere in uno Stato che rispetta le leggi che ha emanato.

Un nuovo contributo di solidarietà

La proposta più conciliante e praticabile potrebbe essere, allora, un nuovo “contributo di solidarietà” sulle pensioni in atto. Su quelle da una determinata soglia in su. Anche questa leva di prelievo, però, va maneggiata con molta attenzione. Vi sono vincoli da rispettare. Con molta chiarezza li ha fissati la stessa Corte Costituzionale. È vero: la Sentenza Cost. n. 173/2016, rifacendosi ad una sua precedente Ordinanza, la n. 160 del 2007, respinse i ricorsi contro la legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 486, che impose un “contributo di solidarietà” per tre anni (2014-2016); ma è anche vero che la stessa sentenza fissò dei paletti che, a nostro avviso, dovrebbero essere rispettati dal legislatore che ne volesse introdurre un altro, in un futuro più o meno prossimo.

I dieci paletti del contributo di solidarietà:
  1. Il contributo di solidarietà è consentito se si determinano condizioni di crisi del sistema previdenziale. Il contributo deve, pertanto, puntellare il sistema pensionistico e deve essere di sostegno previdenziale ai più deboli. 
  2. La crisi può essere indotta da vari fattori, endogeni ed esogeni (crisi economica internazionale, impatto sull'economia nazionale, disoccupazione, mancata alimentazione della previdenza, riforme strutturali del sistema pensionistico).
  3. In presenza di grave crisi, il sistema pensionistico deve operare come una mutualità intergenerazionale. 
  4. Il contributo deve realizzare un circuito di solidarietà interno al sistema previdenziale, nel senso che deve essere lo stesso Istituto di Previdenza (Inps) ad eseguire il prelievo su alcuni livelli pensionistici (ad esempio da una certa soglia in su). Ed è lo stesso Istituto che deve eseguire la distribuzione agli aventi diritto (ad esempio ai titolari delle pensioni più basse).
  5. L’intervento deve essere caratterizzato da una incontestabile ragionevolezza. Vale a dire, secondo la spiegazione del giudice costituzionale, che “il contributo di solidarietà sulle pensioni può ritenersi misura consentita al legislatore ove la stessa non ecceda i limiti entro i quali è necessariamente costretta in forza del combinato operare dei principi, appunto, di ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (artt. 3 e 38 Cost.)”. Sotto questo profilo la Corte non fa sconti. Si riserva di esercitare una stretta valutazione sul rispetto di costituzionalità. Detta in altri termini, e più brevemente, non è consentito al legislatore di agire arbitrariamente. 
  6. Se il sistema previdenziale si trova in una situazione di “crisi contingente e grave” la trattenuta come “contributo di solidarietà” può incidere solo “sulle pensioni più elevate (in rapporto alle pensioni minime)”. (Ad esempio su pensioni tra 14 a 30 e più volte il trattamento minimo di quiescenza, come il caso esaminato nella citata sentenza n. 173/2016).
  7. Ma anche sulle pensioni più elevate il prelievo deve essere di misura “sostenibile”. E il provvedimento è “sostenibile” sempre che sia temporaneo, perché non può negarsi che esso determina un innegabile sacrificio per quelli su cui ricade.
  8. Il contributo deve “rispettare il principio di proporzionalità”. Vale a dire che la trattenuta non può essere uguale su tutte le pensioni. Aumenta in rapporto alla misura crescente degli importi pensionistici. (Nel caso esaminato nella citata sentenza n. 173 l’incidenza veniva effettuata in base ad aliquote crescenti del 6, 12 e 18 per cento). 
  9. Anche in presenza di “effettiva crisi del sistema previdenziale un contributo sulle pensioni costituisce… una misura del tutto eccezionale, nel senso che non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza”. Non è consentita, quindi, una trattenuta strutturale, sotto forma di “contributo di solidarietà”, per fare cassa sulle pensioni. Specialmente se, vista la difficoltà di assestare un colpo decisivo alla criminalità che succhia sangue all’economia del Paese (ad esempio evasione fiscale, frode nei contributi previdenziali, economia sommersa, ecc.) il governo volesse ricorrere, come strumento sostitutivo e continuativo, per rimpolpare le casse dello Stato e rispondere alla domanda del suo elettorato di riferimento, al bancomat facile delle pensioni. Facile per l’impraticabilità di una resistenza efficace da parte di quelli le cui pensioni vengono periodicamente “alleggerite”.
  10. Insomma, secondo la Corte Costituzionale, un contributo di solidarietà è consentito, solo se si presenta come “misura contingente, straordinaria e temporalmente circoscritta”. E soprattutto se viene “utilizzato come misura una tantum”.

Conclusioni

  1. Se si sommano tutti i periodi, per lo più triennali, durante i quali sono state eseguite le trattenute (vedasi box in questo articolo) risulta che i pensionati hanno pagato contributi di solidarietà per oltre 30 anni. All’inizio della pratica solidaristica, anche per più di 7 anni di seguito. Negli anni più recenti alcuni hanno pagato doppi contributi, per 6 anni. Intanto un contributo, sia pure modesto, ma “ordinario”, è pagato in via permanente, nonostante il fatto che l'Ente a favore del quale fu istituito sia stato soppresso nel 1978. Nel Conto Riassuntivo del Tesoro al 31 dicembre 2017 risultano riscossi dall’Inps e dall'Inail e versati alle Regioni fondi per oltre 358 milioni, già destinati per legge all'ex Onpi.
  2. Non risulta che altre categorie sociali siano state chiamate a pagare un’“imposta” aggiuntiva oltre l’Irpef sui loro redditi per così lungo tempo. Il nuovo progetto applica il meccanismo di calcolo anche agli organi costituzionali, ma l’annunciato dimezzamento dello stipendio dei parlamentari è scomparso nel dibattito governativo. Si accentua però il taglio alle pensioni, con un meccanismo che determinerà un forte contenzioso sul piano della legittimità costituzionale. Prima di introdurre un nuovo eventuale contributo di solidarietà, qualche considerazione in merito il nuovo legislatore dovrebbe farla.
  3. Dovrebbe anche tenere conto che, mentre con una mano venivano operate le trattenute descritte, il legislatore di turno, con l’altra mano, modificava in peggio la perequazione (4 modifiche), e ne bloccava il meccanismo (3 sospensioni, di cui una, 2012-2013, per due anni di seguito).
  4. È giusto trovare risorse per sostenere le pensioni più basse e assistere le persone più indigenti. Per questo, fin dagli anni ‘60, con un “contributo di solidarietà” proprio dei pensionati, fu istituito l’“assegno sociale”. Nessuno può opporsi a che, per quelli che veramente versano in condizioni di grave svantaggio, siano attivate politiche sociali, le più adeguate. Ma se si vuole aumentare l’assegno e altre prestazioni assistenziali, le risorse non possono venire dai pensionati, come appare dalle politiche che si stanno mettendo in piedi; devono venire dalla fiscalità generale. Al riguardo sarebbe utile un buon ripasso della funzione e dei meccanismi di prelievo che prescrive l’articolo 53 della nostra Costituzione.

I provvedimenti che hanno imposto contributi di solidarietà (50 anni)

  1. Contributo di solidarietà: art. 22, L. n. 583/1967 e art. 1, L. n. 369/68. Trattenuta progressiva a favore del Fondo sociale sulle pensioni eccedenti l'importo di lire 7 milioni e 200mila annue. Dal 1º aprile 1968 al 31 dicembre 1975.
  2. Contributo di solidarietà: ex-ONPI, L. n. 641/1978. A decorrere dal 1º aprile 1979, soppressa l’Onpi (Opera Nazionale Pensionati Italiani) è rimasta in vigore la trattenuta a carico dei pensionati. Nel Conto Riassuntivo del Tesoro al 31 dicembre 2017 risultano versati alle Regioni oltre 358 milioni.
  3. Contributo di solidarietà: art. 37, L. n. 488/1999. Trattenuta per tre anni, a decorrere dal 1° gennaio 2000, del 2% su pensioni superiori al massimale annuo previsto dall'art. 2, comma 18, L. 8 agosto 1995, n. 335.
  4. Contributo di solidarietà: art. 3, commi 102-103, L. n. 350/2003. Trattenuta del 3%, per tre anni (2004-2006) su pensioni d’importo complessivamente superiori a 25 volte il trattamento minimo Inps.
  5. Contributo solidarietà: art. 1, commi 222-223, L. n. 296/2006. Trattenuta del 15%, per tre anni, a partire dal 1° gennaio 2007, sul TFR o il TFS e trattamenti integrativi di importo complessivo superiore a 1,5 milioni euro.
  6. Contributo solidarietà: art. 24, comma 2, L. n. 214/2011. Trattenuta per 6 anni (2012-2017) tra lo 0,3% e l’1% su pensioni imponibili ex fondi Volo, Telefonici, Elettrici, Ferrovieri, Ferrotranvieri, Inpdai, tutti confluiti nell’Inps.
  7. Contributo perequazione: art. 24, comma 31-bis, d.L. 6 dic. 2011, n. 201. Trattenuta a decorrere dal 1º agosto 2011 fino al 31 dicembre 2014 su pensioni superiori 90.000 euro. Diversi scaglioni. (Illegittimità: Corte Cost. Sent. n. 116/2013).
  8. Contributo solidarietà: per gli anni 2011-2016. D.lg., n. 138 13/08/2011 e rinnovo art. 1, comma 590, L. n. 147/2013. Trattenuta del 3% a carico dei contribuenti (anche pensionati) titolari di un reddito, complessivo superiore a 300.000 euro.
  9. Contributo solidarietà: per gli anni 2014-2016, art. 1, comma 486, L. n. 147/2013. Trattenute: 6% su trattamenti pensionistici tra 91.251,16 e 130.358,80 euro; 12% tra 130.358,80 e 195.538,20 euro; 18% superiori a 195.538,20 euro.
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in formato pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013

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