Far cassa con le pensioni impoverisce il Paese

Ci deve essere un modo per invertire la rotta e puntare allo sviluppo e benessere per tutti, senza danneggiare sempre i soliti

Francesca Fiorentino  

Associata ALDAI Federmanager
Il potere d’acquisto delle pensioni del ceto medio si riduce ogni anno per effetto dei tagli alle rivalutazioni per compensare l’inflazione. 
I dirigenti pensionati hanno perso il 10% del potere d’acquisto negli ultimi due anni e le pensioni sono dimezzate negli ultimi 30.

La riduzione del potere d’acquisto, oltre ad essere ingiusta in quanto discriminatoria nei confronti di chi si è maggiormente impegnato nel lavoro versando un patrimonio in tasse e contributi, riduce la capacità di spesa influendo negativamente sull’economia e sul benessere sociale, impoverendo il Paese.

Di seguito alcuni spunti di riflessione per invertire la rotta.

Occupazione e delocalizzazioni

Sappiamo tutti che l'INPS si regge sul ricambio generazionale. Le delocalizzazioni, ossia il trasferimento di attività produttive e gestionali verso paesi a più basso costo del lavoro, hanno ridotto le opportunità di occupazione nel nostro paese per diverse categorie di età, inclusi i giovani. Il fenomeno, in atto da oltre 20 anni, è passato semi-inosservato. Pur nel rispetto della libera circolazione di lavoro e capitali, credo sia opportuno regolamentare quest'area, almeno all’interno della Comunità Europea, aumentando la competitività del sistema paese e rendendo possibili incentivi per chi mantiene o riporta le attività in Italia. Se andiamo avanti in questo modo, non si aiuta l’Europa a migliorare lo status generale dei lavoratori, ma si sposta semplicemente il welfare da un paese all’altro, con potenziali effetti al ribasso su salari e stipendi in tutti i paesi. Al di là di proteste messe in atto in casi aziendali specifici, non ho personalmente mai visto un'azione strutturata e congiunta da parte tutte le organizzazioni dei lavoratori, non solo dei dirigenti. Questo aspetto, se adeguatamente indirizzato, potrebbe invece aiutare la crescita dell'occupazione in modo più bilanciato e di conseguenza contribuire all’equità e sostenibilità del sistema pensionistico in tutti i paesi.

Lotta all’evasione fiscale.

Se ne parla purtroppo come di un male incurabile. Mi limito a chiedere se sia possibile applicare meccanismi volti ad incentivare l’emissione di scontrini fiscali, simili a quelli già in uso in altri paesi europei. In tali paesi, ci sono categorie di spese che vengono dichiarate deducibili o detraibili solo all’inizio dell’anno successivo a quello di riferimento. In tal modo, durante l’anno le persone non sanno esattamente quali spese saranno soggette a trattamento fiscale facilitato e saranno quindi spinte ad esigere sempre lo scontrino.

Previdenza integrativa

Il livello di tassazione sulla previdenza integrativa è molto elevato, se si considera che questi sono risparmi già tassati con imposte sul reddito, a parte un minimo ammontare deducibile. Il riscatto di un fondo pensionistico integrativo è attualmente tassato da un minimo del 15% ad oltre il 20%. La tassazione sarebbe da azzerare secondo un principio di equità ma almeno si dovrebbe ridurla drasticamente. Questo aiuterebbe i giovani a destinare i loro risparmi a questo genere di investimento per evitare l’ansia della terza età senza pensione. 

Età pensionabile

Giusto adeguarla  alla vita media, ma bisogna considerare che di fatto il mercato del lavoro considera anziani i 55enni, in quanto non si è mai “adeguato”  alla  legge Fornero, contrariamente alle aspettative, pur comprensibili, del governo allora in carica e dei successivi. In parallelo quindi bisogna incoraggiare soprattutto le imprese private a sostenere  l'occupazione degli over 55 tramite incentivi fiscali “coraggiosi”, da finanziare con una seria lotta all’evasione. Credo sarebbe opportuna anche una campagna di informazione governativa che spieghi chiaramente al pubblico e quindi anche alle imprese che impiegare lavoratori di diverse età è un fattore di successo per la azienda oltre che un elemento di stabilità del sistema di pensionistico e in generale del “welfare”.

Dalle parole ai fatti

Infine vorrei ribadire una osservazione: occorre darci un tempo, oltre il quale, se non raggiungeremo  risultati concreti, potremmo considerare forme di protesta più visibili.  Purtroppo il 2024 vedrà le nostre pensioni ancora una volta prive di un dignitoso adeguamento e recupero dell’inflazione che ci sta impoverendo, nonostante i risparmi di una vita.

Oltre al dialogo costruttivo iniziato nel 2023 occorre affiancare un piano alternativo, qualora la cronica mancanza di risorse renda impossibile una accettazione delle nostre richieste. Se si ritiene che una discesa in piazza non sia opportuna, pensiamo magari ad altre forme di comunicazione che possano raggiungere un pubblico più vasto, come pagine dedicate sui principali quotidiani o partecipazione a programmi televisivi.

Se non servirà a recuperare il potere d’acquisto, favorirà almeno un clima culturale che superi i luoghi comuni e le sterili competizioni generazionali, preparando il terreno per un maggiore “ascolto” futuro da parte della politica. Non si tratta di interessi corporativi ma di sostenibilità degli sforzi richiesti per il futuro del paese. 
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