Alla scuola di “Recovery…”

Miglioramenti significativi della vita economica e sociale dei un Paese possono determinarsi solo attraverso investimenti nelle Riforme istituzionali e nelle infrastrutture fisiche e virtuali, i cui effetti positivi sono riscontrabili sul lungo termine

Antonio Dentato   

Componente Sezione Pensionati Assidifer - Federmanager
Che non sia freddo e spietato, in cui il forte depreda il debole; che sia il luogo dove non aggrediamo più chi non conosciamo. Un mondo migliore. È la speranza per il domani dei nostri figli e nipoti.  È la promessa che possiamo fare alle prossime generazioni. 
Sono questi i sentimenti e le riflessioni che ti sollecita la lettura di “Una terra promessa”, il libro di Barack Obama, pubblicato in lingua italiana da Garzanti Ed, 2020. (Titolo originale: “A Promised Land”). 

La crisi degli anni trenta. L’autore ci racconta che, appena in insediatosi alla Casa Bianca, il 20 gennaio 2009, come 44mo Presidente Usa si trovò a gestire la crisi più scottante sul piano economico e finanziario, dopo quella, altrettanto grave, che, negli anni trenta del secolo scorso, aveva colpito l’America. Una crisi che culminò, come è noto, nel c.d. “Black Tuesday” (29 ottobre 1929); fu determinata da operazioni bancarie che avevano favorito scelte azzardose e comportamenti illeciti. Si era allargata con velocità e modalità paragonabili alla diffusione di un “virus”, con devastanti intrecci ed eventi che l’Europa, e poi il mondo, furono costretti a patire: la salita al potere del nazismo, la saldatura col fascismo e la svolta bellica, le deportazioni, le colonizzazioni, la guerra civile spagnola, ecc. Al culmine della “Grande Depressione”, l’allora Presidente USA, Franklin Delano Roosevelt (1933-1945), nel discorso d’insediamento alla Casa Bianca (4 marzo 1933), metteva sotto accusa le attività dei banchieri privi di scrupoli. Dette il via a l’“Emergency Banking Act” e seguenti, al “National Industrial Recovery Act” per il rilancio industriale. Nel complesso: una nuova arte del governare. Lo Stato entrava nell'economia, operando come meccanismo regolatore, e anche per scongiurare frequenti tensioni sociali. Un vasto programma politico innovativo noto come New Deal. 

La lezione del New Deal. Analizza e valuta le soluzioni date alla crisi degli anni ’30, Obama, quando deve decidere quali misure adottare per fronteggiare la crisi dei mutui immobiliari (c.d. crisi delle “subprime”) scoppiata nel 2008. Un enorme mercato che, come “un castello di carte [aspettava] solo di crollare”. Il sistema finanziario stava trascinando a fondo l’economia americana, con ripercussioni disastrose nel mondo intero. Spiega, pertanto, che senza “un intervento rapido e aggressivo da parte del governo federale, le probabilità di una seconda Grande depressione erano circa una su tre”
Prende in esame gli effetti del New Deal del Presidente F.D. Roosevelt: avevano avuto “il merito di impedire che le cose prendessero una piega tragica”. Col suo staff Obama apprende la lezione. L’idea di Roosevelt “era quella di pompare liquidità nell’economia fino a quando gli ingranaggi non ricominciavano a girare”. Con questo spirito vara l’”American Recovery and Reinvestment Act” (abbrev. “Recovery Act”, risorse per 800 miliardi di dollari). E, con altre misure (es. Riforma sanitaria), avvia un corposo programma economico e sociale inteso a fronteggiare la crisi. Risponde così anche alle promesse fatte durante le primarie e la campagna elettorale; coglie anche l’aspirazione e le esigenze di molti popoli del Mondo. Come strumento utile a fronteggiare la crisi delle “subprime” ormai divenuta globale, suggerisce anche agli altri Paesi di adottare politiche affini a quelle del “Recovery Act”. Il suggerimento voleva essere anche l’occasione per stringere collaborazioni multilaterali e trovare insieme soluzioni a problemi planetari: ambiente, pace, diritti fondamentali dei popoli e dei singoli.

Opposizioni e incomprensioni. Dall’ampio programma varato e da alcuni risultati più immediati ottenuti, era lecito attendersi una sufficiente soddisfazione collettiva. Ma non fu così. La crisi piuttosto che “ristabilire una comunanza di intenti o un qualche grado di fiducia nella capacità del governo, aveva anche incattivito le persone; le aveva rese più timorose, accrescendo la convinzione che tutto fosse combinato”. Continuarono, implacabili, gli attacchi degli oppositori politici. Con ampia copertura mediatica. 

L’anatra zoppa. Infine, gli oppositori politici fecero prevalere le loro tesi, argomentando che l'economia nazionale era giunta ad un’esasperante fase di stallo. Il Partito Repubblicano prevalse alle elezioni di medio termine del 2010: pieno controllo della Camera dei Rappresentanti, aumento del numero dei seggi al Senato. Una grande sconfitta per i democratici. Obama, per la seconda parte del primo mandato, dovette governare come “presidente dimezzato” (in gergo “lame duck”, “anatra zoppa”). Le attese di soluzioni immediate sembravano essere state deluse. Solo sul lungo termine, infatti, le iniziative politiche e le Riforme avrebbero dimostrato tutta la loro efficacia. Pertanto Obama commenta: «Per quanto mi riguardava, le elezioni (quelle di metà mandato, n.d.r.) non dimostravano che il nostro programma era sbagliato. Provavano solo che – per mancanza di talento, astuzia, fascino o fortuna – non ero riuscito a mobilitare la nazione per ciò che sapevo essere giusto, come aveva fatto un tempo Franklin Delano Roosevelt. E questo, dal mio punto di vista, era una colpa». Una riflessione. Che vale anche da autorevole richiamo, come “pietra d’inciampo” per gli operatori della politica. Che facciano ben comprendere il senso dei provvedimenti che si mettono in campo, gli obiettivi, i tempi di preparazione, le pratiche di attuazione; valutino le aspettative suscitate che poi non siano deluse. 

La visione di lungo termine. Quanto fin qui scritto non ha la pretesa di una recensione del libro di Barack Obama. Questo avrebbe richiesto una esposizione, sia pure breve, sulla sua nascita (e relative polemiche strumentali), sui capitoli che raccontano cronologicamente la vita familiare e l’ascesa politica, da senatore dell’Illinois a Presidente degli Stati Uniti d’America, fino alla prima metà del primo mandato (due mandati: 20 gennaio 2009/20 gennaio 2017). Successi e insuccessi, errori e fatiche.  È un autobiografia che è anche storia; e, in quanto storia, è storia contemporanea che ci coinvolge, per le riflessioni che stimola sui tempi che stiamo vivendo, per i parallelismi tra vicende passate e presenti. Storia che si fa insegnamento. 
I nostri riferimenti sono più limitati. Riguardano particolarmente, come si è detto, l’attivazione di massicci stimoli finanziari e fiscali per fronteggiare la crisi e per far ripartire l’economia. Sono gli aspetti che possono valere come esempi, anche per Governi e forze politiche che operano attualmente; e possono valere come riferimento, ai fini della strategia comunicativa. Per dire, con la dovuta chiarezza e onestà di pensiero, che non esistono soluzioni semplici, rapide, per situazioni complesse. Come quelle indotte, ad es. da crisi economiche, finanziarie, cc. O come quella attuale: una crisi da virus, diffusa, di proporzioni planetarie. 
E qui vale la pena ricordare i tentativi svolti da Obama, d’intese tra USA e UE, negli anni 2009-2010. L’UE era il miglior partner economico degli USA, i rispettivi mercati finanziari andavano di pari passo. Ma le difficoltà economiche e finanziarie, soprattutto dei Paesi europei periferici (Irlanda, Portogallo, Grecia, Italia Spagna) condizionavano la ripresa complessiva. Il governo Usa consigliava di varare, come detto, incentivi somiglianti a quelli varati in America per fronteggiare la crisi scoppiata con le “subprime” e dilagata anche in Europa. Una intuizione i cui precedenti storici possiamo riferirli all’“European Recovery Program”, (ERP) detto anche “Piano Marshall” (1947) con l’obiettivo di rendere concrete le politiche di reciproci vantaggi economici e finanziari, in riparazione dei danni prodotti dalla guerra. Ma i principali protagonisti della politica comunitaria (Germania, Francia) non manifestarono “il benché minimo entusiasmo” verso misure somiglianti al “Recovery Act” adottato da Obama. Perché mai questa scarsa diponibilità a un’attiva collaborazione? Una tale scelta, certo, avrebbe reso evidente ai loro elettori “le implicite conseguenze dell’integrazione europea - il fatto che i loro destini economici fossero ormai legati, nel bene e nel male…” e Obama ne conclude che, forse, “la cosa avrebbe potuto non essere accolta con favore”. Scelte di politiche interne, elettoralistiche, dunque. Reticenze che, come è noto, hanno determinato conseguenze disastrose, ancora non del tutto risolte. 

Un salto di qualità. Finalmente l’UE ora ha appreso la lezione. A fronte della crisi in atto, ha deciso una emissione comune di bond con debito a carico del bilancio comunitario [(Recovery Fund, o Next generation EU, (NXEU)].  È il salto di qualità della politica di bilancio dell’Ue ed è anche un passaggio importante per una nuova UE verso l’integrazione. Come spiegano gli esperti del settore: i fondi raccolti serviranno per stabilizzare il ciclo economico su breve termine, ma soprattutto per investimenti con una visione declinata al futuro. Che significa investimenti nelle Riforme istituzionali e nelle infrastrutture fisiche e virtuali, i cui effetti positivi, però, saranno riscontrabili sul lungo termine. Nel frattempo si potranno avere miglioramenti intermedi, progressivi. I destinatari sono quelli cui abbiamo il dovere di consegnare un mondo migliore, sono le future generazioni. Utilizziamo le parole dette nell’intervista rilasciata alla Rivista francese “Paris Match” (03/12/2020) dall’autore del libro di cui abbiamo parlato in questo articolo. Diceva il Presidente Obama: “la mia missione, io l’ho concepita pensando alla prossima generazione”. 
La prossima generazione europea, dunque,“Next Generation EU”, è l’obiettivo già definito nel titolo dello strumento finanziario europeo. Nello stesso ambito si colloca il “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (PNRR), il piano italiano contenente il pacchetto complessivo d’interventi per una spesa di 222 miliardi. Spesa formata da 191,4 miliardi provenienti dal NXEU vero e proprio (138,5 per nuovi progetti e 53 per sostituire coperture di progetti già in essere), dall’altro 30,06 provenienti dal Fondo complementare alimentato con lo scostamento di bilancio in cui dovranno confluire i progetti “esclusi” dal Piano. (Per dettagli v. Tab.). A questi finanziamenti si aggiungeranno ulteriori 26 miliardi da destinare alla realizzazione di opere specifiche: Ferrovie Alta Velocità Salerno-Reggio Calabria; attraversamento di Vicenza relativo alla linea ad Alta Velocità Milano-Venezia e reintegro delle risorse del Fondo sviluppo e coesione, utilizzate nell’ambito del dispositivo europeo per il potenziamento dei progetti ivi previsti per 15,5 miliardi. Una previsione di spesa per un totale di 248 miliardi. A tali risorse, si aggiungono poi quelle rese disponibili dal programma REACT-EU (Recovery Assistance for Cohesion and the Territories of Europe) che verranno spese negli anni 2021-2023. 

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