Il caso Olivetti

In un’avvincente ricostruzione di successi e tragedie, intrighi internazionali e beghe interne, l’autrice racconta un realtà innegabile: nel pieno della Guerra Fredda il progressista Adriano Olivetti era considerato una minaccia, e l’ascesa della sua azienda andava fermata con ogni mezzo

Di Meryle Secrest
RIzzoli, collana Saggi
Pagine 400 - Prezzo 19 €

Recensione a cura della redazione
Quella dell’Olivetti è una storia d’eccellenza italiana dalla quale trarre riflessioni utili per il futuro. Nata ad inizio Novecento dal genio anticonformista di Camillo, l’azienda è cresciuta all’insegna dell’innovazione, della cura al design e dell’attenzione alle esigenze dei dipendenti. L’impegno umano e professionale del fondatore e di suo figlio Adriano, decisi a coniugare progresso tecnologico e sociale, non si è arrestato nemmeno nel Ventennio fascista; anzi, negli anni seguenti l’azienda ha sviluppato prodotti così belli e funzionali – la Lexikon 80, la Divisumma 24, la Lettera 22 – da essere inseriti nella collezione del MoMA di New York ed entrare nell’immaginario comune quali perfette incarnazioni del Made in Italy. Portata ai vertici del settore proprio da Adriano, anche grazie al contributo di suo figlio Roberto e di ingegneri talentuosi come Mario Tchou, la Olivetti è arrivata a far concorrenza ai colossi americani dell’elettronica sviluppando il primo modello di desktop computer: il Programma 101, adottato persino dalla NASA. Poi, il declino. La morte di Adriano nel 1960, quella di Tchou nel 1961 e la chiusura dell’avanguardistico laboratorio di elettronica hanno sempre alimentato sospetti. Ma che cosa accadde davvero il 27 febbraio 1960 sul treno diretto in Svizzera, e l’anno successivo sul cavalcavia della Milano-Torino che conduceva al casello di Santhià? Attraverso interviste a storici, familiari, ex dirigenti e dipendenti, affiancate da un’attenta analisi dei documenti disponibili, Meryle Secrest racconta la fine di un’era e aggiunge un tassello fondamentale alla comprensione dei fatti.
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