Il doppio attacco ai pensionati: pressione fiscale e perdita di potere d’acquisto

Anni di manovre penalizzanti e rivalutazioni tagliate hanno eroso il potere d’acquisto dei pensionati. Serve una risposta organizzata, unitaria e visibile

Antonio Dentato   

Componente Sezione Pensionati Assidifer - Federmanager
I pensionati del ceto medio hanno rappresentato, e continuano a rappresentare, una componente fondamentale del tessuto sociale ed economico del nostro Paese. Il loro contributo non si esaurisce con la fine della carriera lavorativa: al contrario, si manifesta in forme concrete di sostegno alla società, attraverso l’aiuto alle famiglie, l’impegno nel volontariato, la partecipazione attiva nelle associazioni.
Secondo il Rapporto CIDA-Censis Rilanciare l’Italia dal ceto medio (presentato lo scorso 22 maggio), quasi la metà dei pensionati del ceto medio, il 46,9%, aiuta regolarmente figli o nipoti, mentre un ulteriore 32,4% lo fa saltuariamente. Un dato ancor più significativo: il 65,4% ha già contribuito – o prevede di farlo – alle spese più impegnative dei figli o di altri familiari come l’acquisto della casa o dell’automobile. Un impegno che spesso supplisce a carenze strutturali dello Stato e che rappresenta una rete di protezione fondamentale per il futuro delle giovani generazioni. Eppure, nonostante il ruolo essenziale – spesso invisibile e sottovalutato – svolto dai pensionati del ceto medio nel sostenere il tessuto sociale ed economico del Paese, questa categoria si trova oggi a dover fronteggiare sfide sempre più complesse, in particolare su due fronti:
  • il sistema fiscale, dove i prelievi sui redditi da pensione rappresentano ormai una fonte stabile di finanziamento per le politiche endoprevidenziali;
  • la svalutazione sistematica dei contributi previdenziali, determinata da scelte politiche penalizzanti: il blocco o la manipolazione del meccanismo di perequazione ha irrimediabilmente eroso il potere d’acquisto delle pensioni.

La narrazione

Senza alcuna pretesa di approfondire in termini tecnici la complessa situazione in cui si trovano oggi i pensionati del ceto medio, in questo articolo ci limitiamo a riportare i fatti: la cronaca essenziale di come siano stati, e continuino a essere, il bersaglio di politiche che hanno progressivamente eroso il valore reale dei loro redditi pensionistici. 
Nel quadro politico, nessun dissenso. Un vero e proprio paradosso, che non si spiega soltanto con le decisioni legislative, ma che affonda le sue radici anche in un ambiente sociale reso ostile, nella frammentazione delle rappresentanze e nell’isolamento progressivo dei pensionati del ceto medio nella narrazione pubblica.
Al centro di questa vicenda, una retorica astiosa che per oltre vent’anni ha deformato il dibattito sulle pensioni, costruendo una narrazione volta a incentivare l’indignazione basata su argomentazioni demagogiche e su pregiudizi. Qualche esempio:
  • La retorica delle pensioni non coperte da contributi ha finito per oscurare il contesto storico in cui vennero emanate molte norme nel dopoguerra, un periodo segnato da interventi emergenziali resi necessari dalle gravi difficoltà economiche e sociali. 
  • Il dibattito sul ricalcolo delle pensioni, rilanciato periodicamente in chiave propagandistica, nonostante le evidenti difficoltà tecniche e giuridiche. L’impossibilità di procedere concretamente al ricalcolo, per il difficile reperimento di documentazione relativa ai trattamenti più lontani negli anni, ha finalmente posto fine alla lunga polemica (vedi Audizione presso la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati del 15 marzo 2016; Comunicato CIDA, 15 marzo 2016 e L’ossessione del ricalcolo delle pensioni, Dirigenti Industria, luglio 2017). 
  • L’uso strumentale dell’espressione “pensioni d’oro”, con connotazione dispregiativa, ha contribuito a creare una frattura sociale e a colpire indiscriminatamente le pensioni medio-alte, legittimando frequenti interventi depressivi.

Il prezzo pagato dai pensionati: prelievi, modifiche normative, blocchi, ricalcoli… 

La costante ricerca di soluzioni per comprimere la spesa pensionistica emerge dalle note che seguono.

a) La giurisprudenza  
Nella documentazione parlamentare del 5 luglio 2022, si legge che già dalla seconda metà degli anni Ottanta la Corte costituzionale ha contribuito a contenere le spinte espansive insite nel sistema pensionistico, valorizzando il principio del bilanciamento complessivo tra i diritti costituzionali in gioco in una prospettiva di compatibilità economica e finanziaria (Cfr. Sentt. n. 180/1982, n. 220/1988, n. 316/2010, n. 70/2015, n. 234/2020, n. 19/2025).
b) Proposta di modifica dell’art. 38 Cost. 
Va ricordata la proposta del 2015 di modifica dell’articolo 38 della Costituzione. Una proposta di per sé lodevole, in quanto si inseriva in un contesto di riforme volte a rendere il nostro sistema previdenziale più equo e sostenibile. Tuttavia, a un’analisi più approfondita, si osservò che la modifica avrebbe favorito la trasformazione del sistema pensionistico da previdenziale ad assistenziale. La proposta non completò l’iter legislativo e decadde.

c) Nuova proposta di ricalcolo
Qualche tempo dopo, il 6 agosto 2018, fu presentata una proposta di legge per il ricalcolo dei trattamenti pensionistici superiori a 4.500 euro mensili, basato sul metodo contributivo. In realtà, come precisato da Itinerari Previdenziali (Approfondimenti, 14 agosto 2018), la proposta non avrebbe comportato un vero e proprio ricalcolo, ma una riduzione delle pensioni determinata dal rapporto tra i coefficienti di trasformazione corrispondenti all’età effettiva di pensionamento e quelli fissati per l’età di pensionamento prevista per legge. La proposta, per i suoi effetti retroattivi, sollevava  evidenti profili di incostituzionalità. Ritirata il 3 luglio 2019, venne sostituita da un “contributo di solidarietà” quinquennale, successivamente limitato a tre anni dalla Corte Costituzionale (Sent. n. 234/2020).

d) Interventi continuativi per comprimere i redditi dei pensionati
Mentre si incrociavano proposte di modifiche costituzionali e di ricalcolo, il legislatore di turno – con la sola eccezione del 2022 – continuava incursioni sul meccanismo di perequazione. Vedi tabella che segue:

La partita è sempre aperta

La cronologia sopra esposta evidenzia come il sistema di perequazione delle pensioni, soprattutto negli ultimi dieci anni, sia stato sottoposto a continui sconvolgimenti, che però sembrano finiti:  dal 1º gennaio 2025, infatti, il meccanismo standard (100%, 90%, 75%) è stato ripristinato. Una buona notizia. 

Sembrano finiti, dicevamo, ma non è così. La buona notizia, infatti, non è per tutti. Perché la catena dei provvedimenti depressivi sulle pensioni non deve mai interrompersi in via definitiva. Pronta a continuare. Tant’è che, mentre nelle sedi tecniche si procedeva, come da decreto ministeriale del 15 novembre 2024, in altra sede – Parlamento – si decideva diversamente.
Senza una motivazione veramente plausibile, veniva esclusa dalla rivalutazione una minoranza di pensionati. Disposizione eccezionale e temporanea che, per il 2025, esclude 60.740 prestazioni superiori al minimo erogate a pensionati residenti all’estero (Legge di bilancio n. 207/2024, art. 1, comma 180).

Perché questa disposizione è particolarmente grave? Non tanto per le perdite economiche, che comunque risultano rilevanti se si considera l’effetto trascinamento cumulato, destinato a pesare per tutta la vita sui titolari di queste prestazioni, ma soprattutto perché la discriminazione è operata a danno di cittadini italiani che hanno esercitato il diritto costituzionale alla libertà di risiedere ovunque nel mondo, che rispettano le norme di diritto europeo e le convenzioni internazionali in materia di residenza, che continuano a pagare integralmente tutte le imposte in Italia. Poche eccezioni sono definite in accordi bilaterali, come si legge nel Rapporto INPS (Pensioni pagate all’estero: Aggiornamento anno 2023). Finito il serrato confronto nelle aule parlamentari, fuori, in Italia e all’estero, l’argomento, ormai, non interessa più a nessuno.

Conclusione: un'urgenza non più rinviabile

Perché i pensionati del ceto medio subiscono in silenzio misure penalizzanti, senza riuscire a trasformare il malcontento in iniziative che possano incidere sulla politica? Le ragioni, a nostro avviso, sono molteplici: isolamento sociale, narrazioni ostili che li dipingono come privilegiati, timore di esporsi pubblicamente, difetto di cultura nella difesa dei diritti acquisiti, una rappresentanza frammentata. A questo si aggiunge una percezione particolarmente amara: i pensionati con trattamenti superiori a quattro volte il minimo non si sentono adeguatamente tutelati. (Cfr. A. Brambilla, Senza classe media non c’è futuro, Itinerari Previdenziali, Il Punto, 27/2/2023). “Senza diritto di sciopero, senza strumenti di pressione, con una rappresentanza debole e frammentata” i pensionati con trattamenti superiori alle quattro volte il minimo “sono stati esposti a una sistematica erosione del proprio potere d’acquisto”. Intanto “sono spariti letteralmente due valori fondanti e tipici della middle class: il merito e il dovere. Al loro posto – continua l’analisi di Brambilla – si è tracciata una linea di demarcazione utilizzata da tutti i governi che si sono succeduti in questo periodo: una linea che, tradotta in ‘reddito dichiarato’, è stata fissata a 35mila euro lordi l’anno. Oltre questo livello di reddito si è esclusi da tutto. In primis, dalla rappresentanza politica e sindacale, perché questa parte di italiani, ormai ridottasi, sotto il profilo elettorale non interessa a nessuno: sono solo cittadini da ‘spremere’ quando serve. Una riprova? La dimostrazione plastica la si ricava dall’indicizzazione delle pensioni all’inflazione che ha massacrato, ma ciò accade da tempo, le pensioni della classe media”.

È una strategia miope, che mina il patto sociale e mette a rischio la coesione collettiva. Non è più il tempo del silenzio: serve una svolta culturale e una mobilitazione concreta per difendere i pensionati del ceto medio, lavoratori che hanno contribuito alla crescita del 
Paese e che ancora oggi sostengono famiglie e comunità.

Per questo non bastano più dichiarazioni generiche. Occorre che, all’interno delle Organizzazioni rappresentative, siano valorizzate entità dedicate ai pensionati del ceto medio. Strutture trasversali, capaci di tessere alleanze, creare sinergie, fare rete, e dare finalmente forza e voce a chi, troppo a lungo, è stato lasciato solo. ?

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