Hijra, eunuchi e femminielli

I paralipomeni (della prima parte) di “Il Ministero della Suprema Felicità” di Arundhati Roy, scrittrice ed attivista indiana, che ha scritto il libro dopo venti anni di silenzio letterario, ma non di saggistica sulla situazione sociale indiana.

Giuseppe Firrao

Componente GdL Cultura ALDAI
Ultimamente mi sembra di essere come il direttore della Biblioteca di Beyazit (Da Istanbul Istanbul di Burhan Sönmez.), Serafet Bey, il cui orologio, unico in tutta Istanbul, andava avanti di dieci minuti e lui era convinto che fossero gli orologi di tutta la città ad andare indietro. E poi si scopre, in seguito ad un tragico avvenimento, che aveva ragione lui.
Leggo un libro (come mi è successo con Istanbul Istanbul), mi piace (qualche volta anche molto) e questo non compare mai nelle classifiche del Corriere della Sera o de La Repubblica o de La Stampa.
Lo stesso sta accadendo con "Il Ministero della Suprema Felicità", finora ignorato dai principali giornali italiani, anche se l’ho trovato veramente bello e denso: per me, si vede come la scrittrice abbia voluto esprimere in forma letteraria venti anni di studi e saggi sulla situazione sociale degli infimi in India. E, infatti, il libro è dedicato Agli inconsolabili. Il libro precedente scritto vent'anni prima è "Il dio delle piccole cose", che ha vinto nel 1997 il Booker Prize ed è stato tradotto in 40 lingue.  
È impossibile descrivere tutto il libro e mi limiterò a riassumere la seconda parte ed a dedicare maggiore attenzione alla prima, che dimostra come indiani ed europei meridionali non siano, antropologicamente, così distanti. Non parlerò della conclusione del volume, per non rovinare il gusto dell’attesa ai futuri lettori. 
Le due parti hanno un punto di collegamento e di snodo nella figura di Miss Jebeen seconda, della quale si scrive «Fu lì, vicino alle Madri degli Scomparsi (Un gruppo simile alle Madri argentine di Plaza de Mayo), che apparve la nostra bambina silenziosa. Le Madri ci misero un po’ ad accorgersene perché era del colore della notte … e ci si domandò “Di chi è questa bambina?”. Qualcuno disse che era di una mendicante. Qualcun altro disse che era di una rapevictim (la vittima di uno stupro), una parola che restava uguale in tutte le lingue dell’India (La madre, in realtà era stata una intoccabile – dalit -, guerrigliera comunista nelle foreste del nord est dell’India.). … Infilato nello spesso cordoncino nero legato alla vita della piccola c’era un pezzo di carta ripiegato più volte e ridotto ad un quadratino, chiuso da un lato con il nastro adesivo. Conteneva un messaggio in inglese dal significato inequivocabile. Non posso prendermi cura di questa bambina. Perciò la lascio qui.»
Sull’accudimento della bambina nasce una rissa tra Anium (nata Aftab), interprete della prima parte, ed S. Tilottama, eroina della seconda. Fu il desiderio di maternità a portarle allo scontro. Nel trambusto è S. Tilottama a portarsi via la neonata e sarà lei a chiamarla Miss Jebeen seconda.

*  *  *

Tutta la seconda parte ha come sfondo la Rivolta del Kashmir (Il Kashmir è una regione situata a nord del subcontinente indiano fra India e Pakistan. Entrambe ne rivendicano la sovranità, mentre la Cina rivendica solo la zona che attualmente controlla) nell’intorno del 1995: «Il martirio si insinuò nella valle del Kashmir varcando la Linea di Controllo e superando al chiaro di luna passi di montagna presidiati dai militari. … Oltrepassò, arrancando, ragazzi abbattuti dai proiettili e abbandonati sui cumuli di neve ammucchiati dal vento». La storia ha inizio nel 1984, allorquando «Indira Gandhi fu uccisa dalle sue guardie del corpo sikh. Nei giorni successivi, folle guidate dai sostenitori di Indira uccisero migliaia di sikh a Delhi. … una banda di teppisti linciò un anziano sikh. Gli tolsero il turbante, gli strapparono la barba e gli infilarono al collo un copertone in fiamme stile Sud Africa, mentre la gente li circondava latrando frasi di incitamento. …. [Dopo qualche tempo] i furiosi assassini ritrassero le zanne e ripresero le loro attività quotidiane di impiegati, sarti, idraulici, falegnami, negozianti, e la vita andò avanti come prima (E chi scrive tornò a Delhi a continuare il suo lavoro, rimandato per i riots).» In questa atmosfera si incontrano durante gli ultimi anni di Università quattro giovani: una ragazza, S. Tilottama, detta Tilo («Non appena la vidi, una parte di me uscì dal mio corpo e si avvinghiò a lei. E là è rimasta.» dice l’unico dei tre ragazzi che l’ha amata solo platonicamente). Essa «aveva il viso piccolo, con un’ossatura sottile, e il naso dritto, dalle radici allargate e impertinenti … i capelli lunghi e folti … e trascurati. … Non era alta, ma era slanciata». Si scoprirà provenire da Cochin, Kerala ed essere la figlia illegittima che una indiana di alta casta aveva avuto da un intoccabile (da cui il colore scuro della sua pelle); Musa Yeswi, un kasmiro, che «possedeva la bellezza strepitosa di molti giovani» del suo paese; Nagarai, detto Naga, Hariharan, un bramino figlio di ambasciatore, «Bello, magro, buon giocatore di cricket»; e, infine Biplob Dasgupta, anche lui di alta casta, figlio di un chirurgo. Col tempo, quest’ultimo entra nei servizi segreti e, dopo dieci anni viene inviato in Kashmir; Naga diventa un giornalista, prima di idee comuniste e, poi, quando diventa inviato nella stessa regione, controllato dai Servizi segreti; Musa torna in Kashmir e diventa il capo di un gruppo di rivoltosi; Tilo, infine, raggiunge Musa (che la chiama Babajaana, Amore mio), di cui diventa l’amante («Quello che successe quella notte sulla HB Jhaheen - Una barca su di un lago del Kashmir - fu più un lamento che un fare l’amore»), e, dopo essere stata salvata da Biplob dalle mani di Amrick Singh, un colonnello torturatore dell’esercito indiano, torna a Delhi, dove diventa la moglie, per quattordici anni, di Naga. Per comprendere il nome dato da Tilo alla bambina nera, è necessario descrivere la figura di Miss Jebeen (prima) - figlia di Musa e di una bellissima kashmira -, della quale è scritto che «non aveva accumulato molti Oggi da barattare con i Domani altrui … e che, senza che nessuno l’avesse consultata in proposito, divenne una delle più giovani martiri del Movimento. La seppellirono accanto alla madre. Madre e figlia uccise dalla stessa pallottola. Penetrata nel cranio di Miss Jebeen attraverso la tempia sinistra e fermatasi nel cuore della madre. Nell’ultima fotografia della bambina, la ferita sembrava un’allegra rosa estiva infilata sopra l’orecchio sinistro».

*  *  *

«In una fredda notte di gennaio alla luce di una lanterna (mancava la corrente) a Shahjahanabad, la città murata di Delhi» nacque il quarto di cinque figli, atteso da sei anni, di Jahanara Begum e dell’hakim Mulaqat Ali; la famiglia, insomma, era musulmana e si vantava di discendere dal secondogenito di Gengis Khan. Fu chiamato Aftab, come deciso da gran tempo. L’indomani mattina la sorpresa. La Begum, esaminando se il figlio fosse privo di difetti, scoprì, «annidata sotto il sesso maschile, un’apertura piccola e informe, ma inequivocabilmente femminile, … [anche se] non presentava passaggi aperti». (Evento raro, ma possibile. Si legga Dove nessuno ti troverà di Alicia Giménez Bartlett, dove si parla della Pastora. Donna e uomo, partigiana e bandito, datasi alla macchia per connaturata estraneità ai legami umani, accusata di ogni genere di delitto, per anni braccata invano dalla ferocia della Guardia Civil del Generale Franco, fu realmente protagonista di imprese ardite e divenne un personaggio della leggenda popolare.) La Begum decise di non dire niente a nessuno, neanche al marito, e di pregare in ogni Santuario che conosceva. «Nei primi anni della vita di Aftab il segreto di Jahanara Begum non corse pericoli …. E, sui cinque anni, mandato a frequentare la madrassa, apparve chiaro che il suo vero dono era per la musica. Aveva una voce dolce e intonata» e fu affidato ad un giovane musicista di talento, che insegnava musica classica dell’Hindustan. «A nove anni era in grado di intonare i chaiti e i thumri con l’abilità e la compostezza di una cortigiana di Lucknow. All’inizio la gente era divertita … ma ben presto cominciarono le risatine e beffe degli altri bambini: È una lei. Non è né un lui né una lei. È un lui e una lei. Lei-lui, lui-lei, ahiahiahi». A questo punto, anche perché Aftab doveva essere circonciso, la Begum raggranellò tutto il suo coraggio e parlò al marito, che, dopo lo shock iniziale, sgridò la moglie per aver taciuto per tanto tempo e decise di rivolgersi ad uno specialista di Nuova Delhi, lontano dai pettegolezzi di Shahjahanabad. Il prescelto fu il dottor Ghulam Nabi, che si definiva un sessuologo e che, esaminato Aftab, disse che «dal punto di vista medico il bambino non era un hijra (Per la definizione di questo termine si veda la fine dell’articolo) – una donna prigioniera in un corpo maschile (Nella cultura religiosa indiana non è neppure preso in considerazione l’inverso: un uomo prigioniero in un corpo femminile.) -. Aftab era un raro caso di ermafrodita; poteva raccomandare il nome di un chirurgo in grado di chiudere con una sutura l’apertura femminile e prescrivere delle pillole. La terapia avrebbe giovato ma certe “tendenze hijra“ difficilmente sarebbero scomparse. Aggiunse, su domanda del padre, che tutti hanno tendenze di qualche tipo». In casa si cominciò a risparmiare per affrontare il costo dell’operazione, mentre Aftab passava le sue giornate sul piccolo balcone di casa a guardare la folla che continuava a riempire la via. Una mattina di primavera il bambino vide una donna alta, dai fianchi sottili, elegante nel suo salwar kameez di seta verde, comprare braccialetti da un venditore. Scese subito le scale e cominciò a seguirla, mentre desiderava essere lei, che era diversa da tutte le donne di Shahjahanabad, le quali portavano il burka, e poteva camminare così perché non era una donna. Aftab da quel giorno cominciò a dividere il proprio tempo tra le lezioni private di musica e le ore trascorse a ciondolare davanti alla Gali Dakotan, dove abitava la donna alta, insieme con altre sette creature simili a lei (una cristiana, due hindi, le altre musulmane), guidate da una guru, Kulsom Bi, più anziana di loro. Scoprì che la casa si chiamava Khwabgah, la Casa dei Sogni. All’inizio lo scacciarono da lì, per rispetto al padre, ma Aftab tanto si dette da fare, aiutando le creature, che alla fine riuscì ad introdursi nel Khwabgah e gli parve di entrare nel Paradiso. La sua prima amica fu Nimmo, di sei o sette anni più vecchia di lui, che un giorno gli disse che Dio un giorno aveva fatto «un esperimento. Aveva deciso di creare qualcosa, un essere vivente per cui fosse impossibile raggiungere la felicità. E così ha creato noi hijra». A quattordici anni Aftab comprese il discorso dell’amica. Il suo corpo andava cambiando: era diventato alto, muscoloso e pieno di peli e poi, disastro ancora più grande, gli cambiò la voce, che assunse un timbro profondo e virile. Non cantò mai più, se non per fare la parodia delle melodie dei filmi hindi durante gli sfrenati raduni hijra. Una volta abbandonato dalla musica, Aftab una notte rubò un po’ di soldi e gli abiti migliori delle sorelle e si trasferì nel Khwabgah. Jahanara Begum, nonostante la sua notoria ritrosia, si precipitò nell’haveli, ma tutto fu inutile e lei si limitò per anni a mandare ogni giorno un pasto caldo; a quindici anni il ragazzo «fu iniziato alle regole e ai rituali che lo avrebbero reso membro a tutti gli effetti della comunità hijra, diventò Anjum, discepola di Kulsoom Bi del Gharana di Delhi, uno dei sette clan regionali del paese e divenne la più famosa tra gli hijra di Delhi». (Per Hijra vedi N.B.1) di Delhi».

*  *  *

E qui l’articolo si sarebbe potuto considerare concluso se non mi fossi imbattuto in un articolo di Marino Niola (È un antropologo della contemporaneità. Insegna all'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. L’articolo è apparso il 15 agosto su La Repubblica.) sul Santuario di Montevergine, che, con i millequattrocento metri del Monte Partenio, incombe su Avellino. Quassù nel 40 a.C. sarebbe venuto Virgilio per interrogare Cibele, la Grande Madre degli dei, la quale rivelò al poeta che dopo un poco una vergine avrebbe miracolosamente dato alla luce un dio bambino, che avrebbe salvato il mondo (Si legga la quarta egloga, considerata la sliding door tra il mondo pagano e quello cristiano. La Virgo sarebbe Maria ed il puer Gesù.). Da secoli schiere di devoti arrivano in cima al monte, per chiedere grazie e, nel corso di una lunga salita notturna, ripetono, senza saperlo, l’antichissimo rito dell’ascensione al tempio della Magna Mater Cibele, alla quale i Galli si donavano anima e corpo. Al punto di evirarsi per sacrificare la loro identità maschile, durante una cruenta cerimonia chiamata dies sanguinis, e ricominciare una nuova vita simile a quella che, in India, da sempre è quella degli hijra. A Roma, dove il culto era stato introdotto nel 204 a.C., questi eunuchi, come gli hijra, si vestivano da donna con sete gialle, arancione, rosa e altri colori sgargianti. E, come gli hijra, attraversavano la città in corteo, scandalizzando gli abitanti con la sfrontatezza delle loro allusioni sessuali. 
Il monte Partenio è ancora oggi la meta prediletta di un’umanità en travesti. Con un passaggio di testimone millenario tra il popolo di Cibele e la galassia LGBT, che ha eletto a sua protettrice la Mamma Schiavona (Così è chiamata la Madonna di Montevergine a causa delle sue fattezze orientali.) “che tutto concede e tutto perdona”. «E corre a venerarla il 2 febbraio, giorno della Candelora. La chiamano la juta dei femminielli (Ricordate la potente scena di un immaginato incontro tra Giacomo Leopardi ed un femminiello ne Il Giovane favoloso di Mario Martone - 2014). E se il rapporto tra la dea e i suoi preti trasgressivi è un capitolo di storia pagana, quello tra la Madonna e gli omosessuali appartiene alla storia del cristianesimo popolare». Era il 1256, allorquando, così dice la leggenda, la Vergine salvò due giovani uomini che, per lo scandalo della loro relazione, erano stati legati ad un albero e abbandonati sul Partenio a morire di freddo e stenti. «L’Avvocata celeste inviò un raggio di sole, che sciolse la neve e le catene» ed il miracolo fu visto come un segno di tolleranza soprannaturale».
E un altro segno si può ascoltare ogni 2 febbraio, allorquando, improvvisamente si fa silenzio e si leva altissimo un canto «Non c’è uomo che non sia femmina e non c’è femmina che non sia uomo». La frase è ripetuta più e più volte come un mantra.

Ed è con un mantra Gayatri (vedi N.B.2), tratto da Il Ministero della Suprema Felicità, che voglio terminare questa presentazione:
 
Om bhur bhuvah svaba
Tat saviturvarenyam
Bhargo devasya dhimahi
Dhiyo yo nah pracodayat

O Dio, tu che ci hai dato la vita 
Ci liberi da dolori e sofferenze 
E ci dispensi la felicità
O creatore dell’universo
Concedici la tua suprema luce che distrugge il peccato
E guida le nostre menti nella giusta direzione.
 
Che differenza c’è con una preghiera di una religione monoteista?
N.B.1 Hijra è uno dei termini maggiormente utilizzati nella cultura dell'Asia meridionale - ma soprattutto in India - per riferirsi a quelle persone che si considerano come transgender o transessuali. Gli Hijra hanno una storia registrata nel subcontinente indiano sin dall'antichità, come suggerito anche dal Kama Sutra. Attualmente Nepal, Pakistan, India e Bangladesh hanno tutti legalmente riconosciuto l'esistenza di un terzo genere, anche per quanto riguarda il passaporto e gli altri documenti ufficiali
N.B.2  Gayatri (devanagari) è un termine femminile sanscrito che indica un antico metro composto da ventiquattro sillabe disposte secondo una terzina di otto sillabe ciascuna. Con tale metro furono composti numerosi inni (gayatrá sostantivo neutro) del Rgveda fra i quali il più sacro, principale e diffusamente recitato come mantra è indicato con lo stesso nome, gayatri, o anche come savitri perché dedicato a Savitr (Vivificante) il deva del Sole, come una rappresentazione visiva dell'Altissimo. Se in precedenza era consentito solo ai credenti di caste superiori recitare il mantra, oggi viene recitato dalla maggioranza degli indù, per lo più in forma di canto.
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in formato pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013