Il miraggio della mobilità sostenibile (verso la SEN)

Come abbiamo più volte avuto occasione di sostenere in precedenti articoli, nel nostro Paese i problemi posti dalla mobilità non sono stati mai veramente affrontati o lo sono stati poco e male.

Vincenzo Morelli

Già Direttore DCO Enel

Baldassarre Zaffiro

Già Project Manager DCO Enel

Un’ulteriore conferma viene dal documento presentato nella recente Audizione Parlamentare che contiene i preliminari di quella che dovrebbe essere la Strategia Energetica Nazionale (S.E.N.), preliminari basati su input ed evidenze emersi in vari tavoli sia di livello nazionale che internazionale, nei quali il complesso sistema della mobilità non è stato nemmeno delineato nei suoi termini essenziali.
Eppure la mobilità è una componente fondamentale dell’attività lavorativa, che nell’ambito produttivo della società ogni singolo cittadino deve poter svolgere senza incontrare ostacoli esterni.
Se non si affrontano i problemi legati alla mobilità, ad esempio, il tempo trascorso per raggiungere il posto di lavoro o dove svolgere una qualsiasi attività, finisce per essere un tempo sottratto all’attività vera e propria, venendo a costituire uno dei fattori che condizionano in negativo la produttività del nostro sistema-Paese, che proprio nei giorni scorsi l’Ocse ha rilevato essere tra le più basse in Europa.
Già in un precedente contributo (v. Staffetta Quotidiana, 10 aprile 2015) abbiamo condotto, partendo dai dati pubblicati dall’Aci, un’analisi particolareggiata riguardante sia il numero degli automezzi per il trasporto merci (materie prime, semilavorati, prodotti finiti) sia automibili e motocicli, trattori, autocarri con rimorchio ed autobus. Di questa analisi, estrapoliamo in particolare due aspetti che a nostro avviso fotografano meglio di tutti la situazione:
  • in Italia circolano circa 700 veicoli ogni mille abitanti, un valore che è tra i più alti d’Europa;
  • oltre l’86% di quanto trasportato viaggia su gomma.
Questo secondo dato soprattutto mostra come la strategia seguita negli ultimi decenni abbia favorito il traffico su gomma rispetto a quello su rotaia, trascurando le opportunità offerte dai sistemi intermodali – laddove realizzati – e l’uso alternativo delle vie d’acqua (Tirreno ed Adriatico) concentrando invece il traffico sulle autostrade che attraversano la penisola. Risulta evidente perciò la necessità di puntare con decisione su una filosofia che modifichi radicalmente i criteri di trasporto a favore del ferro. Rispetto alla gomma infatti, la rotaia consente di coniugare un basso impatto ambientale con una più alta efficienza sia in termini di velocità sia di regolarità del servizio, a tutto vantaggio degli utenti. In particolare un maggior sviluppo delle reti metropolitane, l’uso degli anelli ferroviari esistenti all’interno delle aree urbane e il ritorno alle linee tranviarie facilitano la ricerca di una mobilità sostenibile, diminuendo tra l’altro l’inquinamento causato dall’elevato numero di veicoli in circolazione e velocizzando i tempi di percorrenza dei mezzi pubblici di superficie, come peraltro già avviene in molte altre città europee.
Occorre inoltre comprimere al massimo, o almeno regolare con più decisione, il parcheggio privato nei centri storici, dove le dimensioni delle strade sono decisamente inadeguate; la sosta selvaggia contribuisce infatti in modo determinante alla congestione del traffico locale (che nelle ore di punta porta la velocità media delle autovetture a non superare i 4 km/h) e all’inquinamento dell’aria (polveri sottili – tra cui il Pm10 – e prodotti della combustione, il tutto rilasciato ad altezza d’uomo) perché le strade si trasformano di fatto in parcheggi privati di veicoli fermi, ma a motore acceso.
Un altro fattore che grava in maniera insostenibile sul traffico cittadino è l’affluenza dei mezzi privati dei pendolari i quali, per carenza e/o inefficienza di collegamenti regionali e linee suburbane, sono costretti a servirsi in prevalenza dell’auto privata, con tutto quello che ciò comporta in termini di costi ambientali, economici e financo sociali a carico dei pendolari stessi e delle comunità già congestionate nei luoghi dove si concentra il lavoro urbano. Attualmente sono in media oltre 13 milioni le persone che si recano ogni giorno fuori dal Comune di residenza: 13 milioni di spostamenti legati all’evoluzione socio-economica del Paese e, soprattutto, ai fenomeni di “diffusione abitativa” che hanno mutato il volto delle concentrazioni urbane in molte aree del Paese: il rincaro dei prezzi delle case nei centri storici ad esempio ha determinato il trasferimento nell’interland di ampie quote di popolazione. In mancanza di collegamenti pubblici adeguati, l’auto privata ha quindi assunto un ruolo predominante nell’affrontare gli spostamenti casa/scuola e casa/lavoro: il 74% contro il 15% del treno (utilizzato sia come unico mezzo di trasporto o in combinazione con altri mezzi) e l’11% delle corriere e degli autobus extraurbani. Ma quali sono i principali ostacoli che si frappongono alla soluzione dei problemi sopra esposti?
Un primo è imputabile al comportamento degli autotrasportatori, che si oppongono a qualsiasi modalità alternativa che sottragga loro un’attività oramai consolidata da decenni. Un secondo, che del resto discende al primo, riguardai costruttori di automezzi. Per affrontare i problemi ambientali causati dall’uso di combustibili fossili, le case automobilistiche stanno spingendo molto sullo sviluppo di motorizzazioni elettriche. Ma i motori elettrici, sebbene meno impattanti a livello di prodotti della combustione, non eliminano il problema della polveri sottili perché – essendo pur sempre destinati a veicoli che viaggiano su gomma – non eliminano gli effetti dell’interazione degli pneumatici con il tappeto di asfalto, senza contare che la capillare struttura di ricarica è ad oggi molto di là da venire.
Un altro problema infine è rappresentato dai comportamenti dei singoli cittadini i quali – come detto – per raggiungere il posto di lavoro o i luoghi di svolgimento delle proprie attività abusano impropriamente dell’autovettura privata nascondendosi dietro l’ineffificenza (peraltro reale) dei trasporti pubblici.
Un comportamento tanto radicato quanto inadeguato che finisce per aggravare i problemi della mobilità e creare incresciosi alibi per non rispettare le regole (civili oltre che del Codice della Strada).
Da quanto sinteticamente descritto, ricaviamo alcune riflessioni conclusive:
  1. quando si tenta di mettere mano ai problemi della mobilità urbana (ivi comprese le gravose conseguenti ricadute sulla produttività rilevate dall’Ocse) purtroppo dobbiamo constatare una volta di più che, nel tentativo di emanare norme legislative e regolamentari, si finisce per accatastare parole su parole in un labirinto di vincoli che – paradossalmente – generano l’effetto opposto, ovvero paralizzano l’attività dei cittadini e finiscono col dare adito ad un intreccio di opinioni inconcludenti ed inutili dispute;
  2. un approccio corretto ai problemi posti dalla mobilità, invece, significherebbe non solo incidere sul miglioramento della produttività, ma soprattutto sulla qualità della vita e della salute dell’intera collettività;
  3. in definitiva ci troviamo a constatare con amarezza che coloro che dovrebbero almeno avviare sperimentazioni tese a risolvere i problemi esposti non lo fanno, mentre il singolo cittadino – afflitto da un problema reale e dietro il comodo alibi dell’inerzia amministrativa – continua a comportarsi in maniera sempre più incivile.
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