Il contributo di Michele Carugi alla Consulta Seniores Federmanager
La Consulta Seniores Federmanager, riunita il 22 giugno a Bologna, ha accolto con favore il contributo del collega Michele Carugi, componente del Comitato Pensionati ALDAI
La cosa peggiore che si fa quando si parla di pensioni è parlarne in modo generico, come se si trattasse di un universo indifferenziato che non viene mai analizzato nei dettagli, né dai politici né dai media e questo atteggiamento si declina in vari modi, tutti negativi per coloro che godono, con ottime ragioni, di trattamenti pensionistici confortevoli.
Il valore dei contributi
La prima grande omissione consiste nel vedere le pensioni come una specie di erogazione liberale che lo Stato fa per sostenere gli anziani secondo i loro bisogni. Utilizzando questo approccio che non tiene in alcun conto la storia di come ciascuna pensione si è formata, nello stesso calderone finiscono gli assegni sociali, totalmente finanziati dallo Stato e quindi a natura completamente assistenziale, insieme alle pensioni che sono state costruite sulla base di versamenti assai ingenti durante la vita lavorativa e per i quali il bilancio dello Stato nel tempo è a saldo zero o, in moltissimi casi, positivo perché i contributi versati hanno ecceduto quanto il pensionato percepirà nella sua vita come pensione. Per questi ultimi la pensione è da vedersi come una forma di previdenza, ancorché forzosa, priva di qualunque componente assistenziale.
È abbastanza evidente come il mischiare una pura assistenza con una pura previdenza impedisca di prendere misure, quando necessarie, che riconoscano la diversità delle vite lavorative di ciascuno, con il relativo bagaglio di impegno, responsabilità, merito e anche un po’ di fortuna e porta a fare valutazioni esclusivamente legate agli importi degli assegni, alimentando le idee ingenue (o finte tali) di chi pensa che la pensione dovrebbe essere commisurata unicamente ai bisogni dell’anziano e che quindi non dovrebbe differire da individuo a individuo. In passato ho usato il termine di “socialismo della terza età” per indicare come questo desiderio di appiattimento dei trattamenti sia acceso solo nei confronti dei pensionati.
La differenza fra privilegi e diritti.
La seconda grande bugia che viene passata alla popolazione e che è in un certo senso figlia della prima è che i trattamenti pensionistici elevati siano tutti dei “privilegi”. Questo atteggiamento si evidenzia bene quando viene usato il termine di “pensioni d’oro”, accomunandovi i vitalizi dei politici, che hanno goduto di trattamenti indipendenti dai contributi versati e di altre categorie, per la verità limitate, che hanno beneficiato di sistemi di calcolo favorevolissimi (militari di alto grado, grandi burocrati) con chi, genericamente percepisce un assegno alto ma completamente giustificato dalla vita lavorativa. Questa confusione nella quale, da sempre, mi sembra di vedere un dolo intenzionale, utilizza un evidente privilegio (per esempio il sistema di pensionamento dei politici, peraltro ormai cambiato, era di gran lunga il più favorevole in Europa) per giustificare interventi restrittivi basati in modo draconiano sull’importo della pensione. Per il cittadino comune una pensione elevata è diventata, a prescindere, un privilegio da eliminare e le proposte in questo senso non sono mancate dagli stessi politici, Fratelli d’Italia, Lega Nord, Movimento 5 stelle con proposte di tetto indistinto.
In questo caso anziché di socialismo della terza età si dovrebbe parlare di tassazione retroattiva e pesante su chi ha pagato molti contributi o, a volere essere più aggressivo, di furto organizzato e con destrezza.
Gogna mediatica
Quali sono le categorie che maggiormente vengono colpite da queste modalità comunicative che si sono anche già (e da tempo) esplicate in misure penalizzanti come la mancata perequazione e i contributi di solidarietà? Non certo le pensioni di basso e medio importo, ancorché siano quelle che maggiormente hanno beneficiato dei calcoli retributivi più favorevoli, né quelle dei lavoratori autonomi che, non soggetti a prelievi forzosi, hanno avuto la facoltà di versare questo desiderato, cioè pochissimo e in moltissimi casi evadendo fisco e contribuzione all’INPS. Sono invece le pensioni dei medici primari, dei magistrati, dei docenti universitari con cattedre importanti, dei dirigenti di azienda e di tutte le altre categorie simili, cioè quelle categorie che hanno ruoli fondamentali nella vita del paese ma che non vedono assolutamente riconosciuto questo loro ruolo, una volta in pensione e anzi vengono additati come parassiti.
Resto sempre perplesso quando mi viene chiesto di discutere le singole misure che i Governi prendono, per controbatterle, perché ho imparato per esperienza che chi ascolta non sente neppure ciò che si cerca di spiegargli in quanto la propaganda costante sul “pensionato d’oro” gli ha fatto erigere un muro mentale attraverso il quale è difficilissimo fare breccia. In queste condizioni, si può riuscire a tamponare un singolo provvedimento, ma si può stare certi che ne verranno fuori altri e altri e altri perché il problema non è tecnico, ma politico.
Particolarmente in condizioni economiche recessive, quale quella che abbiamo attraversato negli ultimi anni, la tendenza a identificare la redistribuzione della ricchezza come La Soluzione diventa irresistibile; nei meno abbienti che identificano negli agiati il serbatoio di risorse dal quale attingere, ma, purtroppo, anche nei politici che utilizzano l’approccio demagogico per mantenere il consenso elettorale. Né i primi né i secondi fanno mai alcuna valutazione sull’impatto che le politiche redistributive che vadano oltre la fiscalità progressiva ha sulla futura generazione per la quale, a mio avviso, il beneficio del reddito di cittadinanza finanziato con redistribuzione sarebbe assai inferiore all’effetto negativo del messaggio dato a chi più potrebbe contribuire: non affannatevi per costruirvi una buona vita lavorativa e una buona pensione.
Impegno Politico
Penso che il nostro impegno debba essere politico perché solo contribuendo all’affermarsi di una visione liberale nella quale i meriti vengano riconosciuti e le relative differenze sociali, al netto della fiscalità progressiva, comprese, potremo evitare il ricorrente attacco alle pensioni più alte. Dobbiamo andare orgogliosi delle nostre carriere lavorative e delle nostre pensioni e uscire dallo stato di difesa nel quale populisti e politici demagoghi ci hanno spinto. E forse, per farlo, occorre esporsi un po’ di più sul versante politico identificando le forze che siano disposte a portare avanti i valori liberali di cui sopra e lavorando con loro.
01 luglio 2017