Esiste un fascino Olivetti?

Si esiste, e cercherò di dimostrarlo con le righe che seguono. La Olivetti ormai è finita da tanto tempo e quella che oggi così si chiama è una omonimia come spesso può capitare nella vita per le persone e le cose. Alcune aziende che niente hanno a che fare con quella che è stata la Olivetti ora vogliono comprarsi il nome come si compra una vecchia auto famosa così lo potranno imbrattare ancora di più di quanto è stato fatto sinora.

Gianni di Quattro 

Socio ALDAI - Federmanager
Adriano Olivetti è morto nel 60 e cioè quasi 60 anni fa, Carlo De Benedetti che ne è stato l’ultimo proprietario e gestore è in pensione da anni, si gode la vita con sua moglie e ha lasciato la responsabilità della gestione dei suoi due imperi principali (sanità ed editoria) ai figli, eppure si continua a parlare della Olivetti come se l’azienda fosse ancora viva.
Si continua a parlare di Olivetti da parte di chi vi ha lavorato una vita o anche per un periodo breve e da parte di chi non vi ha mai lavorato, ma la conosce perché è stato un cliente, ha studiato il mondo imprenditoriale ed economico del nostro paese del secolo scorso, ha letto qualche libro (ce ne sono tanti sulla Olivetti, su molti suoi protagonisti, sui fondatori, su Adriano), ha un amico che è stato in Olivetti o semplicemente ne ha sentito parlare.
Ancora oggi i colleghi Olivetti si ritrovano da tutto il mondo sul sito www.olivettiani.org

Perché tutti hanno sentito parlare di Olivetti.

Questo vuol dire che la Olivetti, quella che è stata la prima e importante azienda internazionale di questo paese, che ha scelto la tecnologia come oggetto del proprio business e che ha tentato, per fare impresa, strade diverse non solo dalla tradizione e cultura italiane, ma anche da quelle più avanzate, conserva una forza di attrazione che invece di attutirsi nel tempo si rafforza perché entra nel mito.

E questa forza si chiama fascino!

 Interessante prova della suddetta affermazione è l’attaccamento di chi vi ha lavorato che scavalca il normale attaccamento di qualsiasi lavoratore per il lavoro che è stato il percorso della propria vita. Un sentimento, certo un sentimento, che si nutre non solo di quello che è stata la propria vita di lavoro, ma anche dei valori che durante la stessa si sono incontrati e coltivati soprattutto grazie all’azienda. 
Valori che poi ciascuno ha riportato nel proprio modo di vivere, nello stabilire le priorità del proprio sentire e che hanno guidato il proprio comportamento in tutte le manifestazioni personali e sociali.
Come dimenticare la voglia di bellezza di Adriano e che oggi è fonte di discussione tra architetti, designer ed esteti e che viene celebrata in tante mostre che si organizzano ovunque e dove sono esposti progetti, realizzazioni e idee che hanno guidato l’azienda nel disegnare i prodotti, gli uffici dove far lavorare i dipendenti, le fabbriche dove produrre, gli oggetti con cui manifestarsi e connotarsi. Un altro sintomo di grande significatività è rappresentato dal legame tra i lavoratori. Alcuni sono stati amici durante il periodo di attività e altri solo conoscenti. Ed anche con e tra questi ultimi mano a mano che il tempo passa si scoprono sentimenti reciproci di amicizia anche per chi prima non si considerava tale perché si scoprono valori e comuni modi di sentire. Uno strano fenomeno, come se l’azienda anche ad insaputa di ciascuno avesse installato proprio in ciascuno il germe della amicizia che in alcuni è scoppiato subito e in altri nel tempo, ma la realtà è che è scoppiato sempre.

E questo si chiama fascino!

E poi la diversità dell’impresa che tutti coloro che vi hanno lavorato e che la hanno frequentato (clienti compresi, tanti) hanno sentito e continuano a sentire. Il piacere di sapere che la bellezza era importante, che la conoscenza era importante, che l’innovazione e la ricerca erano importanti. Il piacere di come ci si riconosceva tra di noi e ancora oggi ci si riconosce.

E anche questo si chiama fascino!

 La bellezza era importante dentro un percorso di cultura che doveva attraversare l’impresa e che tramite essa doveva manifestarsi nella società e nel territorio. Ricordare l’attenzione di Adriano Olivetti per Matera, quello che era stata, di come farla rivivere e capirla è un termometro estremamente significativo del ruolo che secondo il grande imprenditore un’azienda doveva avere nella società. È su questa linea che si capisce di più l’investimento nella fabbrica di Pozzuoli. Su questi temi si sono espressi, hanno scritto grandi letterati e uomini di cultura del secolo scorso da Musatti ad Ottieri.
In fondo il fascino è fatto di cose precise che si possono capire e di cose che sono misteriose. Il fascino è anche magia e la magia non sempre si può spiegare. E così capita a tanti che cercano di capire la Olivetti e poi rimangono intrappolati nella sua magia come in una rete da cui non riescono ad uscire.
La Olivetti è stata, diciamocelo, l’azienda più affascinante del novecento del nostro paese, l’azienda che ha mostrato la via a tante altre aziende non solo americane come la Apple ed a visionari come Steve Jobs non casualmente paragonato, con le dovute trasposizioni di tempo e di ambiente, ad Adriano Olivetti.
Per questo molti non possono capire cosa è stata davvero la Olivetti e come mai non esiste più, perché imprigionati dal fascino che si manifesta in tanti modi e in modo estremamente coinvolgente. Come una donna affascinante, infatti, spesso non si può dire perché e come, si può solo amare e basta.

È quello che succede con la Olivetti!

Ed anche il prossimo anno, il 2019, sarà un anno importante per questa azienda che non c’è più, ma di cui si parla come se fosse viva e lanciata verso il futuro come nessun’altra. Se ne parlerà, si cercherà ancora una volta di discutere sulla importanza per un’azienda di perseguire criteri di bellezza (per il personale, per il mercato, per la società e il territorio in cui vive), si discuterà del coraggio di cambiare le strutture organizzative ed affrontare i tempi e le tecnologie (come quando la Olivetti inventò le isole per superare lo stress della catena di montaggio), della cultura, e non solo delle capacità tecniche, che deve esserci dietro una originale strategia di marketing, della innovazione non solo tecnologica, ma anche e soprattutto nelle idee per affrontare con successo la competitività internazionale. Ed anche questo servirà a cementare tra tutti noi che abbiamo lavorato alla Olivetti amicizia e orgoglio di avere partecipato ad una avventura speciale.

Un'avventura irripetibile che spero possa essere di stimolo per nuove iniziative, come auspico nell'articolo "Il manager, la politica e il futuro".
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