Occasioni perdute
La pandemia ha imposto serie riflessioni sull'instabilità e la fragilità del sistema socio economico. Ritorna l'esempio di Adriano Olivetti e la lungimiranza industriale dal volto umano. Ma se la responsabilità sociale è sempre più importante bisogna comunque far tornare i conti.
Franco Del Vecchio
Consigliere ALDAI Federmanager - franco.del.vecchio@tin.it
Milano 30 Maggio 2020
La rivista "Economia della bellezza" ha pubblicato ieri l'articolo "Perché chi si occupa oggi di futuro deve guardare al contributo di Olivetti?", ricordando la figura dell'imprenditore emblematico per l'impegno sociale, fra i più eclettici, visionari e geniali che l’Italia abbia mai avuto.
Proprio nello stabilimento ICO che compare nella foto alla destra di Adriano ho preparato la mia tesi di laurea imparando a programmare un computer con microprocessore PPS4 a 4 bit nel '75.
Al piano inferiore le presse stampavano i tasti delle macchine da scrivere e al piano superiore 2.000 persone della ricerca e sviluppo preparavano la rivoluzione digitale.
Una volta laureato non entrai in Olivetti preferendo la dinamicità di una piccola impresa che mi aprì successive entusiasmanti esperienze tecniche e commerciali fino a diventare Direttore Marketing Apple Italia.
Solo dieci anni dopo la laurea e l'uscita di Steve Jobs dalla Apple fui assunto dalla Olivetti come dirigente nel '85, quando la multinazionale italiana era leader nei Personal Computer, nei prodotti per ufficio e nei sistemi per le imprese, e ci rimasi 12 anni. Nonostante i 25 anni dalla morte di Adriano l'azienda era ancora ispirata dalla sua lungimirante fama ed era una delle più importanti multinazionali dell'information technology europee con oltre 40 mila dipendenti, in grado di rivaleggiare con la tedesca Siemens, la francese Bull e l'inglese ICL.
Ma l'azienda esempio di genialità, cultura e sviluppo sociale, evocata da più parti, non ricevette le attenzioni del Paese che oggi la rimpiange. Il contesto di crescente competitività internazionale e la necessità di alimentare continuamente gli sviluppi tecnologici in tempi sempre più brevi ne minò le prospettive e l'Italia perse insieme a migliaia di posti di lavoro un simbolo di successo italiano nel mondo, che sopravvive tutt'oggi.
Il messaggio che vorrei trarre dalla storia Olivetti, per il futuro dell'industria italiana, è quello di evitare eccessi d'amarcord perché il mondo cambia e non è pensabile ripetere la storia di Olivetti, anche se sono molteplici gli spunti per ispirare nuovi progetti industriali in un'epoca sempre più caratterizzata dal digitale, che Adriano aveva intuito.
Non ce ne siamo resi conto, ma siamo stati capaci di assistere all'agonia e alla cessione dei gioielli dell'industria Italiana, uno dopo l'altro, e la ragione è stata sempre la stessa: mancanza di fiducia nel futuro.
Non porta da nessuna parte e non genera sviluppo e benessere sociale, navigare alla giornata seguendo "amarcord" senza una visione, senza progettualità, con politiche industriali condizionate dalla miopia e dai limiti delle competenze dei protagonisti improvvisati della quotidiana "telenovela", protagonisti della messa in scena di un Paese sempre più povero di risorse economiche e valoriali.
Finché non avremo il coraggio di creare condizioni interessanti per le imprese: con tassazione equa e competitiva, certezza del diritto e riconoscimento del merito, stabilità del contesto e rispetto del ruolo sociale dell'impresa e delle persone che hanno veramente a cuore il futuro del Paese, con uno Stato più impegnato a creare infrastrutture e condizioni di sviluppo per le imprese, invece di dedicare risorse per acquisirle, i geni "Leonardeschi" dovranno trovare altrove le condizioni per realizzare i propri progetti.
Oggi come ai tempi di Olivetti le prospettive della imprese sono determinate dal ruolo sociale, al quale non può mancare però una solida strategia che ne garantisca solidità ed indipendenza finanziaria, in un contesto che ne favorisca lo sviluppo sostenibile, per non ripetere il caso Olivetti.
30 giugno 2020