Turisti non per caso
Il Bel Paese si conferma meta d'eccellenza, Milano e la Lombardia in crescita tra le preferenze degli stranieri
Matteo Montebelli
Direzione Relazioni Istituzionali e Centro Studi - Responsabile Ricerche, Analisi & Pubblicazioni Touring Club Italiano
Nonostante sia ancora oggi spesso sottovalutato, il turismo risulta un driver di sviluppo decisivo per l’Italia che non a caso è una delle mete più desiderate nell'immaginario collettivo degli stranieri – il FutureBrand Country Index 2019, che misura la reputazione di 75 Paesi, pone il nostro al primo posto per patrimonio culturale, cibo e “desiderabilità” turistica – e ciò ha una ricaduta economica considerevole: nella classifica dell’Organizzazione Mondiale del Turismo siamo quinti per capacità attrattiva con 62 milioni di arrivi internazionali alle frontiere nel 2018 e le previsioni per il 2019 del World Travel and Tourism Council certificano che la nostra industria turistica vale 102 miliardi di euro (il 5,7% del Pil) che salgono a 238 miliardi (il 13% del Pil) se si aggiunge anche tutto l’indotto. Per non parlare degli effetti più che positivi dal punto di vista occupazionale: sono circa 3,5 milioni, infatti, i lavoratori diretti e indiretti nel settore.
Il quadro dei dati ufficiali Istat più recenti mostra poi una situazione certamente più positiva rispetto al recente passato: nel 2018 gli arrivi di italiani e stranieri nelle strutture ricettive del Paese si attestano sui 128 milioni, in crescita del 4% rispetto al 2017, così come le presenze, ovvero i pernottamenti (429 milioni; +2%). Se il turismo domestico – cioè i viaggi degli italiani in Italia – si conferma in ripresa dopo un decennio di difficoltà in conseguenza della crisi economica, per il secondo anno consecutivo la quota delle presenze straniere supera pur di poco (50,5%) quelle italiane (49,5%), a sancire la vocazione sempre più internazionale del nostro turismo. Restando sull'incoming, inoltre, la spesa turistica degli stranieri nel 2018, che cresce ininterrottamente dal 2009, registra secondo la Banca d’Italia un altro record superando quota 41 miliardi di euro (Fig. 1).
Il Bel Paese vanta dunque una consolidata esperienza nel settore dei viaggi e delle vacanze: nonostante questo, però, il turismo non rappresenta al momento un fattore di sviluppo omogeneo per il territorio nazionale. Purtroppo, le regioni del Centro-Nord e quelle del Sud procedono ancora a doppia velocità: una realtà paradossale visto che gli attrattori più conosciuti e desiderati all'estero – clima, paesaggio, patrimonio storico-artistico ed enogastronomico – sono un quadro efficace del Meridione.
La distanza, anno dopo anno, non pare attenuarsi: se si guarda alle presenze, per esempio, il Veneto è, con oltre 69 milioni, la regione più turistica d’Italia, con dati tre volte superiori a quelli della Campania (22 milioni) e quattro volte a quelli della Sicilia (15). In questa classifica, la Lombardia – complici il grande effetto traino rappresentato da Expo e la varietà della sua offerta che le hanno consentito di passare dai 28,3 milioni di presenze del 2008 agli attuali 39,1 milioni (variazione media annua del 3,3% contro quella nazionale dell’1,4%) – si pone al quarto posto nella classifica e Milano è oggi la terza città d’arte più visitata, dopo Roma e Venezia, passando dai 7,3 milioni di presenze del 2008 agli oltre 12 milioni del 2018 con una variazione media annua del 5,2% (Fig. 2)
Passiamo al grado di internazionalità, ovvero alla capacità dei nostri territori di essere attrattivi verso i mercati esteri: se mediamente a livello nazionale l’incidenza delle presenze straniere sul totale è del 50,5%, nelle diverse aree del Paese tale quota varia in modo anche rilevante. Si va, infatti, dal 69% della Provincia autonoma di Bolzano – la più internazionale d’Italia – all’8% del Molise. La Lombardia (60%) è al quarto posto dopo Veneto (68%) e Lazio (62%): in generale a mano a mano che si scende verso Sud la capacità attrattiva verso i mercati stranieri tende a diminuire. Ciò è evidente anche considerando un altro indicatore, la spesa incoming (Fig. 3). Al primo posto si conferma il Lazio (7,4 miliardi di euro lasciati dagli stranieri), segue la Lombardia (6,7) e, più a distanza, Veneto (6,1) e Toscana (4,5). La prima regione del Sud – quinta – è la Campania con 2,3 miliardi di euro. Complessivamente, il Meridione attrae 6,3 miliardi, poco meno di quanto fa da sola la Lombardia…
Altro tema che permette di leggere trasversalmente il turismo sui territori è quello della permanenza media, ovvero la durata del soggiorno: mediamente a livello Paese il dato si attesta sulle 3,3 notti, in lenta e strutturale diminuzione nel corso degli ultimi decenni a causa anche della frammentazione dei viaggi nel corso dell’anno. Si tratta di un indicatore molto importante perché maggiore è la permanenza maggiore è la possibilità di generare ricadute economiche in loco. Storicamente, le destinazioni nelle quali la durata del soggiorno è più elevata sono quelle con una vocazione balneare o montana accentuata: non a caso Calabria (5,1 notti), Sardegna (4,6) e Provincia Autonoma di Bolzano (4,4) sono ai vertici della classifica mentre all’ultimo posto troviamo la Lombardia (2,3 notti): tali valori sono perlopiù imputabili alla forte incidenza del turismo urbano milanese e ai viaggi d’affari, solitamente di breve durata (Fig. 4).
Un aspetto infine che sta acquisendo sempre più rilevanza – per lo sviluppo futuro del settore e per poter efficacemente affrontare problemi come quelli dei cambiamenti climatici e dell'overtourism che impattano negativamente sui territori e sull'esperienza dei turisti – è la stagionalità, ovvero la distribuzione dei flussi nel corso dell’anno. Attualmente il nostro Paese presenta una situazione di forte dipendenza dai mesi estivi: la metà delle presenze totali infatti si registra tra giugno e agosto. In molte regioni – quelle a maggior vocazione balneare – supera il 60% (Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Marche, Abruzzo, Puglia, Basilicata e Sardegna) e nel caso della Calabria arriva a oltre il 70%. Si tratta di un tema importante perché ci rende vulnerabili sotto molteplici punti di vista: quello della redditività delle imprese che devono concentrare l’attività in un lasso di tempo ristretto, quello dell’innovazione perché limita la possibilità di fare investimenti per migliorare l’offerta e quello della qualificazione professionale, laddove l’eccessiva stagionalità rende più difficile il reperimento di profili adeguatamente formati.
Articolo in collaborazione con
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