Non solo mafia
Contrastare il riciclaggio vuol dire anche contrastare la grande evasione fiscale. La corruzione. Non solo la mafia.
David Gentili
Membro del Comitato Antimafia del Comune di Milano. Consigliere Comunale a Milano dal 2008 al 2021, Presidente della Commissione Consiliare Antimafia dal 2012 al 2021.
Per contrastare le mafie non basta il carcere, bisogna puntare ai patrimoni, scardinando efficacemente le modalità con cui si allontanano i profitti illeciti dai reati e li si reinveste nell’economia legale.
Contrastare il riciclaggio vuol dire anche contrastare la grande evasione fiscale.
La corruzione. Non solo la mafia.
Sappiamo quanto sia complicato Sappiamo quanto le filiere dedicate al riciclaggio siano lunghe e articolate. Quante persone contribuiscono non chiedendosi da che parte arrivino i soldi.
Esiste una norma: la 231 del 2007. Una buona norma di derivazione europea e anche i Comuni la possono applicare. Milano lo fa dal 2014. Unica grande città. Nel contrasto alla criminalità organizzata, alla funzione centrale dello stato, devono affiancarsi anche gli enti territoriali.
Il loro ruolo può essere fondamentale nel tutelare la libera e sana concorrenza di mercato. Perché contrastare il riciclaggio vuol dire proprio questo.
Il ruolo sinergico di Stato e altri enti del territorio
Partiamo dall'articolo 35 del Decreto Legislativo numero 231 del 2007 che recita: “Gli operatori sono tenuti a inviare senza ritardo alla UIF (Unità di Informazione Finanziaria per l'Italia) istituita presso la Banca d'Italia dal d.lgs. n. 231/2007), la segnalazione di operazione sospetta quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso, compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che i fondi provengano da un'attività criminosa”.
Quando nelle diverse circostanze sorgesse evidenza di un’operazione illecita, indipendentemente dal fatto che questa sia stata portata a buon fine o interrotta, anche le Pubbliche amministrazioni devono comunicare alla UIF i relativi dati e informazioni, a prescindere dalla rilevanza dell'importo: si tratta di un atto distinto dalla denuncia di fatti penalmente rilevanti.
Milano fa da apripista
La prima città che ha cominciato a inviare questi dati è stata Milano. L'impulso venne dalla Commissione Antimafia del Comune di Milano, nata nel febbraio 2012 al termine di un periodo “negazionista”, che
non era mossa solo dall’esigenza di perseguire determinati soggetti per difendere gli appalti dalla mafia; l'intenzione era più ampia: si attaccava la mafia in campo aperto a tutela della sana e libera concorrenza di mercato, inquinata da molti, soprattutto a Milano.
Dopo una serie di audizioni in Commissione Antimafia, giunse la delibera di Giunta numero 892 del 10 maggio 2013 e Milano partì.
Correva il marzo 2014. . Da allora sono accadute molte cose: le informazioni raccolte coinvolgono ben 50 intermediari immobiliari e 66 tra bar, pizzerie e ristoranti. Sono queste le attività a rischio riciclaggio maggiormente segnalate dal Comune di Milano. Dal marzo 2014 sono state formalizzate 24 comunicazioni alla UIF (altre sono in "cantiere"), che contengono 336 operazioni sospette segnalate, 250 società e 217 persone fisiche.
Saranno poi la Dia e la Guardia di Finanza, oltre che la stessa UIF, a leggerle incrociando le segnalazioni e comunicazioni tra loro.
Anche un Pubblico ministero potrebbe chiedere alla stessa UIF se i suoi indagati siano stati citati nelle segnalazioni di operazioni sospette.
In effetti questa prassi è imposta da una norma che esiste dal 1991. Da quell'anno tutte le pubbliche amministrazioni erano obbligate a segnalare, ma nessuno, fino a quel fatidico marzo 2014 fece il primo passo. O fu invitato a farlo.
L’incrocio dei dati e la conoscenza del territorio
La segnalazione nasce principalmente dall'incrocio dei dati in possesso della pubblica amministrazione.
Guardiamo alle cifre essenziali di Milano. Oltre due milioni e mezzo di soggetti censiti in banca dati comunale, costantemente aggiornati, per i quali è possibile avere diversi livelli di focus di dettaglio: due milioni e 239 mila le persone fisiche (residenti, mai residenti, emigrati, deceduti) e 317 mila le persone giuridiche (presenti e non, in Camera di Commercio, inattive, in liquidazione, insegne commerciali). Due milioni e mezzo anche i beni (fabbricati e terreni) presenti in banca dati, costantemente aggiornati e per i quali si possono avere informazioni dettagliate.
Possiamo considerare che le istituzioni bancarie hanno piena conoscenza delle transazioni finanziarie e dei movimenti sui conti e ne possono conoscere i motivi; che i comuni hanno in mano la vita delle persone: dichiarazioni Isee, licenze edilizie e commerciali, multe, dati ottenuti dal PRA, dal Catasto, contratti elettrici e gas e comunque le utenze delle municipalizzate, dati dell'anagrafe, le informazioni fiscali sul cittadino, con l'accesso al Punto fisco e al registro dei contratti.
Gli atti del registro sono utilissimi per comprendere l’importanza o integrare una segnalazione oppure darne un valore economico reale. L'accesso però è solamente puntuale e online, non si possono scaricare i dati nel proprio database, e questo ne rende meno agevole la consultazione.
L'accesso all'archivio dei rapporti finanziari è stato invece concesso agli enti locali solo recentemente in sede di conversione del decreto semplificazioni, divenuto legge nel settembre 2020. La norma è stata poi inserita nella legge 160 della riforma della riscossione.
Ancora oggi, però, quella norma è rimasta sulla carta. Tempo prezioso perso, come tutto il prezioso tempo perso, negli anni, a tutela della privacy.
La privacy è un arma eccezionale in mano a evasori e riciclatori, brandita anche da autorevoli e inconsapevoli giuristi, che danneggia quotidianamente il recupero di parte di quei 211 miliardi che rappresentano il “fatturato” annuale dell’'economia sommersa e illegale italiana.
I dati da soli però non bastano. Ci vuole anche chi sia capace di leggerli e ci vogliono anche gli inneschi.
Preziosissimo in questo senso il lavoro della Polizia Locale, in particolare dell'unità investigativa, dell'unità ambiente, dei vigili di quartiere. Persone con esperienze che hanno collaborato con la Dda, profondi conoscitori dei quartieri e dei segnali che da essi giungono.
Prospettive
Le prospettive? Diverse. Partiamo dall’assunto, come sostiene Giangaetano Bellavia(*), che Milano è attaccata su due fronti: dal basso con il riciclaggio nell'attività ristorativa, nel settore edile, alberghiero, e dall'alto con i grandi investitori, solo apparentemente stranieri.
Una nuova riforma della 231 dovrebbe prevedere la possibilità per la pubblica amministrazione di fare un'adeguata verifica dell'identità delle controparti. Per esempio, ad oggi non c'è alcuna legge che obblighi un Comune o una Regione a richiedere il titolare effettivo, né tantomeno c'è alcun obbligo di dichiararlo alla pubblica amministrazione.
Ci si può nascondere dentro una serie di scatole cinesi con sede in uno dei paradisi fiscali o di opacità e avere un appalto, un'autorizzazione, una concessione.
Da tre anni e mezzo si aspetta che venga istituito il registro dei titolari effettivi in Italia. Obbligo europeo, già attuato in Lussemburgo. Quando nascerà, però, sarà già monco.
La Pubblica Amministrazione per accedervi dovrà pagare, e i cosiddetti controinteressati (coloro che sono convinti di poter essere vittime di reati per la pubblicazione del loro nome) potranno negare l'accesso ai dati. Un gran bel favore ai riciclatori!
L'adeguata verifica della controparte può determinare che, nel momento in cui non si riesca con certezza a capire chi sia il titolare effettivo, si possa sospendere l'operazione. Come accade per le banche. Questo è il prossimo obiettivo!
*Gian Gaetano Bellavia è un noto commercialista milanese, esperto di diritto penale dell'economia. Coadiutore dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Ha seguito negli anni molte vicende di riciclaggio e criminalità economica e finanziaria.
01 aprile 2022