La svalutazione delle pensioni in Italia
Accorato intervento del Presidente CIDA alla conferenza stampa del 17 settembre 2025
Stefano Cuzzilla
Presidente CIDA
Un ringraziamento sincero al professor Alberto Brambilla, che con i suoi studi ci accompagna da anni in una battaglia di verità: una battaglia a tutela del patto sociale e del significato profondo del nostro sistema previdenziale.
Dai dati che presentiamo, emerge con chiarezza quanto profonda sia l’ingiustizia subita da chi sostiene il Paese da decenni. Numeri che parlano da soli, che raccontano un paradosso inaccettabile e che ci obbligano a chiedere scelte politiche coraggiose.
Partiamo da un punto fermo scolpito nella Costituzione: i lavoratori hanno diritto a una tutela che li accompagni nella vecchiaia.
Le pensioni non sono un privilegio, ma salario differito: il frutto del lavoro, delle tasse e dei contributi versati. E come tale va garantito!
Le pensioni sono anche il più grande patto intergenerazionale che un Paese possa stipulare: chi lavora oggi sostiene chi ha lavorato ieri, nella certezza che domani, anche il proprio impegno, sarà riconosciuto. Eppure, questo patto in Italia è stato incrinato. Negli ultimi trent’anni, malgrado l’avvicendarsi di esecutivi di varia appartenenza politica e tecnica, le pensioni sono state trattate come strumento fiscale e redistributivo, un vero abuso.
Le continue manipolazioni della perequazione hanno eroso il potere d’acquisto fino a “bruciare” l’equivalente di un anno intero di pensione.
Non è un dettaglio contabile, ma stiamo parlando di un intero anno di lavoro cancellato!
Voglio fare degli esempi concreti, perché i numeri raccontano più delle parole. Una pensione da circa 10mila euro lordi al mese ha perso quasi 180mila euro in quattordici anni, una da 5mila oltre 90mila, una da 3mila quasi 40mila. In altre parole, chi ha versato contributi per una vita intera si è visto cancellare l’equivalente di un anno di reddito, come se un pezzo della sua vita lavorativa fosse sparito nel nulla. E questa non è solo una questione di grandi cifre: significa che, nell’arco di un decennio, il potere d’acquisto si è ridotto fino al 10-12%. Per chi ha pensioni calcolate con il metodo contributivo, questo vuol dire ricevere meno del dovuto e, peggio ancora, meno del necessario per difendersi dall’inflazione e dal costo della vita. Un’erosione che non corregge, ma consuma, che sfianca giorno dopo giorno la quotidianità delle persone.
Allora ci è sembrato giusto vedere cosa succede negli altri Paesi. Abbiamo chiesto che lo studio si soffermasse anche sul confronto europeo, perché è lì che l’anomalia italiana si vede con maggiore chiarezza. In Francia la rivalutazione è agganciata all’inflazione, in Germania ai salari, nel Regno Unito vige il cosiddetto triple lock, cioè un meccanismo che ogni anno garantisce l’aumento delle pensioni scegliendo il più alto tra inflazione, crescita dei salari o un minimo del 2,5%. Tre modelli diversi, ma con una cosa in comune: stabilità e certezza delle regole.
L’Italia, invece, è l’unico Paese dove il meccanismo cambia continuamente, piegato alle esigenze del momento e trattato come uno strumento per far quadrare i conti. Così la rivalutazione è diventata terreno instabile, precario, privo di coerenza.
È in questa distorsione che affonda le radici il paradosso più ingiusto!
Solo 1,8 milioni di persone – meno del 14% del totale – versano da sole quasi la metà dell’Irpef della categoria. In altre parole, un settimo dei pensionati rappresenta i contribuenti più fedeli, eppure sono proprio loro i più penalizzati dal blocco della perequazione. Al contrario, milioni di pensionati con trattamenti molto bassi – spesso frutto di pochi o nessun contributo – hanno beneficiato di rivalutazioni piene, tra il 100% e il 110%. È un autentico rovesciamento del principio di equità: chi ha retto il Paese con il proprio lavoro e con le proprie tasse viene colpito, chi ha contribuito meno viene protetto integralmente.
E se allarghiamo lo sguardo a tutti i contribuenti? L’ingiustizia morde ancora più forte. Appena il 17% dei cittadini sostiene da solo oltre il 60% dell’Irpef complessiva. È una sproporzione che tutti conosciamo e che ha un nome preciso: evasione fiscale. Ogni anno circa 90 miliardi di euro sfuggono al fisco, con il 65% dell’Irpef che non arriva mai all’Erario. Attenzione, aiutare chi è più debole è un dovere, e la classe dirigente non si è mai sottratta a questa responsabilità. Ma diventa un’ingiustizia intollerabile quando la solidarietà ricade sempre sulle stesse spalle, mentre l’evasione rimane impunità. Al contrario, ciò che dovrebbe essere premiato è il merito, la fedeltà fiscale, la lealtà contributiva.
I patti vanno rispettati. Quando lo Stato non rispetta i patti, mina la fiducia dei cittadini e allontana i giovani dal sistema, lasciandoli con stipendi più bassi della media europea e con la sensazione che il loro impegno non verrà riconosciuto. E allora la domanda che pongo a tutti noi è semplice: vogliamo davvero che l’Italia resti uno Stato che mortifica il ceto medio, che scoraggia chi lavora e contribuisce, che non premia chi tiene in piedi il Paese? Oppure vogliamo ritrovare equilibrio, visione e rispetto dei patti sociali?
Lo studio, accessibile cliccando “La svalutazione delle pensioni”, ci aiuta a misurare, con dati precisi, la distorsione di questo sistema e a indicare la strada per correggerla.
I numeri dell’analisi sulle pensioni non sono solo tabelle. Sono la fotografia di una distorsione che dura da decenni. Ci parlano di un sistema che rovescia ogni logica: il contributo maggiore diventa la penalità maggiore. Più hai versato, più ti hanno tolto. Ci dicono quindi che il merito, in Italia, viene spesso confuso con il privilegio. Ma senza il ceto medio, questo Paese non va avanti. Senza i suoi contributi, senza le sue tasse, senza il suo lavoro, l’Italia si ferma. Eppure, da troppo tempo, questa parte vitale della società viene consumata goccia dopo goccia. Colpire chi ha versato quarant’anni di contributi non è solo un errore contabile, è un segnale politico e sociale devastante: significa dire ai giovani che domani il loro impegno non verrà riconosciuto. E allora non stupiamoci se cresce la sfiducia, se i nostri talenti guardano all’estero, se il patto tra generazioni si logora ogni giorno di più.
Ecco perché chiediamo alla politica di cambiare passo. Non servono altri cerotti, servono regole stabili. Non servono provvedimenti estemporanei, servono visione e coraggio.
Vogliamo ricordare alla politica che la previdenza non è una voce di bilancio: è la spina dorsale della società. Il decisore politico deve tutelare a 360° chi, con il proprio lavoro e il proprio impegno passato e presente, svolge il ruolo di collante sociale, di ammortizzatore, di ponte generazionale. In questo senso, abbiamo accolto con interesse – e direi anche con aspettativa – le parole della Presidente Meloni quando ha indicato il ceto medio come la priorità della prossima Legge di Bilancio. Un impegno che noi prendiamo sul serio, perché per la prima volta si riconosce apertamente che senza questa fascia sociale non reggono né l’economia né il patto collettivo.
Ora serve coerenza, perché alle parole seguano scelte concrete. La nostra proposta che rivolgiamo alla politica e alle istituzioni è inequivocabile: chi ha dato di più deve avere regole stabili e la certezza del diritto. Serve la garanzia che lo Stato non possa cambiare le carte in tavola ogni volta che ha bisogno di fare cassa. E serve una Corte Costituzionale più coraggiosa, che non si limiti a tutelare il bilancio pubblico, ma sappia guardare in profondità alle questioni previdenziali, facendo emergere quelle storture che troppe volte sono state, illogicamente, legittimate.
Difendiamo questa parte della società perché significa difendere la dignità del lavoro, la fiducia dei cittadini, la speranza dei giovani. Significa difendere l’Italia. Questo è il messaggio che parte da CIDA. Non una protesta sterile, ma un appello costruttivo: restituire stabilità, fiducia e futuro al sistema previdenziale. È la condizione perché l’Italia possa crescere e guardare avanti con coraggio.
Clicca il video seguente per la registrazione della conferenza stampa
CIDA è la Confederazione sindacale che rappresenta unitariamente a livello istituzionale dirigenti, quadri e alte professionalità del pubblico e del privato. Le Federazioni aderenti a CIDA sono: Federmanager (industria), Manageritalia (commercio e terziario), FP-CIDA (funzione pubblica), CIMO-FESMED (medici SSN), Sindirettivo Banca Centrale (dirigenza Banca d’Italia e Ivass), FIDIA (assicurazioni), FENDA (agricoltura e ambiente), Federazione 3° Settore (Sanità religiosa), SAUR (Università e ricerca), Sindirettivo Consob (dirigenza Consob).
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