Manovra: CIDA, inaccettabile un futuro fra recessione e stagnazione
La Confederazione Italiana Dirigenti ed Alte professionalià prosegue l'impegno per il riconoscimento del merito e la certezza del diritto. Un Collegio di difesa per i ricorsi alla Corte Costituzionale su taglio pensioni medio-alte e nuovo meccanismo di perequazione automatica.
Giorgio Ambrogioni
Presidente CIDA
Recessione o stagnazione: questo sembra il futuro prossimo della nostra economia, la ‘sentenza’ che arriva dai numeri e dalle statistiche e alla quale la manovra approvata dal Parlamento non è riuscita a porre rimedio. Sono numerose le giustificazioni che il Governo ha avanzato per spiegare questo più che mediocre risultato: la sfavorevole congiuntura internazionale, con le nuove strozzature del commercio mondiale e la stagnazione produttiva nei paesi ‘locomotiva’; la pesante eredità delle clausole di salvaguardia, che hanno comportato lo storno di ingenti risorse pubbliche nonché l’impegno a futuri, più pesanti, interventi per impedire l’aumento dell’Iva; la necessità di rimettere in funzione lo strumento degli investimenti pubblici, per troppi anni lasciato ad arrugginire.
Tutte motivazioni reali, ma che non paiono sufficienti a sostenere l’impalcatura di una manovra che poggia, quasi esclusivamente, su un ipotetico aumento dei consumi interni determinato da una redistribuzione dei redditi, peraltro squilibrata ed iniqua perché attuata senza l’uso della leva fiscale. Le critiche che abbiamo rivolto alla legge di bilancio sono appunto rivolte ad evidenziarne i troppi elementi di debolezza. E, soprattutto, si sono concentrate sulla matrice culturale e ideologica che l’ha originata. Nonostante gli sforzi ed i tentativi che, come Associazione rappresentativa di interessi e di diritti di una parte importante della classe dirigente del Paese abbiamo posto in essere per correggere e migliorare il contenuto della manovra, ci siamo resi conto, con un certo sbigottimento, che c’era dell’altro. C’era un intento punitivo verso quel ceto medio produttivo che rappresenta la ‘spina dorsale’ della Nazione e che ha contribuito a fare dell’Italia la settima potenza industriale del mondo nonostante il disastro economico e sociale del dopoguerra.
La cartina di tornasole di questo assunto è evidente nella riforma pensionistica, un intervento tutto declinato sull’onda del rancore sociale. Come spiegare, altrimenti, il cosiddetto ‘prelievo di solidarietà’, una formula demagogica che cela un odioso ‘scippo’ perpetrato ai danni di alcune categorie di pensionati? E’ il terzo negli ultimi cinque anni, l'ultimo è scaduto a fine 2017. E, ancora, com’è possibile sostenere, politicamente, la nuova sterilizzazione all’adeguamento delle pensioni all’inflazione? Siamo a otto blocchi, parziali o totali, dell'adeguamento degli assegni pensionistici al costo della vita. Il risultato di tale accanimento è la diminuzione del potere d’acquisto dei pensionati (il 20% in meno). Il tutto avviene senza alcuna considerazione per le storie contributive, per il riconoscimento insito nel lavoro svolto, permeato di impegno, professionalità, responsabilità, merito. Tutti valori negati, sovente irrisi e denigrati.
La conclusione è l’affermarsi di una classe politica che appare, fin qui, incapace di elaborare un’efficace politica fiscale di lotta all’evasione. O di varare un coraggioso piano di infrastrutture, preferendo l’atteggiamento puerile del ‘no’ ad ogni progetto, ad ogni cantiere. Incapace, ancora, di impostare una politica industriale lungimirante, di ampio respiro, in grado di salvaguardare i pochi ‘campioni nazionali’ rimasti e di far pesare il ‘sistema Paese’ nelle scelte strategiche.
Se poi spostiamo lo sguardo alla dirigenza medica, costretta a scioperare per dimostrare il proprio disagio, o a quella della pubblica amministrazione mortificata nella su indipendenza, abbiamo un quadro sempre più allarmante del degrado sottostante alla manovra 2019. Stesso discorso si può fare per la scuola, dove l’autonomia dei dirigenti scolastici è stata rimessa in discussione. Il capitolo occupazione, poi, è stato affrontato confidando in miracolistici turn-over con i pensionati di quota 100.
Come i nostri associati sanno, Cida non è rimasta a guardare. Sulle pensioni abbiamo ottenuto alcuni miglioramenti nei confronti di iniziative legislative decisamente più penalizzanti e punitive per la categoria che rappresentiamo. Così è stato per la proposta di legge D’Uva-Molinari che proponeva, retroattivamente, il ricalcolo delle pensioni già in essere, calcolate ed erogate nel rispetto di leggi e criteri validi al momento del pensionamento, ma rivisti al ribasso sulla base di nuovi standard di valutazione, decisi unilateralmente e decisamente punitivi per la categoria. Le nostre audizioni in Commissione Lavoro della Camera e la pubblicazione di interviste, articoli e dichiarazioni sulla stampa, hanno contribuito a cancellare tale provvedimento dalle agende parlamentari e anche dal dibattito pubblico. Ancora, su lavoro, fisco, scuola, abbiamo infittito gli incontri con i rappresentanti delle istituzioni per far recepire idee e progetti in grado di migliorare il quadro complessivo.
Siamo comunque rimasti fedeli al nostro principio di criticare la politica quando è necessario, non di sostituirci ad essa. Non siamo un partito, insomma, tanto meno d’opposizione. Infatti, non ci siamo sottratti al doveroso riconoscimento dei passi in avanti fatti nella legge di bilancio per favorire l’inserimento di manager nelle aziende. E abbiamo pubblicamente apprezzato l’azione del Governo quando ha saputo disinnescare il procedimento di infrazione in sede comunitaria. Nel nostro incontro con il premier Conte abbiamo esternato il nostro compiacimento per tali risultati ma abbiamo anche ribadito e motivato il nostro più totale dissenso rispetto ai provvedimenti in campo previdenziale e sul reddito di cittadinanza, almeno così come inteso e concepito.
Ora il nostro impegno si sposta, ancora una volta, sul piano giudiziario: stiamo operando per costituire un collegio di difesa ed avviare l’iter per far emergere i profili di incostituzionalità sul taglio delle pensioni medio-alte (se passa il principio nulla vieta che domani, per fare cassa, si possa scendere dagli attuali 100 mila Euro a 90 mila, 80 mila, ecc.) e sul nuovo meccanismo di indicizzazione delle pensioni. Pensiamo di attivarci sia attraverso ricorsi alla magistratura ordinaria che alla Corte dei conti visto che detto Organismo può essere molto più rapido nel ravvedere tali profili di incostituzionalità e inviare il tutto alla Suprema Corte.
È un’azione molto complessa e delicata quella che stiamo impostando, un’azione che interessa colleghi già in quiescenza ma anche tutti i prossimi pensionandi: un’azione che va impostata considerando aspetti economici, giuridici e sociali.
Di quanto faremo nelle prossime settimane daremo tempestiva e dettagliata informativa alla categoria.
In parallelo, il sistema di rappresentanza dovrà profondere un grande sforzo sul piano della comunicazione per far comprendere alla politica (tutta) ed al Paese il valore sociale e professionale della dirigenza contrastando gli inaccettabili pregiudizi, i luoghi comuni e gli stereotipi che hanno fatto da sfondo al dibattito pubblico sulle cosiddette “pensioni d’oro”