PNRR e competenze per la rinascita post-Covid

Con i vaccini migliorano le prospettive di uscire dall’emergenza. È il momento di mettere a fuoco la visione del Paese europeo che vogliamo essere e mobilitare tutte le risorse e le competenze per realizzare ora i progetti concreti per l’Italia di domani

Mario Mantovani

Presidente CIDA
In pochi mesi, sotto l’effetto shock della pandemia da Covid-19, l’Unione Europea ha prodotto un Piano straordinario, per dimensioni e portata. Il NextGenerationEU – e le altre misure a esso collegate, come il Programma SURE e il nuovo MES – potrebbero potenzialmente trasformare l’economia e la società del nostro continente, e dell’Italia in particolare. Il risultato dipenderà dai Piani nazionali e le risorse stanziate per il nostro Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sono talmente ingenti da spazzare qualunque alibi di natura economica e finanziaria.

Ma questo incredibile numero di 209 miliardi, illuminato come la vincita di un jackpot, rischia di abbagliare governanti e cittadini, ancora senza risposte ad alcune domande fondamentali: 
  • Quali priorità? 
  • Come tradurle in azioni? 
  • Come programmare e garantire i tempi richiesti, tassativamente, dal Programma europeo? 
  • Quali competenze servono e come dovremmo organizzarle? 
Domande da manager: e sono infatti quelle che CIDA ha posto ai nostri governanti, fin dall’incontro con il Presidente Conte agli Stati Generali.

Ci attendiamo che un nuovo Governo trovi rapidamente le risposte, anche lavorando in modo più concreto e allargato con le Parti Sociali, ma nel frattempo è utile ragionare sull’unico documento disponibile: quella bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che è stata resa pubblica (stranamente con la dicitura “Solo Uso Interno – Riservata”) il 12 gennaio di quest’anno.

Un Piano che non contiene riferimenti alla governance, agli strumenti di programmazione, alle competenze necessarie ed è quindi analizzabile soltanto negli aspetti strutturali. Dal punto di vista della diagnosi si rifà alle Raccomandazioni della Commissione Europea negli ultimi anni e alle principali considerazioni di economisti ed esperti indipendenti. Risulta tuttavia molto difficile rintracciare una visione complessiva del Paese e del suo ruolo in Europa, non bastano i generici richiami all’opportunità di "un vero e proprio Rinascimento economico europeo” del quale “l’Italia intende essere protagonista” attraverso “lo sviluppo sostenibile, la digitalizzazione e l’innovazione, la riduzione dei divari e delle diseguaglianze”. 

Rimane anche inevasa una domanda di fondo: lo Stato sarà promotore di imprenditorialità o esso stesso imprenditore? 

Quanto si concentrerà su interventi nei settori più propriamente pubblici (Istruzione, Sanità, Pubbliche Amministrazioni) e quanto punterà a condizionare e dirigere le filiere industriali, i servizi privati, la ricerca scientifica? 

E quale visione di lavoro intenderà promuovere: un low cost fatto di prestazioni parcellizzate, di bassa produttività, di mero “consumo” delle tecnologie? O un lavoro sostenuto dalla contrattazione bilaterale, rafforzato nelle componenti di welfare, flessibile e allo stesso tempo sicuro?

IL PNRR si distingue più per le domande senza risposta, che per i suoi contenuti.

Scorrendo l’indice promette d’indirizzare gli sforzi, secondo quanto previsto dal NextGenerationEU, verso una trasformazione strutturale dell’industria europea, con l’obiettivo di rafforzarne la competitività soprattutto tramite lo sviluppo di filiere industriali nel digitale e nell’energia rinnovabile. Senza dubbio il nostro Paese soffre di una carenza di domanda qualificata, sia tra i consumatori che nelle aziende di minore dimensione, ma è sufficiente iniettare risorse per stimolarla, tramite assunzioni nella PA, fiscalità di vantaggio per il lavoro al Sud e a giovani e donne, stimolo all’acquisto di beni strumentali, efficientamento energetico degli edifici, incentivo all’utilizzo di veicoli elettrici, bonus vari?

Quanti investimenti potranno essere effettivamente orientati verso le aziende in grado di rafforzare le filiere avanzate, verso la Ricerca e Sviluppo? 

Senza una riflessione approfondita rischiamo di alimentare un consumismo tecnologico, aumentando le importazioni, senza un disegno di rafforzamento della competitività, né nei settori industriali, né in quelli dei servizi.

Le Missioni 1 e 2 (Digitalizzazione e Transizione ecologica) prevedono d’impiegare circa € 113 miliardi, una somma potenzialmente in grado d’influire sulla competitività delle rispettive filiere, ma non è affatto evidente come potranno influire sul rafforzamento delle imprese, dal lato dell’offerta di beni e servizi. Si tratta di settori articolati e globali, in cui le tecnologie chiave e le grandi imprese non sono italiane e, in molti casi, nemmeno europee. 

Un modo per valorizzare le competenze nazionali sarebbe puntare sulla system integration, destinando maggiori risorse alla progettazione e allo sviluppo di soluzioni integrate, capaci d’includere anche tecnologie avanzate ma ancora di nicchia, presenti nel nostro tessuto industriale. 

Gli investimenti nel settore pubblico potrebbero fungere da volano diretto per la crescita dei settori digitale e ambientale, ma occorre garantire che il know-how necessario per scrivere in modo coerente i bandi e i capitolati sia presente nelle centrali d’appalto.

Le grandi società a capitale pubblico dovrebbero essere incentivate all’open innovation, garantendo orientamento di mercato e risorse economiche alle startup più promettenti del nostro Paese.

Un altro problema metodologico del documento è la sostanziale assenza di priorità e di criteri per definirle. Le stime delle risorse destinate dovrebbero essere associate ai macro-obiettivi da raggiungere, in termini di crescita del PIL, aumento dell’occupazione, sostenibilità ambientale e dell’impatto positivo su indicatori specifici. Ad esempio: i progetti di Alta Velocità Ferroviaria per le tratte Napoli-Bari, Brescia-Verona-Vicenza-Padova e Salerno-Reggio Calabria sono raggruppati insieme a investimenti di velocizzazione di tratte già esistenti (Roma-Pescara, Orte-Falconara, Palermo-Catania-Messina, Liguria-Alpi, Taranto-Metaponto-Potenza-Battipaglia e Verona-Brennero). Per il totale di questo raggruppamento viene indicato un ricorso ai fondi europei di €14,79 miliardi (inclusi investimenti già in essere), senza alcuna stima del costo previsto per ogni singolo intervento, dell’impatto economico atteso, né di priorità di scelta nel caso in cui più opere dovessero dimostrarsi più onerose o con tempi di realizzazione più lunghi del previsto.
 
Il problema è anche aggravato dall’inserimento nel Piano di numerose iniziative potenzialmente in sovrapposizione tra loro. Un esempio: è perseguibile una strategia di sviluppo della rete elettrica, destinata alla mobilità e alimentata da fonti rinnovabili, e contemporaneamente lo sviluppo della produzione e distribuzione dell’idrogeno, facendo ricadere entrambe nell’orizzonte del Piano? 

Quali considerazioni sull’intera filiera automotive sottende questa (non) scelta? 

Emergono anche esempi di potenziale sovrapposizione delle infrastrutture per il trasporto, come autostrade, ferrovie, aeroporti per collegare città oggi non adeguatamente servite; abbiamo già sperimentato l’evidente effetto di sostituzione dell’alta velocità rispetto al trasporto aereo.

In altri casi il Piano mostra di essere assemblato tramite l’aggregazione di documenti con differente livello di dettaglio; a pag.81 si legge: “Una seconda azione promuove attraverso un credito d’imposta l'acquisto o la costruzione di stampi per la laminazione sotto vuoto di scafi per imbarcazioni da diporto in infusione di fibra di vetro o tessuti pregravati, che consentono una maggiore efficienza in navigazione.” 

In altri casi ancora non appare chiaro l’orizzonte temporale degli interventi. A pag.19 si legge: “Nell'industria siderurgica primaria, l'idrogeno rappresenta in prospettiva un’alternativa al gas naturale per la produzione di Ferro Ridotto Diretto (DRI). In linea con gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni, è previsto un investimento per lo sviluppo del DRI connesso al progetto di decarbonizzazione dell’ex ILVA a Taranto e alla transizione per la produzione di acciaio verde in Italia”. Quella basata sull’idrogeno è una tecnologia già sufficientemente matura per essere applicata in un ambito critico come quello dell’ex ILVA? O rappresenta un possibile esito nel medio-lungo termine, potenzialmente sperimentabile in contesti meno gravati da urgenti esigenze di riduzione dell’inquinamento e, al contempo, di sostenibilità sociale? 

CIDA, con il fondamentale apporto delle sue Federazioni, continuerà a essere impegnata nell’analisi critica del Piano, offrendo al Governo il supporto di esperti veri, formati sul campo nelle aziende più competitive del nostro Paese. Suggerirà anche gli strumenti da attivare per sviluppare le competenze insufficienti, per contrastare gli skills shortage già oggi elevatissimi in molti settori e destinati ad aggravarsi. Pur conservando il lavoro svolto fino ad ora, in particolare il censimento dei progetti e delle risorse economiche disponibili, il Piano avrà la necessità di essere profondamente rivisto, secondo linee metodologiche molto più rigorose.
 
Mario Draghi sarà certamente in grado d’imprimere una svolta decisiva all’azione di Governo e alla programmazione delle azioni necessarie a riavviare il Paese, ma ognuno di noi, nessuno escluso, dovrà comprendere bene quale sia la sua parte e agire di conseguenza, assumendosi responsabilità coerenti con le proprie competenze.

Noi manager conosciamo bene questo principio e saremo tra i primi a fare la nostra parte. 
Attendiamo solo di poter scendere in campo.
CIDA è la Confederazione sindacale che rappresenta unitariamente a livello istituzionale dirigenti, quadri e alte professionalità del pubblico e del privato. Le Federazioni aderenti a CIDA sono: Federmanager (industria), Manageritalia (commercio e terziario), FP-CIDA (funzione pubblica), CIMO (sindacato dei medici), Sindirettivo (dirigenza Banca d’Italia), FENDA (agricoltura e ambiente), Federazione 3° Settore CIDA, FIDIA (assicurazioni), SAUR (Università e ricerca), Sindirettivo Consob (dirigenza Consob), Sumai-Assoprof (medici ambulatoriali).
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