Prospettive europee di sviluppo sostenibile

Il rinnovo del Parlamento Europeo stimola riflessioni sulle politiche di sviluppo economico

A cura di CIDA 

Finora, in Italia si sono sottovalutati quei fattori che nella società della conoscenza risulteranno sempre più decisivi, anche se intangibili, quali: cultura manageriale e d’impresa, processi gestionali, policies, modelli organizzativi, sistemi informativi, strategie e modelli di leadership. È necessario recuperare il tempo perduto attraverso un percorso rapido e focalizzato, utilizzando in modo concertato e responsabile tutte le risorse disponibili, senza delegare alle sole iniziative pubbliche una rinascita che può provenire soltanto da uno sforzo congiunto.

L’economia della conoscenza riporta l’attenzione sulle persone e sulle relazioni. Il lavoro, non più rappresentabile secondo categorie rigide e sostanzialmente costruite sul ciclo di vita dei beni materiali, deve trovare un ruolo centrale come espressione della conoscenza individuale e sociale. Occorre pertanto ricostruire un modello sociale nel quale la conoscenza non è fonte di guadagno per chi la possiede in base a meccanismi di esclusione e di protezione, ma lo diviene nel momento in cui è condivisa tra più soggetti ed è utilizzata per far crescere il livello complessivo di qualità e produttività dell’impresa e della società in generale.
 
Nel passaggio dall’economia materiale a quella della conoscenza, non possiamo ignorare gli effetti negativi di questa evoluzione sull’occupazione e di conseguenza attivare strumenti di politiche attive del lavoro affinché coloro che, per effetto delle trasformazioni in atto, si ritrovino privi di un’occupazione non siano tenuti ai margini e condannati alla povertà. Nel caso dei giovani è necessario favorire il loro rapido ingresso nel mondo del lavoro, non solo in virtù del principio di solidarietà intergenerazionale, ma anche perché sono i migliori alfieri dell’innovazione, gli agenti del cambiamento di cui abbiamo bisogno. 

Il valore del lavoro scaturisce oggi dalla sua qualità e bisogna dare la possibilità a ciascun lavoratore di investire tempo ed energie per migliorarla. Occorrono meccanismi in grado di premiare la crescita professionale, che riconoscano il merito e impediscano la formazione di zone di comfort nelle quali adagiarsi senza perfezionarsi ed evolversi. Dobbiamo mettere il lavoro al primo posto, come indica la nostra Costituzione. 

Il ruolo del manager nell’azienda e nella società orientata all’economia della conoscenza è quello di generare valore attraverso l’incremento qualitativo dell’attività, grazie alle sue competenze, alla leadership e alla capacità relazionale. 
L’intenzione di proporsi, da parte dei manager, come elemento propulsore di innovazione al servizio della collettività, deriva da una riflessione sulla propria identità e sul proprio ruolo. La dirigenza è presente in tutti i gangli socioeconomici, pubblici e privati, costituisce quel livello fondamentale del governo del sistema che valuta, prepara, attua e amministra le scelte politiche. 

Politica economica 

Quando pensavamo che le pesanti conseguenze economiche della pandemia fossero superate, lo scoppio della guerra in Ucraina prima e delle altre tensioni internazionali poi hanno messo in discussione le prospettive di ripresa. In tale contesto, la crescita è risultata fortemente rallentata. La risposta dell’UE è stata rapida, ma la costante incertezza geopolitica aumenta le difficoltà per le imprese che si muovono nel contesto globale e quindi è necessario, da un lato, capire quali saranno le prospettive di stabilità macroeconomica e finanziaria e, dall’altro, valutare l’impatto che tale contesto avrà sulle imprese e sulle loro decisioni di investimento. 

Il nuovo Parlamento Europeo, nel rispetto del “Pilastro Sociale” (Social Pillar), dovrà puntare su politiche che pongano al centro gli interessi dei cittadini. L’UE dovrà poi rivedere il quadro finanziario 2021/2027 per renderlo un modello di politica macroeconomica e fiscale in considerazione della scadenza del NextGenerationEU prevista per il 2026, e soprattutto dovrà procedere al completamento dell’unione bancaria e del mercato dei capitali, necessari per creare meccanismi stabili di condivisione dei rischi, i soli in grado di favorire la ripresa. In tale contesto, ci preme evidenziare la condizione delle “classi medie”. 
Nelle società moderne il ceto medio comprende professionisti su cui si concentrano competenze e know-how, tecnologie, esperienza e capacità gestionali rilevanti per lo sviluppo dell’economia e della società.

Più indagini evidenziano come India e Indonesia abbiano introdotto precise strategie per far crescere i propri ceti medi. Lo stesso stanno facendo tutti i Paesi aderenti all’Asean (Association of Southeast Asian Nations) che, complessivamente, nel 2030 potrebbero rappresentare, con oltre 700 milioni di abitanti e un tasso di crescita elevato, la quarta potenza economica mondiale. Tale progresso è basato soprattutto sullo sviluppo dell’economia della conoscenza, sostenuta da un ceto medio giovane e in rapida espansione. 
Contemporaneamente, in Europa e Nord America si registrano declino demografico, assenza di crescita economica e polarizzazione dei poteri d’acquisto. 
Questa situazione comporterà una contrazione del mercato occidentale e un’esplosione dei mercati emergenti. Date queste condizioni, fra 15 anni il centro del mondo, industriale, economico, culturale, finanziario e politico si sarà spostato: gli headquarter di marketing, ricerca e sviluppo o di gestione potranno anche restare a New York, Londra o Parigi, ma i mercati più importanti saranno in Cina, India e Asean. 
Questo implicherà un grande sconvolgimento per tutti i principali gruppi occidentali: riallocazione delle risorse e dei team, differenziazione degli approcci e dei modelli di attività, modifica delle organizzazioni, creazione di gruppi di lavoro multiculturali. 
Al di là della condizione misurata dalle statistiche socioeconomiche, questa crisi delle società occidentali ha colpito in modo sensibile anche la percezione che i cittadini italiani ed europei hanno della propria condizione. Ciò determina una forte riduzione dei consumi, su tutti i fronti, non solo da parte delle classi più svantaggiate, ma anche delle classi medie. 

La sensazione di essere gli unici destinatari di politiche “punitive” è tanto più problematica quando è accompagnata da un sensibile incremento della percezione di non ricevere in cambio alcuna contropartita. 
L’aumento effettivo e percepito della contribuzione di questi gruppi sociali è tanto meno accettato quanto questi vedono, da una parte, moltiplicarsi i dispositivi di aiuto ai quali non sono ammessi e, dall’altra, deteriorarsi la qualità dei servizi pubblici che sono sempre stati essenziali agli occhi delle classi medie come la salute e l’istruzione. 

Quali potrebbero essere quindi le soluzioni in grado di rallentare o quanto meno mitigare questo scenario? 

Occorre puntare, come fanno i Paesi dell’Asean, su politiche economiche più lungimiranti, in grado di sostenere i redditi individuali in rapporto al costo della vita, di accrescere l’accesso alle possibilità di formazione, di sostenere adeguatamente coperture assicurative per le malattie e altri inconvenienti e i risparmi per la vecchiaia, politiche in definitiva che ridiano slancio “all’ascensore sociale” e consentano maggiore mobilità.

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