Legge di Bilancio 2023: un’analisi alla ricerca della visione
Il nuovo Governo, insediato il 22 ottobre 2022, ha presentato il 21 novembre, in meno di un mese, la Legge di Bilancio 2023 che ha ricevuto l’ok definitivo del Senato il 29 dicembre 2022 ed è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale. Quale nuova visione di Paese ne risulta?
Pasquale Antonio Ceruzzi
Componente del Gruppo Cultura e del Comitato di Redazione Dirigenti Industria
Il Governo ha concluso entro il 2022 l’iter di approvazione della Legge di Bilancio per il 2023. Non possiamo non apprezzare la rapidità con cui questa è stata approvata, evitando così l’esercizio provvisorio e il danno di immagine per il Paese.
Lasciando sedimentare il polverone mediatico dei commenti a caldo e scendendo nei dettagli delle misure cerchiamo di analizzare le finalità e la visione di Paese che la manovra intende realizzare.
La Finanziaria 2023 potrà contare su un totale di 35 miliardi di euro (di cui 20 in deficit ottenuti da un aumento di circa 1 punto percentuale di questo, dal 3,5% al 4,5%, con aumento del debito pubblico, 10 miliardi di “tesoretto” lasciato dalla gestione del precedente Governo, più altri fondi recuperati per riduzione di provvedimenti quali il Reddito di Cittadinanza e il Superbonus efficientamento energetico dal 110% al 90%).
Il provvedimento più importante della nuova manovra (21 miliardi) sosterrà il “pacchetto contro il caro energia” e vedrà tra i maggiori beneficiari imprese, attività commerciali e famiglie. Altre poste, di entità inferiore, saranno destinate a lavoro (4,8 miliardi), imprese (4 miliardi), famiglie (1,5 miliardi), fisco, pensioni, “norma salvacalcio” (900 milioni) e investimenti al Sud. Il dettaglio dei vari pacchetti può essere visionato al seguente link del Ministero dell’Economia e Finanza: https://www.mef.gov.it/focus/Le-principali-misure-della-manovra-2023/
La “parte del leone” di questa Finanziaria è svolta dal Pacchetto Energia con “ristori” nei confronti di un’ampia platea di categorie al fine di alleviare l’impatto del “caro energia” visibile nel prezzo in bolletta di luce, gas e prodotti energetici in generale. Il resto, e il termine non è casuale, va a lavoro, imprese e famiglie. Un deciso e oneroso intervento per alleviare il caro energia di questi mesi, senza un chiaro disegno sugli interventi per la transizione e l’indipendenza energetica, finanziando ad esempio impianti fotovoltaici sui tetti degli edifici pubblici e impianti eolici.
Molto discussi i provvedimenti su Tregua Fiscale, Tetto al contante, Ridimensionamento dell’obbligo dei pagamenti elettronici a vantaggio di categorie nei confronti delle quali ci si aspetta maggior rigore fiscale per ridurre evasione, elusione e sommerso che sottraggono allo sviluppo economico e sociale una cifra stimata di 174 miliardi all’anno (report Istat sull’economia non osservata anno 2020).
Parecchio discussi anche i pacchetti Rimodulazione imposte per autonomi e partite IVA flat tax al 15%, ridotta al 5% per i primi cinque anni, Nuova quota di ingresso al godimento della prestazione pensionistica, e Aggiornamento minima pensionistica e indicizzazione prestazioni all’inflazione.
La Flat Tax è una riduzione a favore di categorie, in questo caso privilegiate, e a scapito dei lavoratori dipendenti e pensionati, insomma un regalo ad autonomi e partite IVA che passando dal “regime semplificato” (quello per le ditte individuali) al “regime a forfait (Flat Tax)” ottengono notevoli vantaggi. In termini concreti, questo passaggio comporta un reddito netto più alto (dal 15 al 25%) e un debito d’imposta più basso (dal 25 al 30%) per importi di fatturato nel range da 40.000/70.000 euro all’anno. La domanda spontanea è: perché questo vantaggio solo agli autonomi e non ai dipendenti?
La risposta riportata nei documenti ufficiali del Governo - “si abbassano le tasse e si recupera gettito” - non pare credibile in quanto l’anno fiscale 2022 appena trascorso sta dimostrando che la “tassazione a forfait per redditi fino a 65.000 euro” non recupera alcun gettito d’imposta, anzi ne perde di ulteriore (confermando il risultato di un provvedimento simile applicato da anni all’affitto di immobili: la “cedolare secca” al 21%, e al 10% per i contratti di locazione a canone concordato).
Quindi, nella consapevolezza che questo provvedimento aumenterà unicamente il debito per i conti nazionali non lo si potrebbe applicare ai 18 milioni di lavoratori dipendenti e agli oltre 16 milioni di pensionati senza causare un ulteriore “buco di bilancio” nei conti pubblici. Il provvedimento, poi, si presta ad almeno due rilievi di incostituzionalità: perché viola il principio di equità fra tutti i contribuenti per lo stesso livello di reddito, e perché l’imposta deve essere progressiva per redditi crescenti, con il sistema a scaglioni che ha regolato l’IRPEF fino al 2022.
A questi rilievi, vanno aggiunti, inoltre, almeno due elementi “distorsivi” che portano a modificare i comportamenti dei contribuenti in maniera opportunistica per ottenere ulteriori benefici. Il primo riguarda comportamenti elusivi ed evasivi per non superare la soglia dei 65.000 euro (ad esempio, ritardate fatturazioni o “pagamenti in nero”) e l’uscita dal regime forfettario (possiamo immaginare, senza sforzarci, che questo potrà accadere anche con la soglia elevata a 85.000 euro). Il secondo, forse peggiore del primo, è la tentazione indotta, per le imprese, di offrire posizioni lavorative come partite IVA e non come dipendenti ai soggetti in cerca di lavoro. Il risparmio per le imprese è nel costo pagato per l’attività richiesta che passa dal costo del dipendente (somma di Reddito Annuo Lordo RAL + Contributi e Oneri Previdenziali + TFR + Costi Intermedi) al costo della collaborazione (approssimativamente fatturato – costi forfettari dell’attività) con una percentuale in riduzione significativa (da un – 9 a un – 30% per Redditi Netti da 20.000 euro a 40.000 euro).
Proseguendo con la Nuova quota di ingresso al godimento della prestazione pensionistica si passa da Quota 100 (requisiti 38 anni di contribuzione e 62 anni di età) a Quota 103 (requisiti 41 anni di contribuzione e 62 anni di età). Il deficit e il debito aggiuntivo generato dalla precedente versione della legge non sembrano essere stati valutati con la necessaria attenzione. Il numero di pensionati ha superato nel nostro Paese i 16 milioni di persone (che percepiscono 22,32 milioni assegni pensionistici), rispetto a 23,2 milioni di occupati di cui 15,12 milioni a tempo indeterminato, 3,08 milioni a tempo determinato e 4,96 milioni di autonomi (dati ISTAT a novembre 2022). Sono numeri preoccupanti che minano l’equilibrio finanziario e la sostenibilità dei conti dello Stato. Il rapporto occupati su pensionati (23,2 milioni/16,05 milioni) è 1,44; uno dei valori più bassi tra tutti i Paesi dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) che ha un media di 1,6 e consiglia un rapporto di “sicurezza” di 2. Nei 23,2 milioni ci sono poi 3,08 milioni di lavoratori a tempo determinato che spesso non riescono nemmeno a versare i contributi all’INPS per sé stessi. Lascia quindi perplessi l’ulteriore deficit inserito nella Legge di Bilancio con Flat Tax, Quota 103 e nuova precarietà reintroducendo i voucher per i “lavori occasionali”.
Analizzando la misura Aggiornamento minima pensionistica e indicizzazione prestazioni all’inflazione risulta evidente e significativa la riduzione della perequazione a carico delle pensioni oltre 4 volte il minimo che colpisce i dirigenti. Insomma, con una mano si elargisce verso i redditi da pensione minima (e circoscritto agli over 75) dall’altra si toglie limitando fortemente l’indicizzazione verso le pensioni con multipli superiori a 4 volte. È un altro colpo illogico, ingiusto e ostile alle pensioni dei dirigenti, come è stato ampliamente analizzato negli articoli Dirigenti Industria di gennaio-febbraio 2023.
I dirigenti hanno sostenuto costi importanti per poter costruire la loro prestazione pensionistica in virtù di un patto con lo Stato che è stato infranto, ripetutamente, dagli ultimi Governi incluso l’attuale. Sulla pensione futura i dirigenti hanno pianificato la loro vita e quella delle loro famiglie, non è quindi accettabile che una delle controparti venga meno agli impegni. Ci sono elementi di incostituzionalità e danni economici oggettivi che richiedono un rimedio urgente ricorrendo in tutte le sedi opportune.
Utili a sostenere la ripresa i pacchetti Rifinanziamento degli incentivi per le imprese (Pacchetto Imprese/sostegno allo sviluppo) e Incentivi per gli investimenti al Sud in quanto a sostegno di:
- contratti di sviluppo nei settori industria e turismo (periodo 2023-2027);
- della nuova “Sabatini” con 150 milioni per agevolare gli investimenti in beni strumentali e Fondo di Garanzia PMI;
- del credito d’imposta (fino a 500.000 euro) per favorire la quotazione delle PMI in Borsa;
- dell’innalzamento dal 3% al 6% della deducibilità delle quote di ammortamento dei fabbricati strumentali per l’esercizio dell’impresa;
- della proroga (per tutto il 2023) di agevolazioni (credito d’imposta e incentivi) sugli investimenti effettuati nelle regioni del Mezzogiorno, nelle Zone economiche speciali (Zes) e nelle Zone logistiche semplificate (Zls);
- del rinnovo del credito di imposta per gli investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione in favore di imprese localizzate al Sud.
Tutto quanto sopra esposto è funzionale allo sviluppo e alla crescita del Paese, sebbene gli impegni finanziari siano allocati illimitatamente nel tempo, insufficienti e modesti rispetto a quanto inserito nei pacchetti energia, fisco e pensioni.
In conclusione
La Legge di Bilancio aumenta la spesa corrente per far fronte alle emergenze, per “tirare avanti” rinviando gli investimenti nelle iniziative strategiche per il rilancio del Paese.
Quello che non emerge in questa Legge di Bilancio è un’idea di Paese per il futuro in grado di stabilire almeno nel medio termine (5-10 anni) quali siano i settori e i servizi prioritari per il Paese nei quali vogliamo concentrare i nostri investimenti. Le riforme e i nodi che dovremmo risolvere sono noti a tutti: dalla demografia alla competitività, al debito pubblico, alla giustizia, a un fisco più equo e partecipato, alla qualità del capitale umano, al rinnovo e all’autonomia energetica, alle reti di connessione informatiche e di trasporto.
Sono rinviati gli investimenti strategici, nonostante le risorse Next Generation EU/PNRR, per emanare molti provvedimenti, spesso in contraddizione, che aumentano la complessità e la difficoltà di controllo, rendendo sempre più difficile e costosa la lotta all’evasione e all’elusione, accettando che il 79,20% dei contribuenti certifichi un reddito inferiore a 29.000 euro e paghi imposte per il 27,5% del gettito totale (con una evasione annua di 174 miliardi).
Servirebbe allargare la base imponibile, ridurre il numero di esenzioni e incrociare alcuni servizi richiesti con le dichiarazioni dei redditi. Invece cancelliamo le cartelle esattoriali, alziamo il limite al contante, ostacoliamo i mezzi di pagamento elettronici, reintroduciamo voucher per pagare “prestazioni occasionali”, sforniamo bonus di ogni tipo e potenziamo la cosiddetta Flat Tax preferendola al taglio del cuneo fiscale che abbassa le imposte, non produce effetti distorsivi, aumenta la competitività delle nostre imprese e il reddito “in chiaro” delle persone fisiche. Insufficiente e discutibile – infine - la ridefinizione di spesa corrente improduttiva per renderci più efficienti e competitivi.
Il vero grande assente della manovra finanziaria è una chiara idea di Paese e di futuro.
Dal nuovo Governo ci aspettiamo una visione e una strategia di lungo termine, con iniziative concrete inserite in finanziaria per conseguire, con la partecipazione attiva e con l’equo contributo di tutti, i risultati attesi.