Pensioni e finanza pubblica: un equilibrio (in)giusto

Leggiamo insieme il “Documento di Finanza Pubblica 2025”, non solo nei numeri, ma nelle sue implicazioni per chi lavora e per chi è in pensione. Una lettura critica, pensata per avviare un dialogo all’interno della nostra Organizzazione. Perché dietro ogni riga del prossimo bilancio, c'è la vita concreta di qualcuno.

Mino Schianchi

Presidente Comitato Nazionale di Coordinamento Gruppi Seniores Federmanager e Presidente Comitato Pensionati ALDAI-Federmanager
Proviamo a rileggere il Documento di Finanza Pubblica 2025 (DFP), cercando di andare oltre le cifre, le proiezioni, le tabelle. Perché dietro ogni numero c’è sempre una scelta politica, e ogni scelta ha conseguenze reali sulla vita di chi oggi lavora e di chi è già in pensione.

Il nostro obiettivo è semplice, ma non scontato: offrire spunti di riflessione, anche alla luce dei molti documenti e delle analisi che sono stati diffusi in queste settimane, per capire meglio cosa c’è davvero in gioco. Ma soprattutto per prepararci: perché all’orizzonte c’è la prossima Legge di Bilancio 2026, e non possiamo permetterci che si trasformi nell’ennesimo colpo inferto – in silenzio – a lavoratori e pensionati, in particolare a quelli del ceto medio, già messi alla prova da anni di misure sbilanciate e poco lungimiranti.

Non possiamo più limitarci a osservare. È il momento di esprimere con chiarezza le nostre opinioni, di far sentire la nostra voce, di rivendicare un confronto pubblico e trasparente. Perché le poste di bilancio non sono semplici righe in un documento tecnico: sono scelte che parlano di equità, di futuro, di giustizia sociale. E noi vogliamo esserci, in questo dibattito. Con responsabilità, ma anche con determinazione.

Conti pubblici in equilibrio apparente

Lo scorso 9 aprile il Governo ha approvato il Documento di Finanza Pubblica 2025, che – di fatto – sostituisce il tradizionale DEF. Un documento diviso in due sezioni: la prima fotografa i risultati del 2024, la seconda si spinge verso le proiezioni future. Ma lo fa senza assunzioni programmatiche vere, accompagnandosi solo a tabelle e prospetti. Una scelta che, già in sé, appare riduttiva.

Non è un’impressione isolata: come emerso nelle audizioni parlamentari, il DFP mostra gravi lacune. Manca una visione strategica su capitoli fondamentali di spesa pubblica, come la sanità o l’attuazione del PNRR. In altre parole, non è chiaro quali siano le direttrici di sviluppo economico e sociale su cui il Paese intende muoversi.

Secondo le stime contenute nel documento, il deficit dovrebbe scendere al 3,4% del PIL nel 2025, dopo essere stato al 7,2% nel 2023. Un apparente miglioramento che però non nasce da una crescita economica solida né da riforme strutturali. È il risultato di una combinazione di maggiori entrate fiscali e tagli alla spesa pubblica, soprattutto in termini di investimenti. Un equilibrio fragile, che non offre reali garanzie per il futuro.

A rendere il quadro ancora più incerto è l’introduzione di un nuovo parametro di valutazione degli obiettivi incentrato sulla spesa: da ora conterà sempre di più come vengono spesi i soldi pubblici. Ma proprio su questo punto cruciale il DFP resta vago, privo di indicazioni concrete e verificabili.

Nel frattempo, chi continua a pagare il conto? Ancora una volta, lavoratori e pensionati del ceto medio. Anche in questo documento manca una vera strategia per riequilibrare il carico fiscale e rilanciare un sistema di welfare capace di includere davvero tutti. Un’altra occasione mancata per coniugare rigore e giustizia sociale.

La spinta silenziosa a lavorare più a lungo

Un altro segnale è chiaro: si vuole un impegno lavorativo a più lungo termine. Il DFP prevede incentivi fiscali per chi resta al lavoro oltre l’età pensionabile e nel pubblico impiego si permette di restare fino all’età di vecchiaia. Ma è davvero una scelta libera? Per molti no. Per tanti lavoratori, con stipendi bassi, carriere precarie o carichi familiari pesanti, restare al lavoro non è un'opzione, è una necessità.

Norme provvisorie e criteri sempre più rigidi

Le misure come Quota 103 e Opzione Donna sono state prorogate, ma solo per un anno. Una proroga breve che crea incertezza e lascia tanti lavoratori nel limbo. E intanto si alzano le barriere per chi vuole andare in pensione prima: serviranno almeno 25 anni di contributi dal 2025, che diventeranno 30 dal 2030. La crescita prevista per il 2025 è dello 0,6%. Poco. Troppo poco per affrontare con serenità riforme impegnative. Serve una riforma previdenziale vera, strutturata, capace di guardare al futuro e non solo al risparmio immediato.

Una previdenza sempre più per pochi

Il DFP insiste sulla previdenza integrativa: fondi pensione privati, riscatti di periodi non coperti, ecc. Tutte misure pensate per chi ha già una certa sicurezza economica. Ma chi ha redditi bassi o discontinui difficilmente può aderire. Il rischio? Che una pensione decente diventi un privilegio per pochi, mentre il sistema pubblico si impoverisce.

Potere d’acquisto sempre più eroso

Qui tocchiamo un punto cruciale. Per il 2025 è prevista una rivalutazione delle pensioni pari allo 0,8%, mentre l'inflazione stimata sarà tra l'1,6% e l'1,8%. Vuol dire un'altra perdita secca del potere d'acquisto. La Corte Costituzionale ha già più volte richiamato il legislatore: bloccare o ridurre il meccanismo della perequazione mina i principi stessi su cui si fonda il sistema pensionistico. E questa è una battaglia che va avanti da oltre vent'anni.

Non possiamo più accettare che la difesa del valore reale delle pensioni venga trattata come una voce da tagliare. Serve una linea chiara, stabile e giusta.

Il sacrificio invisibile e unilaterale

Nel Documento si afferma che le previsioni relative al 2025 e agli anni successivi tengono conto degli interventi della Legge 207/2024. Ma viene taciuto l’ulteriore sacrificio imposto, con l’art. 1, comma 180 della medesima legge, a una parte di pensionati residenti all’estero, e solo a loro. Questo silenzio è tanto più grave quanto più invisibile è la platea colpita: pensionati con trattamenti mediamente più elevati, residenti all’estero (essi soltanto), ma non per questo meno meritevoli di tutela. La loro esclusione selettiva dal pieno adeguamento all'inflazione costituisce un contributo occulto al contenimento della spesa pubblica, difficilmente giustificabile in termini di equità e ragionevolezza.

Le pensioni viste come costo, non come leva sociale

Nel documento, la spesa per pensioni continua a essere vista come un problema. Si parla di un aumento contenuto (+2,2%) ma inevitabile. Il rapporto con il PIL salirà comunque, per via dell’invecchiamento della popolazione e della debolezza economica. Ma non è pensabile affrontare tutto questo solo con tagli o restrizioni. Le pensioni sono anche una risorsa: sostengono la domanda interna, tengono insieme le famiglie, danno stabilità sociale.

Nel corso delle audizioni, e da più parti, è stato chiaramente spiegato che serve una selezione attenta degli interventi pubblici e una valutazione del loro rapporto costi-benefici. E questa analisi sarà ancora più importante dopo il 2026, quando il PNRR dovrà davvero mostrare i suoi effetti.

Una riforma non più rinviabile

Il DFP 2025, per come lo leggiamo, è un documento improntato alla prudenza. Ma fin troppo. Evita scelte coraggiose, rinvia decisioni cruciali, non assume impegni chiari e lascia irrisolte le criticità di sempre.

Se vogliamo evitare che la prossima Legge di Bilancio 2026 si traduca nell’ennesima occasione persa per affrontare con serietà e visione le questioni pensionistiche, è ora il momento di agire. Non domani, non tra qualche mese: adesso.

Lo diciamo da tempo e oggi lo ribadiamo con forza: serve una riforma previdenziale vera, che sappia guardare al futuro con coraggio e responsabilità. Una riforma che riconosca e valorizzi tutto il lavoro, quello degli attivi e quello di chi nel lavoro ha già dato; che introduca reali forme di flessibilità in uscita; che protegga il potere d’acquisto delle pensioni da un'inflazione che erode diritti e dignità. Una riforma che non continui a far gravare i costi dell’aggiustamento sempre sugli stessi: sui pensionati, sul ceto medio, su chi ha già dato tanto.
Solo attraverso un coinvolgimento ampio e consapevole – delle strutture centrali e territoriali delle nostre Associazioni, degli associati, dei cittadini, degli esperti e dei rappresentanti sociali – potremo costruire insieme un sistema pensionistico più equo, più sostenibile, più vicino alle persone.

È una sfida comune. Ed è una responsabilità che ci riguarda tutti.

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