Fantascienza onirica sui binari

Visitare Pietrarsa, il principale Museo Ferroviario nazionale

Giuseppe Colombi 

Consigliere ALDAI Federmanager
“Quella mattina Pino era davvero di buon umore: si era alzato all’alba, aveva preso sotto casa una macchinina elettrica del car sharing e in pochi minuti era arrivato in Centrale. Alle sei partiva un’Alta Velocità con destinazione Sud, e già alle 10.20 scendeva a Napoli Centrale. 
Al binario 24 era in attesa un convoglio particolare, un treno che sembrava uscito da un acquarello ottocentesco. In testa una perfetta riproduzione della locomotiva Bayard 1839, cui erano agganciate quattro carrozze storiche nelle livree originali. Il convoglio era presidiato da quattro ferrovieri, macchinista, fuochista, capotreno e frenatore. Certo, rispetto all’originale c’era qualche “licenza poetica”: per esempio l‘azionamento della locomotiva (la caldaia adesso era a gasolio), il sistema di frenatura e qualche altro dettaglio erano stati adeguati ai tempi, ma proprio solo nell’essenziale. Quel trenino era strapieno di passeggeri, prenotati da tempo. 
Si diceva che per mettere in funzione quel convoglio si fosse combattuta una strenua battaglia con l’Ufficio Complicazione Pratiche Semplici, ovvero con un’agenzia dedicata alla sicurezza ferroviaria che pretendeva di far precedere il treno (velocità massima 25 km/ora) da un trombettiere a cavallo, e che avrebbe voluto far indossare ai passeggeri un casco industriale per tutta la giornata: si era dovuto pensionare il titolare di quella fabbrica di scartoffie, il mitico ingegner Pagliarulo. Un’agenzia che, peraltro, dato che il tema non era risultato di sua competenza, non aveva visto due treni andare a sbattere l’uno contro l’altro a velocità folle, su un binario unico senza controlli.
Alle 10.40 lo sbuffante convoglio si era messo in moto ed in una mezzoretta aveva raggiunto Pietrarsa: uno scambio, azionato a mano, lo aveva deviato nella ricostruita stazioncina ottocentesca d’arrivo, vicino alla statua in ghisa di Ferdinando II. In ghisa, appunto, così che le pallottole dei garibaldini nel 1860 non le avevano prodotto che qualche scalfittura.
Pochi minuti dopo sul binario a fianco sarebbe arrivato da Roma un lucente Settebello, rimesso in funzione per i viaggi del fine settimana dalla Capitale a quel luogo magico.
Il Museo Ferroviario ci aveva messo qualche anno per trovare la sua funzione: nato quasi per scommessa, dapprima aveva stentato un po’, ma poi gruppi di ferrovieri in pensione che sapevano ancora di trazione a vapore, fermodellisti capaci di rendere in un plastico qualsiasi percorso ferroviario, appassionati di ogni tipo erano riusciti ad arricchire l’offerta disponibile e Pietrarsa era diventata quel che doveva essere, il luogo in cui si celebravano le glorie della storia ferroviaria d’Italia. E il progetto cresceva di anno in anno.
Alcuni politici un po’ deliranti , che nell’area non mancavano di certo, avevano preso a cuore Pietrarsa, e questo era stato un gran bene, perché a volte i pazzi possono risultare essenziali…
All’originario padiglione delle locomotive si erano aggiunti depositi per i locomotori, per le carrozze, persino per i carri merci: molto materiale era parcheggiato ancora all’aperto perché lo spazio al coperto non bastava più. Qualcuno pensava che i binari di competenza del museo dovessero essere estesi, magari fino a Portici per arrivare con la Bayard fino al suo originario capolinea.
 Decine di sistemi video davano conto delle più significative vicende ferroviarie; per gli amanti dell’Horror c’era persino la ricostruzione del tragico incidente delle locomotive di Balvano, del 1944.
E si potevano seguire i viaggi virtuali della Ora-Predazzo, della Voghera-Varzi, della Roma-Fiuggi, e di molte altre antiche ferrovie. Quelle che, ormai, vivevano solo nel ricordo di qualche vecchio appassionato, che dopo la guerra con quei trenini era andato a scuola. 
Ma quello che piaceva di più ai molti bambini era il padiglione dei plastici, una decina, tutti con treni in marcia ed un traffico complesso di movimenti, gestiti da una pattuglia di appassionati che venivano dai luoghi più diversi. Avevano persino creato un orario con tanto di tabellone e tutti potevano sapere che treno sarebbe partito nei minuti a venire.
 Il pranzo, compreso nella prenotazione, sarebbe stato servito in quattro carrozze ristorante, centenarie ma fiammanti, parcheggiate su un binario al centro del complesso. Nei giorni di punta si arrivavano a servire, su più turni, fin o a cinquecento coperti: la cooperativa che si faceva carico della refezione, fatta di giovani tirocinanti, si fregava le mani…
Il tempo di dare un’occhiata alle altre iniziative che il Museo stava realizzando, di passare a comprare gadgets e souvenir nella fornitissima libreria e si sarebbe tornati a casa: chi con la Bayard a Napoli, chi col Settebello verso Roma.
Tale era stato il successo dell’iniziativa, certamente supportata dalle varie istituzioni, convinte che un serio turismo di qualità sarebbe stato sempre più essenziale per Napoli e la sua regione, che in Umbria qualcuno aveva ottenuto ed avviato la ricostruzione, a scopi turistici ed a costi controllati, della leggendaria Spoleto-Norcia.
A San Marino invece, il trenino bianco-azzurro era già diventando il principale mezzo di afflusso dei turisti da Rimini…” 
E poi mi sono svegliato: in effetti nei giorni precedenti ero stato a Pietrarsa, il principale Museo Ferroviario nazionale. Quel luogo è ancora un po’ lontano dalle descrizioni oniriche precedenti, ma tale potrebbe diventare, forse senza nemmeno investimenti da capogiro.
Intanto è già nelle mani di una piccola struttura di giovani entusiasti, che nella scarsezza dei mezzi fanno davvero del loro meglio per garantire ai visitatori (ancora pochi) un’esperienza unica. Onore al merito di chi ci ha creduto, e ci lavora con passione e competenza, anche senza voler celebrare messe cantate (!).
E’ un luogo da visitare e da valorizzare, auguriamoci che FS ne garantiscano lo sviluppo futuro: è sulla propria memoria storica che si fondano le più forti culture aziendali.
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