Assalto alla dirigenza
È giunto il momento di fare una profonda riflessione sul meccanismo di perequazione come strumento di rivalutazione delle pensioni. Una riflessione che deve impegnare innanzitutto quelli che sono ancora in attività di lavoro
Mino Schianchi
Vicepresidente ALDAI-Federmanager
Facile l’assonanza tra “l’assalto alla diligenza” e “l’assalto alla dirigenza”. Associamo le due espressioni per richiamare alla mente scene di film western dove si vedono carrozza isolate, trainate da cavalli, mentre percorrono territori ostili.
Azzardiamo la similitudine, per significare l’isolamento in cui si trovano i Dirigenti una volta collocati in pensione. Potremmo dire i pensionati tutti. Ma per una parte, per quelli che percepiscono assegni non elevati scatta, a giusto titolo, la solidarietà come dovere civico che impegna tutti noi. Scatta, in particolare, il sostegno di tutte le associazioni sindacali che, a giusta ragione, si fanno carico delle persone più svantaggiate e dei lavoratori che nel corso della loro vita lavorativa hanno percepito modesti salari o che hanno percorso carriere discontinue e che, pertanto, si trovano ora a percepire pensioni modeste.
Diversa è la situazione per i pensionati che, dopo lunghi anni di ininterrotte carriere, percepiscono assegni più elevati. Sono persone che hanno ricoperto ruoli di alta responsabilità nella conduzione di aziende pubbliche e private, nei ruoli della magistratura, negli incarichi militari, ecc. Questi, da quando l’incremento dei loro trattamenti è stato sganciato dalla dinamica salariale, per agganciarlo esclusivamente all’indice d’inflazione, si trovano in una situazione di isolamento totale. Salvo le iniziative che, faticosamente, conducono le Associazioni dei Dirigenti sui tavoli di Governo e nelle sedi della politica. Iniziative che spesso, quando va bene, si risolvono nel limitare i danni.
Essendo fuori dal mondo del lavoro, questi pensionati sono rimasti privi di impegnative forme di contrattazione sindacale. Conseguentemente non hanno la possibilità di attivare efficaci iniziative di lotta o di pressione.
Movimenti politici, nel frattempo, hanno alimentato una campagna di disinformazione sulla formazione dei trattamenti di questi pensionati. E’ venuto a crearsi, così, un ambiente ostile perfino contro quelli che percepiscono trattamenti pensionistici appena superiori alla soglia di povertà.
Forti di un consenso creato ad arte, i Governi hanno potuto facilmente attingere dai redditi di queste persone risorse utili a sostenere esigenze di finanza pubblica. A volte anche al di là di queste esigenze, e solo per piantare qualche bandierina simbolica come conquista nella realizzazione dei loro programmi politici.
Nel nostro sistema di perequazione mancano disposizioni che obbligano all’imprescindibile rispetto di un meccanismo di rivalutazione che assicuri miglioramenti quantomeno dignitosi a tutte le pensioni. Il nostro è un meccanismo che può essere sospeso, modificato, perfino sminuzzato con aliquote irrisorie.
Già costruito per permettere soltanto rivalutazioni parziali a quelle al di sopra di una determinata soglia, è un meccanismo rimesso ormai alle ondivaghe politiche dei partiti che si alternano al governo del Paese. Peraltro questi, non riuscendo a recuperare risorse dai grandi capitali e dall’evasione, mostrano di avere coraggio nel prendere soldi dalle tasche dei pensionati che non hanno strumenti di contrasto e di opposizione.
Noi pensionati, ormai, non abbiamo più nessuno strumento per opporci a questi continui interventi riduttivi, perché, come detto, le pensioni sono state distaccate dalla dinamica salariale oramai da 30nni (Riforma del Governo Amato -D.Lgs. 503/1992-). La promessa, contenuta in tale riforma, di incrementare i livelli pensionistici in rapporto all’evoluzione del costo della vita non è stata più mantenuta, da decenni. Con il tempo quell’impegno si è rivelato una trappola soprattutto per chi, avendo pagato alti contributi, si trova oggi tartassato da ripetuti tagli e riduzioni.
Un rimedio possibile contro queste continue manipolazioni del meccanismo di rivalutazione è toglierlo dalle mani di chi una volta sì e un’altra pure ne fa strumento di discriminazione sociale, di propaganda partitica e di penalizzazione a carico di una minoranza di cittadini. Insomma tornare al sistema di perequazione collegato alla contrattazione collettiva. Si tratta di riportare anche i pensionati nel mondo del lavoro, avendo come riferimento il principio che la pensione non è altro che retribuzione differita.
E’ una riflessione che affidiamo soprattutto ai giovani Dirigenti e Manager che un giorno saranno anch’essi pensionati, affinché la valutino in ogni suo aspetto nella consapevolezza che gli strumenti di tutela della dignità e dei diritti dei lavoratori vanno predisposti in modo che possano coprire non solo gli anni di lavoro, ma anche gli anni della pensione.