I tagli alle pensioni - alibi e giustificazioni fantasiose

Un Paese che non riconosce il merito e distrugge la certezza del diritto non ha visione di futuro

 Michele Carugi

Socio ALDAI-Federmanager , Consigliere nazionale Federmanager e componente del Comitato di redazione Dirigenti Industria
Dal 1986 le pensioni superiori a 4 volte il minimo (oggi 2.101,52 € lordi, oltre i quali la rivalutazione per il recupero dell'inflazione anche nel 2022/23 è parziale) vengono erose dall’inflazione anno per anno attraverso un meccanismo di (non) rivalutazione che nei trascorsi quasi 40 anni i Governi hanno usato in modi più o meno aggressivi per diminuire in termini reali la parte di spesa pensionistica a carattere prevalentemente previdenziale, utilizzando in parte le risorse sottratte ai pensionati per finanziare l'assistenza.
Alle (non) rivalutazioni si sono periodicamente sommati prelievi così detti “di solidarietà”.

Sin qui i fatti, asetticamente descritti e documentati; la domanda che sorge è: quali sono i motivi che hanno portato costantemente a depauperare in modo progressivo e permanente gli assegni pensionistici? Quali le ragioni? Quale la logica dietro queste misure? 

Le risposte possibili e che sono state via via date a queste domande sono molteplici e vale la pena esaminarle una per una, valutandone la concretezza e la veridicità.

La più comune vulgata è stata che le pensioni subdolamente definite “d’oro” sono resilienti (definizione della Corte Costituzionale) e quindi possono sostenere i prelievi e le decurtazioni.
Con ciò si voleva tagliare qualsiasi discussione nel merito dei perché, appellandosi al principio della redistribuzione della ricchezza. L’argomento, però, fa acqua da molte parti; infatti, anche accettando l’idea che esasperare surrettiziamente la tassazione progressiva con prelievi ex post sulle pensioni sia cosa buona e giusta, è palese che riservare a pari reddito questo trattamento ai soli pensionati cozzi pesantemente con il principio costituzionale della concorrenza di ciascuno alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva; "in soldoni": eguale reddito, eguale tassazione.
Argomento bocciato.

La seconda più diffusa teoria è che il sistema pensionistico è troppo costoso e pertanto bisogna far fare sacrifici ai pensionati più abbienti per alleggerirlo.
Qui entra in gioco la commistione di assistenza e previdenza che il nostro sistema pensionistico porta con sé; in un sistema previdenziale sano le prestazioni erogate sono strettamente proporzionali ai contributi versati e non c’è spazio per prestazioni gratuite; questa è la regola ferrea affinché il sistema stia in piedi. Il bilancio dell’INPS identifica con esattezza la spesa previdenziale e quella assistenziale e dai suoi numeri emerge chiaramente che la palla al piede delle “pensioni” è il carico assistenziale e non quello previdenziale. Ma, nel sentire comune: “le pensioni costano troppo”. In attesa di separare anche normativamente (enti erogatori diversi) la previdenza dall’assistenza bisogna almeno non fingere che sia la prima a mandare a fondo i conti e che quindi sia essa da tagliare.
Argomento bocciato.

C’è poi chi ha fatto leva sulla generosità del sistema retributivo che ha elargito pensioni non giustificate, per applaudire alle misure che decurtavano quelle più alte.
In effetti c’è del vero nel racconto di un sistema che garantiva assegni ben generosi rispetto ai contributi versati; nel retributivo puro, la pensione veniva calcolata sommando per ogni anno di anzianità il 2% della media delle ultime retribuzioni, fino a un massimo dell’80% di essa. Ecco, vedete! dicevano i fautori dell’equità sociale. Peccato, però che quel 2% si assottigliava prima all’1,5 % e poi allo 0,9 % con il progredire del reddito pensionabile, quindi le pensioni sovrastimate sono soprattutto quelle basse e medie e non quelle elevate. Tra quest’ultime, anzi, parecchie beneficerebbero da un ricalcolo contributivo, vale a dire che ricevono nell’aspettativa di vita del pensionato meno dei contributi versati; ciò nonostante, vengono costantemente alleggerite perché privilegiate, “d’oro”.
L’argomento del “riequilibriamo equamente le pensioni retributive”, che avrebbe una sua logica, è bocciato per come viene insensatamente articolato.

Alcuni, timidamente, hanno avanzato l’idea che i pensionati abbiano ormai una vita poco dispendiosa e quindi toglier loro un po’ di reddito non sia così grave; questo argomento rientra in sostanza nella categoria della “resilienza”, con l’ulteriore precisazione che essa deriverebbe da minori bisogni reddituali; infatti ormai sono penalizzate anche pensioni basse. 
Ora, nel 2023 la vita dei 60 - 70 - 80enni non è esattamente quella dei loro pari età di 50 anni fa; non passano le ore sulla panchina del parco o a contemplare i lavori in corso o a guardarsi l’ombelico, ma hanno ancora una vita sociale, consumano, viaggiano, come gli altri; inoltre, se è vero che alcuni bisogni calano con il progredire dell’età, altri si impennano; la buona salute purtroppo non assiste tutti e le spese mediche, cifre alla mano, lievitano enormemente con l’età.
Neppure l’argomento: “i soldi non vi servono” è corretto.

Resta l’argomento più terra terra: il bilancio dello Stato fa acqua da tutte le parti e bisogna trovare le risorse per evitare che la barca affondi.
Innegabile che i bilanci siano penosi e sempre più difficili da far quadrare, ma, come già accennato, esiste una fiscalità generale che dovrebbe provvedere (evasione e condoni a parte) ad aggiustare il bilancio; certamente non può essere corretto caricare a una sola parte, che già partecipa all’erario in proporzione al proprio reddito, un’ulteriore tassa dedicata. Poi, di fronte ai continui condoni fiscali e alla dimensione dell’evasione fiscale, chiedere altro a chi già paga tutto è intollerabile.
Anche questo argomento non passa il vaglio del buon senso e dell’equità.

Esaurite le motivazioni che di volta in volta sono state date per giustificare l’ingiustificabile, resta da domandarsi perché allora quasi tutti i Governi negli ultimi 40 anni non abbiano avuto ritegno nel colpire le pensioni, particolarmente quelle più alte.

La risposta ci porta purtroppo fuori dal terreno della logica, delle regole, dei diritti e del rispetto, e ci fa entrare nel territorio selvaggio dove vige la legge del più forte; è lo Stato che paga le pensioni, per cui per incassare i contributi di solidarietà o per non pagare assegni rivalutati deve solo schiacciare un bottone, molto più facile che non incassare da un evasore fiscale, ammesso che lo si trovi (e per trovarlo bisogna cercarlo) o riscuotere nuove imposte mettendo a gara le concessioni balneari; i pensionati non hanno l’arma dello sciopero, hanno persino difficoltà a manifestare; tantomeno vanno in giro con bombe carta o con i forconi. Non circondano Palazzo Chigi con le automobili, non organizzano blocchi stradali o ferroviari, non si incolonnano in autostrada a 50 Km/h. Quale preda migliore per un governante sufficientemente cinico? In fondo anche il leone quando caccia aggredisce l’antilope più debole e si tiene alla larga dal bufalo più forte.

Poiché non c’è da aspettarsi alcun rigurgito di ragionevolezza dai Governi, pur nella totale assenza di motivi validi e in presenza di alibi che non reggono, i pensionati devono rassegnarsi a continuare a subire come hanno subito sinora, anzi, con il presente Governo pure peggio che in passato. A meno che… non scoprano di essere in grado di ribellarsi in qualche maniera … manifestando concretamente, pubblicamente e con tenacia l’indignazione per le discriminazioni e la totale mancanza di certezza del diritto.
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