Investire in Capitale Umano

“Ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti”

Mario Draghi ® foto Filippo Attili

Antonio Dentato 

Componente Sezione Pensionati Assidifer-Federmanager

Costi quel che costi 

Dopo la grande crisi dei sub prime (2008), l ’Europa dell’euro era in grande difficoltà. Era soprattutto la condizione economica e finanziaria dei Paesi "periferici" dell'area euro (Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia) ad alimentare una tensione economica che si allargava via via a tutta l’UE. Il 26 luglio 2012, Mario Draghi, da meno di un anno Presidente della Banca centrale europea (BCE) (2011 -2019), sale sul palco della “Global Investments Conference” di Londra e, senza troppi giri di parole, dice che, in rispetto delle sue pregative, la BCE preserverà l’euro: Whatever it takes, (tradotto: "Costi quel che costi” o anche "Tutto ciò che è necessario"). E - concludendo dice - credetemi, sarà abbastanza’”. La frase, in questi giorni, viene raccontata nei sui effetti positivi dal punto di vista finanziario. In verità non in tutti gli ambienti economici e finanziari si spellarono le mani ad applaudire. Ma quelle parole furono avvertite, comunque, come solidi indirizzi politici. Calmarono l’ondata di speculazioni sulla tenuta dell’Unione monetaria; ne avrebbero subito danni enormi i Paesi maggiormente indebitati. Non furono solo parole: seguirono fatti concreti, che produssero effetti positivi altrettanto importanti sul piano economico e finanziario dell’Europa. Fu il segnale della saldezza dell’Ue e delle sue istituzioni, della capacità del fare a sostegno dei Paesi membri. Il cui personale politico, appresa la lezione, cominciò a darsi da fare. Innanzitutto prese atto che i criteri di stretta osservanza dell’austerity andavano cambiati per corrispondere alle esigenze d’integrazione dei popoli; abbandonò vecchi modelli di conduzione economica e finanziaria e rese più consistenti interventi volti alla ripresa dello sviluppo. Diciamo meglio: fu una sorta di risveglio generale. Non dovunque allo stesso modo. Ad esempio, nel nostro Paese, le politiche, più attente a qualche manciata di consensi su temi ideologici emozionali, mantennero la crescita su livelli modesti. Analisi svolte sui dati del Fondo monetario internazionale (FMI) continuano a dire che da oltre dieci anni la crescita italiana raggiunge appena la metà della media degli altri Paesi europei. 

Debito buono e debito cattivo

Ora Mario Draghi, ex Presidente della BCE, è il nuovo Capo del Governo Italiano. Nel discorso programmatico d’insediamento al Parlamento (17/18 Febb.2021) ha indicato gli obiettivi strategici fondamentali da raggiungere nei prossimi anni, soprattutto quelli legati all’attuazione del “Recovery fund”. Una parola ha fatto da perno all’intera esposizione: il futuro. Una parola che ha riguardato l’ambiente, l’economia, il sociale. E, soprattutto, le prossime generazioni, i giovani. Si è domandato se: “abbiamo fatto e stiamo facendo per loro tutto quello che i nostri nonni e padri fecero per noi, sacrificandosi oltre misura”. E, continuando ”Esprimo davanti a voi, che siete i rappresentanti eletti degli italiani, l’auspicio che il desiderio e la necessità di costruire un futuro migliore orientino saggiamente le nostre decisioni. Nella speranza che i giovani italiani che prenderanno il nostro posto, anche qui in questa aula, ci ringrazino per il nostro lavoro e non abbiano di che rimproverarci per il nostro egoismo.” E’ questo il filo conduttore che, a nostro avviso, legherà l’intera politica del Governo Draghi. Ne ritroviamo il principio in un altro discorso che Draghi, ormai ex Presidente della Banca centrale europea (BCE), pronunciò al 41mo Meeting di Rimini. Era il 19 agosto 2020; disse che sarebbe stato inevitabile aumentare “stock di debito destinati a rimanere elevati a lungo”. “Questo debito, - aggiunse - sottoscritto da Paesi, istituzioni, mercati e risparmiatori, sarà sostenibile, continuerà cioè a essere sottoscritto in futuro, se utilizzato a fini produttivi ad esempio investimenti nel capitale umano, nelle infrastrutture cruciali per la produzione, nella ricerca ecc. se è cioè "debito buono”. La sua sostenibilità verrà meno se invece verrà utilizzato per fini improduttivi, se sarà considerato "debito cattivo". Il ragionamento, ovviamente, spaziava sull’intera situazione del nostro Paese. Si riferiva alla realizzazione delle trasformazioni imposte dalla pandemia. Ma conteneva una precisazione, e riguardava “la visione di lungo periodo [che] deve sposarsi con l'azione immediata: l'istruzione e, più in generale, l'investimento nei giovani”. Istruzione come sorgente e capacità di preparare il futuro. 

L’investimento nei giovani 

Sono parole le cui radici, dopo la tragedia della guerra, ritroviamo nella cultura e nel pensiero dei costruttori della Repubblica, richiamati nel discorso di insediamento del nuovo Governo e anche dai Parlamentari nel successivo dibattito. Più particolarmente, sono parole che ricordano quelle pronunciate da Piero Calamandrei (1889-1956), il giurista e uomo politico più attivo nella costruzione e divulgazione della nostra Costituzione, che diceva: “la coscienza dei cittadini è creazione della scuola; dalla scuola dipende come sarà domani il Parlamento, come funzionerà domani la Magistratura: cioè quale sarà la coscienza e la competenza di quegli uomini che saranno domani i legislatori, i governanti e i giudici del nostro Paese. La classe politica che domani detterà le leggi o amministrerà la giustizia esce dalla scuola: tale sarà quale la scuola sarà riuscita a formarla” … (Cfr. P. Calamandrei, “Lo Stato siamo noi” Chiarelettere. Edizione del Kindle,2011).
Una lezione non da tutti bene appresa, purtroppo. Al Meeting di Rimini, l’ex Presidente della BCE diceva infatti: “Per anni una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico: ciò non è più accettabile oggi. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza”. E, indicando un settore, essenziale per la crescita e quindi per tutte le trasformazioni imposte dalla crisi in atto, volle precisare: “la visione di lungo periodo deve sposarsi con l'azione immediata: l'istruzione e, più in generale, l'investimento nei giovani”.
Nel discorso d’insediamento del Governo ha ribadito il concetto, affermando: “Ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti”.

Il divario formativo

Fin ora non è stato così. Nei decenni passati, scuole di ogni grado non hanno avuto supporti finanziari sufficienti. Chi vorrà leggere i Rapporti ISTAT “Benessere Equo e Sostenibile (Bes)”  troverà che pur con qualche miglioramento, l’Italia, in materia d’istruzione e formazione, è lenta nel recuperare il divario con il resto d’Europa.
Permane la criticità dell’abbandono scolastico precoce: nel 2018, il 14,5% dei giovani tra 18 e 24 anni non ha conseguito il diploma di scuola superiore di secondo grado e non frequenta corsi di studio o formazione (V. Bes,2019). E le indagini OCSE che più particolarmente mettono a confronto i risultati degli studenti di 15 anni in 79 Paesi del mondo sono tutt’altro che lusinghieri per l’Italia (Fig.n.1). [V. Programme for International Students Assessment (PISA,2018), 2019, OCDE]
Sono dati molto eloquenti. Dicono che non si sta assicurando un’adeguata istruzione ai giovani che saranno domani i legislatori, i governanti, i giudici del nostro Paese e che, stando a quei dati, le nuove generazioni si troveranno in difficoltà a fronteggiare le sfide impegnative degli anni a venire. In particolare quelle conseguenti alla crisi pandemica in atto. E’, d’altra parte, anche le condizioni stipendiali non sembrano le più attrattive per quanti volessero dedicarsi all’attività formativa dei giovani (Fig.n.2)

La ricchezza sociale

Ciascuno, per proprio conto, può formulare qualche conclusione se tiene conto della documentazione citata, delle parole dette da Mario Draghi al Meeting di Rimini (cit.), e, da ultimo, ma più importante, in occasione dell’insediamento del nuovo Governo.
La prima conclusione si trova, per ora, in un provvedimento formale. Ma significativo, perché mette in campo competenza, esperienza e sapere che, riteniamo, avranno come obiettivo quello di dare avvio a una nuova politica formativa delle prossime generazioni, con una nuova più elevata istruzione di tutti, al fine di preparare ruoli e attività che tengano conto delle esperienze maturate in questo tempo “straordinario” e, in primo luogo, per preparare una governance al Paese all’altezza delle sfide che porranno gli anni futuri. Il Nuovo Ministro della Pubblica istruzione è Patrizio Bianchi, professore ordinario di Economia applicata e titolare della Cattedra Unesco in Educazione, crescita ed eguaglianza presso l’Università di Ferrara. Appena insediato ha fatto pubblicare il “Rapporto Finale del Comitato di esperti istituito con D.M. 21 aprile 2020, n. 203 – Scuola ed Emergenza Covid-19” del 13 luglio 2020: “Idee e proposte per una scuola che guarda al futuro”. Nel quale si legge: “il Covid ha imposto una nuova attenzione alla salute pubblica, sollecitando più spazio alla educazione alla salute e al benessere. E, precedentemente, aveva scritto [Cfr. P. Bianchi, “Nello specchio della scuola (Voci) (Italian Edition) (p. 6), Società editrice il Mulino, Spa. Edizione del Kindle.]: “Esiste uno stretto legame fra educazione e sviluppo. Uno sviluppo socialmente ed economicamente sostenibile nel tempo si fonda sulla capacità di organizzare le competenze, le abilità manuali e il giudizio critico delle persone, e di trasformare queste in quel valore aggiunto che è la vera ricchezza di una comunità”. 

Le parole e gli scritti contengono buoni indirizzi politici. Vogliamo credere, anzi siamo certi, che seguiranno iniziative e fatti concreti. 
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