La formazione tecnica è la leva per lo sviluppo del sistema produttivo
Il commento di un dirigente di formazione tecnica sull’analisi del Centro Studi Confindustria “Le professionalità che servono al sistema produttivo”
Socio ALDAI Federmanager - Consulente ottimizzazione costi aziendali - achille.ratti17@gmail.com
L’articolo "Le professionalità che servono al sistema produttivo", sintetico e ricco di infografiche, mette in evidenza quanto più volte ho proposto sulla nostra rivista nel 2014 e nel 2019 con l'articolo "In Italia o si torna a fare l’industria o si emigra".
Le scuole tecniche professionali, gli istituti superiori e il rapporto scuola-lavoro rappresentano scelte importanti per lo sviluppo del Paese, come dimostrano le esperienze tedesche e svizzere.
A mio giudizio non c’è alcun dubbio sulla correlazione fra la disponibilità di diplomati a orientamento professionale e lo sviluppo delle attività produttive. Al contrario la carenza di giovani con preparazione tecnica, al posso con i tempi, è uno dei principali fattori di declino per l’industria, per i servizi e quindi per l'intera economia.
A partire dagli anni ’80 la politica, i giornali etc. hanno cominciato a considerare negativamente le scuole tecniche e professionali, come scuole di serie B, spingendo le famiglie ad iscrivere i figli ai licei pensando che in prospettiva tutti potessero proseguire gli studi nelle università, rinviando in tal mondo la conoscenza e l'ingresso nel mondo del lavoro.
Si è perso quindi quel collegamento fra studio e lavoro che era ben sviluppato negli istituti tecnici degli anni 60 e 70. La preferenza per i licei ha ridotto nel tempo il numero e la qualità della formazione tecnica, mentre fra gli iscritti all’università molti hanno abbandonato gli studi e moltissimi non hanno trovato il lavoro per il quale si erano preparati per anni, aumentando la schiera di quelli che non studiano né lavorano.
Ridotti gli investimenti per la formazione professionale si è abbassata la qualità dei corsi e molti istituti sono stati chiusi. Solo recentemente l'opinione pubblica e le Istituzioni stanno valorizzando l'alta formazione tecnica e gli studenti degli ITS sono i più richiesti dalle imprese.
Invece i tedeschi non hanno mai smesso di sostenere gli istituti tecnici e professionali e l’opinione pubblica non li ha mai considerati di serie B per cui ancora oggi sono validi come lo erano negli anni 60. Il sistema duale di preparazione scuola-lavoro è l’elemento distintivo di questi istituti come pure delle università tecniche, elemento che in Italia si è pensato di introdurre solo con la legge 107/ 2015.
I tedeschi hanno 800.000 diplomati dagli ITS all’anno e noi ne abbiamo solo 18.000. Oggi dobbiamo aprire e finanziare gli ITS assicurando elevata qualità attraverso un continuo supporto di insegnanti provenienti dall’industria. Occorre che gli insegnamenti siano relativi alle nuove professionalità richieste dal mercato per colmare il gap di competenze richieste dal mercato riducendo i finanziamenti ai corsi universitari che alimentano il numero di giovani disoccupati.
Contemporaneamente bisogna fare una profonda opera di riorientamento dell’opinione pubblica a favore dei corsi professionalizzanti di modo che vengano considerati smart e non di serie B. A quest'opera devono partecipare in modo continuo 365 giorni l’anno sia i dirigenti di aziende industriali sia le rappresentanze delle imprese come Confindustria convincendo politici, giornalisti, docenti di università tecniche perché siamo in una Repubblica basata sul lavoro.
Il governo Draghi ha finalmente inserito nel programma l’apertura ed il finanziamento di nuovi ITS utilizzando i cospicui fondi del Recovery Plan. Per migliorare la qualità degli istituti bisogna anche ricordarsi della Meritocrazia, cultura poco conosciuta e spesso considerata negativamente nel nostro Paese.
Anche qui occorre tornare a fare quello che si faceva negli anni 60 e cioè tornare a premiare i migliori cominciando dalle scuole di tutti i livelli e dalle Università e così pure nel mondo del lavoro e delle professioni.
Occorre che il riconoscimento del merito, basato su dati oggettivi come i migliori voti a livello nazionale nelle prove Invalsi o Pisa o test di ammissione alle Università (che permettono tra l’altro anche di fare confronti a livello internazionale) siano evidenti e le borse di studio permettano di finanziare gli studi. Ciò permetterebbe di combattere il fenomeno endemico delle raccomandazioni che, da una parte sono purtroppo uno dei principali mezzi per ottenere un posto di lavoro e, dall’altro sono il principale ostacolo all'ascensore sociale in Italia.
Ricordo a questo proposito i libri e gli articoli sull’argomento di Roger Abravanel ex McKinsey, ora editorialista del Corriere della Sera, che ha recentemente scritto un interessante libro "Aristocrazia 2.0" che ha stimolato un interessante dibattito CIDA sul "Ruolo del manager contro la crisi".