La macchina per tagliare il brodo
Ferrovie, ecologia, sostenibilità, idrogeno: un inferno lastricato di buone intenzioni
Giuseppe Colombi
Consigliere ALDAI-Federmanager e componente del comitato di redazione Dirigenti Industria
Idrogeno per i treni: ma ha senso?
Di recente, nell’ambito dell’associazione di utenti del trasporto pubblico di cui fa parte chi scrive, abbiamo discusso animatamente.
Tutto girava attorno ad una semplice domanda: “Costa meno portarsi appresso l’energia elettrica sotto forma d’idrogeno ad alta pressione, o captarla da un filo con un pantografo?”
Per dirla più semplicemente, se in una ventosa giornata di aria pulita nelle strade di Milano vedessimo qualcuno che respira attaccato alle bombole subacquee, accertato che non si tratta di una specifica terapia, ci domanderemmo se quello è sano di mente. Per ora, infatti, l’aria che si respira rimane ancora disponibile e gratis, inquinamento a parte.
Questo è, più o meno, quanto avviene con l’ultima moda “verde”: i treni ad idrogeno.
Se c’è un veicolo con cui, ragionando un momento, l’idrogeno proprio “non ci azzecca”, questo è il treno.
Vincolato a un binario, il treno viaggia, in particolare con riferimento alle reti secondarie, in zone prevalentemente rurali. Dunque le sue eventuali emissioni incidono ben poco sul carico inquinante tollerabile nel contesto; inoltre quello che nessuno sembra ricordare è che un buon motore Diesel Euro 6 impatta ormai davvero poco sull’ambiente.
E se proprio vogliamo passare all’elettrico, una linea ferroviaria minore può essere elettrificata con un costo limitato (attorno a un milione di euro al km). Questo permette poi l’uso di normali elettromotrici, magari nemmeno tanto nuove, ma ben restaurate e dotate di tutti i servizi a cominciare dall’aria condizionata. L’idrogeno proprio non sembra una priorità, anche perché o viene da una raffineria, e allora ci risiamo con l’emissione di CO2, o viene dall’elettrolisi e allora si ottiene con elettricità che tanto varrebbe usare direttamente per muovere il treno, che tra l’altro, a differenza dei mezzi elettrici su gomma, non necessita di portarsi appresso le batterie.
Grandi strategie in Valcamonica
Veniamo dunque al fatto di cronaca: in Valcamonica, nel centinaio di km di linea tra Brescia ed Edolo, FNM (Ferrovie Nord Milano) ha deciso di passare all’idrogeno.
Alla modica cifra di 300 milioni di investimento, di cui 160 subito ed il resto a venire, si acquisteranno prima sei treni ad idrogeno, poi altri otto. Nel frattempo si costruirà una prima unità di produzione d’idrogeno elettrolitico alimentata dalle locali centrali idroelettriche. Poi altre due.
Dunque: la corrente c’è, si fa l’idrogeno elettrolitico, lo si comprime, lo si mette in bombola, lo si carica sui nuovi treni elettrici ad idrogeno (basati sulla trasformazione dell’idrogeno in elettricità mediante l’innovativa tecnologia “fuel cells”) e si viaggia.
Un’unità di produzione di idrogeno elettrolitico quanto costa?
Rispondere a questa domanda non è banale, ma un elettrolizzatore non dovrebbe incorporare tecnologie particolarmente dispendiose. Sulle stime dei costi delle unità sembra mancare ancora chiarezza.
Nel caso specifico poi, in attesa della nuova fabbrica di idrogeno, c’è l’accordo di FNM con la Snam che fornisce idrogeno di raffineria (quindi più o meno con la stessa produzione di CO2 del diesel) per alimentare i nuovi treni, in un quadro lodevole di ricerca e sviluppo congiunti, così da tenere il nostro paese al passo coi tempi dell’evoluzione tecnologica. L’unico dato che non compare sulla stampa è quello relativo ai prezzi di trasferimento dell’idrogeno.
La parola “ricerca” oggi torna ad essere centrale, come giusto, ma forse, se poi proprio fosse utile sviluppare della ricerca in campo, probabilmente il programma di spesa dovrebbe essere dettagliato diversamente, senza impegnarsi con quattordici treni in pochi anni; magari si potrebbe iniziare da qualche mezzo su gomma.
Elettrificare la linea e andare a pantografo con la stessa corrente che dovrebbe fare l’idrogeno (rendimento poco più della metà) no, vero? Sarebbe fuori moda. E magari si obietta persino che “le gallerie sono basse e la catenaria non ci sta…”, come se per qualche centinaio di metri di modifica della galleria, si trattasse di un problema insormontabile.
E tantomeno, nel frattempo, accontentarsi di usare al meglio i vecchi trenini diesel! L’elettrificazione, qui come altrove, si potrebbe fare domani stesso migliorando di molto il servizio, e completarla in breve, senza scomodare idee avveniristiche di motrici “spaziali”, che nessuno regala. E che magari poi si fermano e si fatica a riparare.
Quanto costa?
Se uno va su Wikipedia, nuova Treccani in sedicesimo, ci si rende conto che se un kg di gasolio oggi costa uno, l’idrogeno di raffineria, a parità di condizioni di fruibilità, costa ancora parecchio di più. Si dice che forse potrebbe diventare competitivo nel giro di un quinquennio.
Forse: con buona pace dei bilanci in deficit delle ferrovie, nazionali o regionali che siano.
Veniamo ai nuovi treni: quanto costa un treno? Il mio compianto papà, che aveva lavorato al Tecnomasio Italiano Brown Boveri dal 1926 al 1970, sosteneva che anche i locomotori in fondo si prezzano al chilo.
Discorso scandaloso, ma solo per quelli che di costi non hanno idea, come i politici che poi decidono.
Se cominciassimo a farci un’idea dei prezzi negli investimenti pubblici, non sarebbe male. Dunque, quanto costa un treno ad idrogeno, che per ora non potrebbe che essere il Coradia iLint della Alstom?
Una possibile risposta la potremmo trovare tornando a Wikipedia, che ci informa che in Germania : “l’operatore EVB (Eisenbahnen und Verkehrsbetriebe Elbe-Weser) dal 2021 renderà operativi complessivamente 16 convogli Coradia iLint, a fronte di una spesa di 81 milioni di euro.”
Forse che un treno Coradia costi non più di 5 milioni di euro? Non è poco, ma almeno è una cifra. A cui corrisponderebbero, nel caso della Valcamonica, una trentina di milioni subito per sei treni e una quarantina negli anni a venire. E il resto? Tutto o quasi per fare l’idrogeno dall’idroelettrico? Non è difficile rendersi conto che, almeno con i dati fin qui resi noti e che, forse con colpevole dilettantismo ma buone intenzioni, ci siamo sforzati di richiamare, bisognerà completare le analisi in corso prima di avere una totale chiarezza.
Senza scomodare troppo un noto professore, che tende a bocciare tutti gli investimenti ferroviari liquidandoli come “soldi buttati” in termini di costi/benefici, sarebbe interessante sapere quanto costerà alla regione il singolo viaggio di un pendolare nel nuovo contesto.
Quando ero piccino, nelle campagne pavesi in cui passavo le vacanze, girava tra i bambini ingegnosi un mito: la macchina per tagliare il brodo. Si trattava di un congegno mai visto, di cui molto si favoleggiava, di assoluta e comprovata inutilità.
Viene ora il sospetto che ci si ritrovi in quelle condizioni anche ora, e che qualcuno sia alla fine riuscito a rendere esistente e reale quel mito largamente diffuso.