Le pensioni da lavoro non hanno niente a che vedere con i vitalizi

Sarebbe ora che politici, intrattenitori televisivi, commentatori e giornalisti smettessero di fare di tutt’erba un fascio accomunando ai vitalizi dei politici le pensioni di chi se le è sudate versando onerosi contributi. Per dare prospettive al Paese bisogna ripartire dall’onestà intellettuale, respingendo il populismo a scopo elettorale.

 

Michele Carugi 

Componente del comitato pensionati ALDAI
Intervistato a 8 1/2 da una Gruber genuflessa e due ospiti accondiscendenti (altro che il caustico Travaglio riservato ai non grillini) Casaleggio Jr ha riproposto come punto centrale di un possibile (ma auspicabilmente mai realizzato) governo dei M5S il reddito di cittadinanza.
Alla timida domanda di come intendesse finanziarlo, Casaleggio ha risposto che la prima fonte di risorse dovrebbe essere il taglio delle pensioni d’oro e successivamente, incalzato (molto poco) dalla Gruber, ha detto che l’importo che conferisce aureità alle pensioni è un tecnicismo da definire.
Alla Gruber è mancata la lucidità di porre la domanda cruciale e cioè se siano da considerare d’oro le pensioni che conferiscono un privilegio in termini di differenziale tra calcolo contributivo e importo corrisposto oppure quelle quantitativamente significative nel panorama complessivo.
Penso che la risposta di Casaleggio, in linea con quanto da tempo espresso del M5S, sarebbe stata la seconda, ma sarebbe stato opportuno almeno fargli esplicitare il disprezzo verso le pensioni che rispecchiano un’attività lavorativa significativa con associati contributi pensionistici ingenti; disprezzo che hanno mostrato anche altre forze politiche con la loro idea di tetto a 5.000 € a tutte le pensioni.

Nel panorama delle fake news che da anni circolano sulle pensioni, tra le quali per esempio quella che i pensionati vivono in media con 900 € al mese lordi, confondendo sapientemente il valore medio dell’assegno con la media pro capite percepita che è invece di circa 1.250 € lordi (ci sono circa 16 milioni di pensionati a fronte di circa 23 milioni di assegni) spicca ormai da tempo la sporca identificazione delle pensioni superiori a 5.000 € come “d’oro”.
Se la soglia di 5.000 € definisse univocamente un importo aureo e perciò da tagliare senza pietà, dovrebbero essere pesantemente tartassati anche tutti redditi di qualsiasi natura, cosa che invece e fortunatamente non viene ipotizzata.
Ma allora che cosa fa delle pensioni superiori a 5.000 € un filone aurifero da sfruttare? Nella mente (semplice e semplicistica) di parecchie forze politiche e di molti cittadini sobillati con metodicità, il privilegio da abbattere risiede nella natura pensionistica stessa (“le pensioni le paga lo Stato, cioè noi cittadini”, dicono, “mentre gli stipendi vengono dalle imprese”) e nel sistema retributivo che ha garantito rendimenti assai superiori ai contributi versati. In ciò, tra l’altro, la propaganda populista ha malignamente associato in un abbraccio perverso, i vitalizi dei parlamentari e dei consiglieri regionali, tutti privilegiati nel senso di cui sopra, alle pensioni da attività, tra le quali esistono assegni favorevoli ma anche assegni del tutto corrispondenti alla contribuzione o addirittura inferiore a essa.
In particolare il sistema retributivo, abolito in via definitiva dalla riforma Fornero del 2010, era costruito su una logica re-distributiva e pertanto i benefici del sistema che erano vistosi per i redditi bassi andavano a esaurirsi con il crescere delle retribuzioni, sino ad avere per i redditi elevati una penalizzazione rispetto al puro calcolo contributivo.
Per molte delle pensioni superiori a 5.000 €, pertanto, l’ammontare è del tutto giustificato dai contributi versati e lo Stato sta semplicemente restituendo quanto era stato forzosamente accantonato. 
Questo dovrebbe suggerire ai Casaleggio di turno e ai loro intervistatori, una maggiore cautela nell’attribuire etichette del tutto fuori luogo.

E’ poi indispensabile una ulteriore riflessione sul perché sussistano differenze notevoli tra i molti assegni di basso importo e i pochi di importo elevato. In un paese normale ciò sarebbe dovuto alla stratificazione nelle retribuzioni dei lavoratori attivi che si riflette sulle relative pensioni, ma in un  paese come il nostro, afflitto da una evasione fiscale spropositata, i bassi redditi dichiarati, con i relativi contributi versati, non riflettono ragionevolmente le effettive retribuzioni le quali restano in gran parte sommerse. L’evasione fiscale e contributiva, che si presume abbinata ad accantonamenti soggettivi e illegali, falsa largamente il panorama delle pensioni, con il risultato che nel centro del mirino del “dalli alle pensioni d’oro” finiscono, insieme a chi gode di vitalizi di Camera, Senato e  Consigli regionali,  non coloro che hanno goduto dei privilegi retributivi maggiori (pensioni basse e medie, per non parlare delle pensioni baby) o chi ha scelto di non rendersi trasparente al fisco e versare i contributi necessari, ma invece coloro che per una vita lavorativa probabilmente meritevole, se li ha portati a retribuzioni significative, hanno versato fino all’ultimo euro dei contributi dovuti; e mal gliene incolga.

Al netto di esistenze travagliate che non hanno consentito per ragioni varie di emergere e per le quali la solidarietà è d’obbligo, non pare un’idea equa né saggia l’andare a colpire chi per una vita si è assunto responsabilità o è stato creativo e ha lavorato duro. Non è equo per l’ingiustizia immediata insita nel penalizzare chi non ha avuto benefici dal sistema e non è saggia per il messaggio che dà a chi deve costruire la società futura: “non vi adoperate, che probabilmente non vi servirà; piuttosto evadete fisco e contributi”.

Pertanto, sarebbe l’ora che politici, intrattenitori televisivi, commentatori, giornalisti e scrittori smettessero di fare di tutt’erba un fascio accomunando ai vitalizi dei politici le pensioni di chi se le è sudate per intero e che invece rispettassero di più chi ha lavorato con grande impegno e serietà.
A meno che il gioco non sia a chi sfascia di più.
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