Sulla sentenza della Corte Costituzionale

Ingiustizia è fatta

Fausto Benzi

Socio ALDAI-Federmanager
La Corte Costituzionale - con la sentenza n. 19 del 2025 - ha umiliato e danneggiato milioni di pensionati italiani (3,5 milioni pari al 22% dei pensionati secondo il rapporto Itinerari Previdenziali) non riconoscendo loro una corretta perequazione delle pensioni utile a recuperare integralmente il valore dell'inflazione che ha eroso il loro potere d’acquisto.
Per di più il danno sarà permanente e non più recuperabile per ogni pensionato.

Un trattamento lesivo della Costituzione come esplicitato in una precedente Sentenza della stessa Corte, la n. 70 del 2015, che asseriva che la mancata o anche parziale perequazione “impedisce la conservazione nel tempo del valore della pensione”, “lede il principio di proporzionalità tra la pensione, che costituisce il prolungamento della retribuzione in costanza di lavoro, e il trattamento retributivo percepito durante l’attività lavorativa” e “incide sui pensionati, fascia per antonomasia debole per età ed impossibilità di adeguamento del reddito”; inoltre “il mancato adeguamento delle retribuzioni equivale ad una loro decurtazione in termini reali con effetti permanenti”  e “con lesione del combinato disposto degli articoli della Costituzione, Art.3 (Tutti i cittadini hanno pari dignità … senza distinzione … di condizioni personali e sociali), Art. 36 (Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro …), e Art. 38 comma 2 (I lavoratori hanno diritto .... a mezzi adeguati alle loro esigenze di vita  in caso di .... vecchiaia).

In effetti la Corte deve essersi resa conto di tutto ciò, quando in modo pilatesco cerca di mitigare la propria responsabilità di questo misfatto dichiarando che “Delle perdite subite dalle pensioni non integralmente rivalutate, del resto, il Legislatore potrà tener conto in caso di eventuali future manovre sulla indicizzazione dei medesimi trattamenti”.

Questa Sentenza fa scempio dei fondamentali diritti costituzionali della persona, in questo caso delle persone anziane che vengono considerate inutili perché non più produttive e quindi “scarti” della società.
Questo è l’aspetto più grave perché interpella uno strisciante e distruttivo atteggiamento culturale della Società che non è dunque contrastato da chi ha il compito di tutelare i diritti di tutti i cittadini. Se il livello pensionistico è medio/alto lo è perché le trattenute contributive sono state medio/alte. Ogni taglio o raffreddamento del recupero del potere d’acquisto della pensione costituisce una tassa ad personam, una punizione nei confronti dei lavoratori pensionati che lede l’Art. 3 della Costituzione.

Continuano in tal modo ad aumentare le differenze fiscali e pensionistiche con altri Paesi europei ed è ormai ineludibile una riforma fiscale che sollevi dall’oppressione il ceto medio, motore di sviluppo economico e pilastro della tenuta sociale. Urge una riforma che freni la fuga dei giovani in cerca di lavoro all’estero e dei pensionati per migliorare la qualità di vita. Per dare garanzie sulle future pensioni, in particolare per i giovani, è necessario separare la spesa pubblica da quella assistenziale, incentivare la previdenza complementare e smettere di utilizzare le pensioni come bancomat per far fronte alle finanziarie.

Se non si riconoscono i meriti e i diritti chi pagherà il welfare domani?

Il Giudizio della Corte Costituzionale è inappellabile, ma la libertà costituzionale di pensiero, d’opinione e di scelta, consente a milioni di pensionati di ritenere ingiusta la sentenza e considerare per sé e per i propri cari le migliori prospettive di vita nei Paesi che fondano la democrazia sul riconoscimento del merito e sulla certezza del diritto.

Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in formato pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013