La società signorile di massa
Anche se il riacutizzarsi della pandemia da Covid-19 ci occupa la mente in questo momento, anzi, forse a maggior ragione dovremmo continuare a mantenere vigile la nostra attenzione sulla situazione economico-sociale del nostro Paese e ad affinare la nostra capacità di riconoscere le gravi debolezze che la connotano.
Autore Luca Ricolfi
La nave di Teseo - ottobre 2019
Pagine 267 - 17,00 € (disponibile anche in formato e-book)
Recensione a cura di Giorgio Medi
Ci aiuta in questo il libro del prof. Ricolfi, acuta e spregiudicata analisi sociologica dell’Italia dei giorni nostri, confortata da un costante riferimento ai dati oggettivi disponibili.
Nonostante la rappresentazione diversa che ne danno in modo abbastanza uniforme sia i media, sia il mondo della cultura che quello della politica, l’Italia è, secondo l’autore, una società signorile di massa, cioè una realtà sociale in cui quelli che lavorano sono di meno di quelli che non lavorano, i consumi opulenti sono accessibili alla grande maggioranza della popolazione (compresa gran parte di coloro che non lavorano) e in cui l’economia ha smesso da tempo di crescere. E siccome l’economia non cresce, l’Italia è diventata una società a somma zero: poiché la torta da suddividere è sempre quella, se io voglio avere una fetta più grande devo toglierne un pezzo a qualcun altro.
La trattazione del prof. Ricolfi è articolata e sottolinea innanzitutto come il principale pilastro su cui si regge questo precario equilibrio attuale è la ricchezza accumulata nei decenni della seconda metà del secolo scorso dalle due generazioni che ne hanno costituito gli interpreti, cioè i nonni e i padri dei giovani di oggi. Questo accumulo è stato possibile grazie all’aumento dei redditi da lavoro, all’elevato tasso di risparmio delle famiglie e all’imponente espansione del debito pubblico. Oggi invece il miglioramento del tenore di vita è affidato prevalentemente alla dinamica della ricchezza (rivalutazione delle case e rendite finanziarie) e non più alla dinamica dei redditi.
Va tutto bene così? Non proprio. L’autore dipinge un quadro inquietante, iniziando dalla distruzione della scuola – con un generalizzato abbassamento dell’asticella in tutti i livelli scolastici, la disoccupazione volontaria dei giovani (non lavoro non perché non trovo lavoro, ma perché non sono disposto ad accettare i lavori che trovo o che potrei trovare), l’infrastruttura paraschiavistica a cui sono affidati i lavori che gli italiani non vogliono più svolgere ma di cui non possono fare a meno. Emerge la sintesi della condizione signorile: i nostri livelli di benessere sono andati molto al di là della sussistenza, chi lavora è diventato minoranza, il tempo dedicato all’evasione e allo svago è ormai ampiamente superiore al tempo dedicato al lavoro, fra i redditi che alimentano i consumi primeggiano le rendite.
Ma l’autore ci dà anche uno spaccato psicologico della società signorile, aiutandoci a riconoscere qua e là i tratti distintivi che ogni cittadino di questo Paese incontra nella sua esperienza. E ci parla di quel fenomeno chiamato in psicologia del doppio legame, per cui molti cittadini si trovano contemporaneamente a sentirsi vittima della società e a godere di sensibili privilegi consentiti loro dalla stessa società, il tutto in modo più che giustificato. Ci parla dello stereotipo del giovin signore giunto al termine degli studi che non sente più (perché non vi è costretto) la spinta a rendersi autonomo, a generare un reddito per sé e per una futura famiglia, condizionato com’è dal subconscio successorio (l’attesa più o meno inconscia dell’eredità). E così cresce una generazione di cittadini in cui prevale la filosofia del carpe diem anziché quella orientata a costruire un futuro migliore, non solo per sé ma anche per gli altri. E, paradossalmente, la trionfante ideologia della condivisione (attraverso la rete) ha portato un risultato distorto: dal possibile virtuoso scenario di far beneficiare tutti o quasi delle conoscenze utili e formative, ci ritroviamo con la condivisione parossistica di immagini e rappresentazioni di sé destinate a ottenere gratificazioni effimere e vuote. Ma poiché l’accesso alle risorse economiche è a somma zero, il faro che ci guida, il termine di paragone a cui riferirci non è la nostra condizione precedente, rispetto alla quale misurare i miglioramenti ottenuti, ma la condizione degli altri, rispetto alla quale dobbiamo ottenere un plus, un tratto distintivo. Il tutto è destinato a produrre conflittualità, invidia sociale, straniamento.
Che futuro attende questa società signorile di massa? Dopo averci spiegato come tra tutte le società avanzate l’Italia è l’unica a presentare tutti e tre i caratteri identificativi della società signorile di massa (maggioranza costituita da chi non lavora, consumi opulenti accessibili a una porzione maggioritaria di popolazione, economia che non cresce) l’autore ci riepiloga le negatività insite in questa condizione (almeno per l’Italia). Godiamo i benefici dell’avere in casa una infrastruttura paraschiavistica, senza la quale il nostro stile di vita sarebbe seriamente compromesso, non viene mantenuta la promessa di ogni democrazia, quella di garantire a tutti l’ascensore sociale e il miglioramento del proprio status, si è accentuato il divario tra Sud e Nord del Paese, siamo agli ultimi posti tra i Paesi avanzati secondo gli indicatori del livello di istruzione e si è ridotta la qualità complessiva del nostro capitale umano più giovane, il nostro uso della rete privilegia lo smartphone sul computer ed è essenzialmente orientato allo svago e al divertimento anziché all’informazione e allo studio, spendiamo una cifra considerevole di tempo e denaro nel gioco d’azzardo. Facendo una sintesi cruda: siamo un Paese che non studia, non legge e gioca.
Per quanto tempo ancora potremo conservare questa condizione signorile? Restare una società opulenta senza che l’economia torni a crescere adeguatamente sarà molto difficile, dipendiamo dall’esterno per il rifinanziamento del nostro debito pubblico e per le nostre importazioni. Dovremo far di nuovo crescere la nostra economia a un tasso comparabile con quello dei Paesi con cui ci misuriamo, solo così i mercati ci attribuiranno stabilmente la fiducia di cui abbiamo bisogno per rifinanziare il nostro debito. Facendo un’estrema sintesi dei numerosi problemi a cui il Paese deve dare soluzione, l’autore raccomanda che l’Italia sappia velocemente incrementare la propria produttività, in particolare risolvendo l’attuale bulimica ipernormazione che avviluppa tutta l’attività economica e amministrativa del Paese.
Il libro è nello stesso tempo un’acuta analisi ed una coraggiosa provocazione, inevitabilmente fa riflettere. E uno dei pregi è quello di lasciare al lettore la possibilità di interpretare a suo piacimento il complesso tema di come incrementare la produttività del Paese. Esercitandomi brevemente in questo compito ho messo in fila, non necessariamente in ordine di importanza, quattro obbiettivi prioritari su cui dovremmo concentrare tutti i nostri sforzi con determinazione e concretezza in Italia: migliorare la qualità del capitale umano, adeguare alle tecnologie più avanzate e in particolare a quella digitale tutta l’organizzazione economica del Paese, pubblica e privata, selezionare e riconoscere il merito, rilanciare la cultura del lavoro.
Mi piacerebbe leggere sull’argomento il parere dei colleghi ALDAI-Federmanger che apprezzano la nostra rivista.
01 dicembre 2020
GdV :
Recensione di spessore ad un libro di spessore. Luca Ricolfi, giornalista, ma anche professore di statistica, documenta in maniera inconsueta per il nostro Paese le sue osservazioni. Mi piacerebbe che diventasse un punto sicuro di riferimento per la dirigenzamartedì 01 dicembre 2020 12:00