Trasporti a zero emissioni

Il nuovo governo Draghi avrà, come punto cardine della sua attività, la destinazione e l’utilizzo dei fondi Europei riservati all’Italia all’interno del “Recovery Plan” europeo

Francesco Chiesa

In collaborazione con il Gruppo di Lavoro Infrastrutture Trasporti Logistica ALDAI, del quale è componente.




La situazione legata alla pandemia rischia di rallentare la faticosa ripresa economica, anche per il fatto - oltretutto molto probabile - che i clan mafiosi, secondo la Direzione investigativa antimafia, tentino di intercettare i finanziamenti per le grandi opere e per la riconversione alla green economy.

Grande importanza assumerà l’impostazione e la gestione della “transizione ecologica”, attività per il cui coordinamento si ricorrerà a un super dicastero, presieduto dal prof. Cingolani che, oltre alle prerogative tipicamente ambientali già gestite dal Ministero dell’Ambiente, assorbirà anche competenze energetiche, attualmente al Ministero dello Sviluppo Economico. In pratica il neoministro sarà l’uomo decisivo per l’utilizzo delle risorse green previste dal PNRR - Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza -, in modo da procedere con decisione sulla strada della de-carbonizzazione e ridurre drasticamente l’emissione di gas serra nell’atmosfera; tuttavia sono note alcune sue perplessità sui modi in cui si sono sviluppate in passato le iniziative sulle fonti rinnovabili, principalmente su eolico e fotovoltaico, ma anche nel comparto dei trasporti.

Su quest’ultimo argomento vale la pena di riportare quanto affermato, in passato, dal neo ministro in merito alle difficoltà di sostituire i motori a combustione interna con quelli elettrici precisando che «siamo lontani dall’autonomia dei veicoli a benzina. Inoltre, abbiamo un’altra limitazione importante: serve un’infrastruttura di ricarica, come i benzinai, da trovare ogni 30 km. Ma a differenza dei benzinai dove il pieno si fa in un minuto, la ricarica della batteria può portare via 40 minuti».
Pur in un contesto di oggettiva difficoltà da imputare alle restrizioni imposte nel corso dell’anno alla mobilità veicolare privata, sia totale che parziale a causa della pandemia Covid-19, i fondamentali nei trasporti sono caratterizzati da:
  • contrazione delle vendite di autovetture sia nella Ue (-23,7%) che nei 4 principali mercati continentali (Spagna -32,3%, Italia -27.9%, Francia -25.5% e Germania -19.1%);
  • contrazione dei consumi di combustibili sulla rete nazionale (Benzina -21,2 %, Gasolio -15,1 %, Gpl -21,2%).
Appare chiaro che il gasolio, nella motoristica a CI-Combustione Interna, risulta il combustibile più resiliente, nonostante la demonizzazione per questa tecnologia che favorisce un crescente interesse per le alimentazioni alternative a cui, però, non corrisponde un'offerta di auto elettriche coerente con la capacità di spesa della massa degli automobilisti, e una situazione delle infrastrutture per la ricarica delle batterie ancora molto lontana dagli standard minimi.

La conseguenza è una crescita delle immatricolazioni di vetture elettriche in termini percentuali molto sostenuta, ma non in valori assoluti, assecondata sia da ricorrenti limitazioni alla mobilità urbana che da offerta di incentivi pesanti, che, per il quadro macro economico attuale in rallentamento e per l’influenza del Coronavirus, richiede condizioni, nel breve-medio termine, che ben difficilmente potranno essere ulteriormente accolte.
Ciò nonostante, sull’argomento si manifestano due scuole di pensiero e un'unica convinzione: «Il prossimo decennio – per dirla con le parole del presidente di Stellantis, John Elkann – porterà a una ridefinizione della mobilità come la conosciamo oggi. La velocità, l'intensità e l'energia di questa rivoluzione è pari a quanto accadde alle origini del settore, sul finire del XIX secolo»

Gli incentivi varati da molti Stati europei per i modelli elettrificati hanno funzionato; la crescita è ancor più evidente nel mercato italiano dove nell’ultimo anno sono state immatricolate 283.269 autovetture (Fonte Unrae) ad alimentazione elettrica (“ibride plug-in” ed “elettriche” +122,8% sul 2019).
L’impressionante crescita delle alimentazioni non endotermiche – in cui sono comprese anche alcune unità ad idrogeno (FCEV – Fuel Cell Electric Vehicol) - si confronta però con un mercato ancora dominato per poco meno dell’80% dai propulsori endotermici puri, ma il calo delle tecnologie a combustione endotermiche, in gran parte mature, è inesorabile? Su questo scommettono tutti i maggiori produttori.
 
La sfida industriale, l'obiettivo finale, è l'auto del futuro prossimo: elettrica, connessa, digitale e autonoma. Ma è proprio qui che si fronteggiano le due scuole di pensiero, che poi si traducono in precise scelte strategiche:
  • premere sull'acceleratore della mobilità elettrica spinta, o
  • arrivarci gradualmente.
Alla prima scuola di pensiero appartengono:
  • l’americana Ford che ha annunciato la sua rivoluzione verde. Il gruppo automobilistico venderà solo auto elettriche in Europa e in Gran Bretagna entro il 2030. 
  • a britannica Jaguar Land Rover, che appartiene all'indiana Tata Motors, accelera e annuncia che il suo marchio di lusso, Jaguar, diventerà completamente elettrico dal 2025, svelando una nuova strategia verde per essere neutrale in termini di emissione di carbonio entro il 2039. 
L'altra scuola di pensiero, invece, pone l'accento sulla transizione e sostiene che probabilmente sarà più lunga di quanto certi gruppi abbiano previsto; a questo filone si rifanno:
  • la tedesca Volkswagen che ha puntato 70 miliardi di euro sul BEV (Battery Electric Vehicle), l'auto elettrica: una montagna di soldi;
  • la giapponese Toyota, il cui Ceo Akio Toyoda è uscito allo scoperto dicendo quello che molti pensano, ossia che sull'auto elettrica c'è un'eccessiva euforia. Costa ancora troppo e l'energia per farla marciare alla fin fine proviene da centrali che inquinano;
  • la italo-francese-americana Stellantis, di cui abbiamo precedentemente detto del suo Presidente, sotto la guida di Carlos Tavares, pur accelerando sul full electric, sembra più orientata a valorizzare accanto ai modelli elettrificati anche le vetture a combustione interna, sia a benzina che diesel, puntando molto sull'ibrido.
Tanti esponenti del settore, anche in posizioni di vertice nell’industria e nelle istituzioni, si incontrano e si interrogano sul perché i costruttori di automobili, che hanno sviluppato la tecnologia diesel al livello più sofisticato e compatibile del mondo, subiscano - senza proferire parola - questa guerra, tanto santa quanto inutile a perseguire i suoi scopi. Non è solo che non si spendano a favore del motore diesel, quanto il fatto che addirittura rifuggano da ogni manifestazione a suo favore. In particolare, colpisce la sottovalutazione del clamoroso fallimento dell’auto elettrica prodotta tra il 1996 e il 1999 da General Motors, all’epoca il più grande produttore automobilistico americano e di uno dei più grandi al mondo. Auto, (EV 1 – Electric Vehicle One tecnologicamente molto avanzata) dopo essere diventata lo “status Symbol ecologista”, venne ritirata dal mercato mettendo la parola fine ad una scelta tecnologica innovativa. Si evidenzia che il 31 dicembre 1955, la General Motors divenne la prima azienda statunitense a superare il miliardo di dollari di fatturato in un anno; nel maggio 2005, Standard & Poor's abbassò il rating di GM al livello di titolo spazzatura; il 1º giugno 2009 la GM dichiara la bancarotta, passando così sotto l'amministrazione controllata del Governo degli Stati Uniti.

Emissioni di inquinanti atmosferici ad effetto locale

La diffusione di veicoli meno inquinanti a partire dal 1993 ha consentito, in particolare tramite l’introduzione dei catalizzatori, una significativa riduzione delle emissioni specifiche nel caso delle automobili. 

Considerata la progressiva riduzione delle emissioni specifiche dei veicoli nuovi e la loro diffusione nel parco circolante, le tendenze segnalate dovrebbero continuare con norme più performanti: per i veicoli leggeri nel 2007 sono state adottate le norme Euro 5 e 6, obbligatorie rispettivamente da gennaio 2011 e da settembre 2015; in particolare la norma Euro 6 prevede ulteriori significative riduzioni delle emissioni per km degli ossidi di azoto delle auto diesel. 

Le emissioni degli inquinanti (PM, NOx, SOx e COVNM) di un’autovettura sono misurate in prove che simulano il comportamento su strada del veicolo e indicate come emissioni in massa per ogni km percorso. Il fattori di emissione rappresentano valori medi nazionali, ottenuti dividendo le emissioni totali per le percorrenze complessive.
  • PM, declinato in base allo spessore (10, 2,5 o anche 1). Le emissioni di particolato, PM2,5, sono diminuite del 63,7% nel periodo considerato. Le fonti principali sono: l’usura di pneumatici, freni e manto stradale (29,5%), le attività marittime (circa il 27%), le emissioni allo scarico delle autovetture (circa il 19,8%) e dei veicoli commerciali leggeri e quelli pesanti (rispettivamente il 7,3% e il 12,2% circa); nel complesso i trasporti, contribuiscono per il 13,8% al totale nazionale di PM2,5 primario (circa 164.677 tonnellate). I nuovi diesel ne emettono una porzione davvero risibile, al limite della misurabilità di fondo scala, grazie all’efficacia dei moderni filtri anti-particolato (FAP) e alla rigenerazione di queste particelle.
  • SOx: le emissioni totali di ossidi di zolfo sono diminuite dell’89,4% nel periodo considerato grazie alla riduzione del contenuto di zolfo dei carburanti.
  • NOx - ossidi di azoto - rilevati in atmosfera provengono per il 60% dai trasporti su strada, incluse le auto diesel per un buon 17%, riferito però a tutte le auto in circolazione: quelle Euro 6 (non di ultimissima generazione, tipo quelle testate) contribuiscono per meno dell'1%. 
  • COVNM: le emissioni di Composti Organici Volatili Non Medianici sono diminuite del 84,5% nel periodo 1990-2017; di esse sono attualmente responsabili soprattutto i ciclomotori, i motocicli e le autovetture non catalizzate e/o molto vecchie
In Italia , le emissioni sono calate notevolmente negli ultimi anni, grazie all’introduzione di catalizzatori, di filtri per particolato fine e di altre tecnologie, quali ad esempio “canister” finalizzati sia alla riduzione delle emissioni evaporative sia al miglioramento della qualità dei combustibili, in primis il contenuto di zolfo (SOx).
Nel frattempo, ecco i nuovi motori diesel: sono super puliti, ma nessuno ne parla ed è incomprensibile come, per svecchiare le strade da tutte quelle auto vecchie inquinanti (da euro 0 a euro 4 senza FAP- filtri anti-particolato), la loro vendita non andrebbe contrastata, con provvedimenti incomprensibili e supportati da tanta disinformazione, bensì incoraggiata
Tutti gli studi scientifici dicono in maniera chiara che dai tubi di scappamento delle moderne vetture diesel Euro 6 escono sostanze inquinanti in quantità talmente basse da non essere significative.
Insomma, dai tubi di scappamento di tutte le auto in circolazione specialmente da quelle più vecchie esce una quantità di inquinanti comunque parziale rispetto ad altre fonti, in particolare - su tutte - il riscaldamento domestico e l’agricoltura. L’espressione “tubo di scappamento” è adoperata per indicare che una vettura ha un impatto ambientale ben più ampio di quanto misurato allo scarico come nel caso delle particelle rilasciate dai freni e dai pneumatici per non parlare dell’usura del manto stradale collegata al rotolamento delle ruote, per cui gran parte dell’inquinamento da particolato si risolverebbe se si lavassero opportunamente le strade. 

Fin qui l'asimmetria tra problema e soluzioni. Poi però c'è il discorso legato alla comunicazione. Per cui non si capisce il perché i “car manufacturers" europei, che hanno sviluppato la tecnologia diesel al livello più sofisticato e compatibile del mondo, subiscano senza proferire parola questa guerra da parte degli stakholder del settore ubicati in Estremo Oriente e in California.

Sicuramente l’attacco portato dallo scandalo delle centraline dalla magistratura americana prima, ed europea a seguito, ha colpito, tanto che hanno supinamente accettato di farlo passare come scandalo dell’intera tecnologia diesel.

Emissioni di Gas ad effetto serra globale

Nel periodo 1990-2017, le emissioni specifiche di anidride carbonica dalle automobili circolanti in Italia sono diminuite, in modo più accentuato per la motorizzazione diesel, grazie al forte rinnovo intervenuto nel parco circolante e ai miglioramenti tecnologici intervenuti (fonte ISPRA). 

A partire dal 2001, anno in cui la Motorizzazione Civile ha iniziato a monitorare le emissioni specifiche del parco delle nuove immatricolazioni, esse risultano in continua diminuzione; in particolare, nel 2017 le emissioni specifiche del parco nuovo immatricolato in Italia hanno raggiunto i 113,9 g CO2/km. La tendenza rilevata negli anni ha consentito di superare gli obiettivi stabiliti a livello europeo per il 2015 con due anni di anticipo.
 In questo caso si tratta dei consumi rilevati durante il ciclo di guida standardizzato che si effettua nell’ambito delle prove di omologazione del veicolo. Il risultato è stato raggiunto anche grazie alla diffusione di auto alimentate a Benzina-GPL ( 6.5% - quota di mercato) e Benzina-Metano (quota del 2.4%).  Precedentemente abbiamo anticipato l’effetto che il gasolio ha avuto sulla compressione delle emissioni di CO2 nel settore della mobilità privata.
Se mettessimo a confronto le emissioni di alcune autovetture, tra le più commercializzate in Italia,  uguali come carrozzeria e comfort di marcia, ma equipaggiate con motori a benzina o a gasolio, ci renderemmo conto, non in teoria, ma nella pratica, di quale è la differenza che si produce nelle emissioni di CO2 . Infatti, se in un breve viaggio da Milano alla casa di vacanza in Liguria usassimo una auto diesel di media cilindrata in sostituzione di una analoga a benzina, eviteremmo di emettere in atmosfera, da 5 a 16  chili di CO2  che nel corso di 100.000 chilometri di vita dell’autovettura, le emissioni evitate varierebbero tra 1.0 e 3.2 t CO2.
Ma la CO2 è una molecola strana, non ha odore, non è colorata né nociva, è impalpabile. I nostri sensi non la percepiscono e, quindi, per noi semplicemente non esiste. Oggi, però, la CO2 è divenuta un nemico da combattere, un pericoloso agente climalterante da eliminare perché si ritiene che sia alla base del temuto ed attuale riscaldamento globale.
Noi stessi, con la respirazione emettiamo ogni giorno un chilo di CO2, il che equivale a 2,5 miliardi di tonnellate emesse dall’intero genere umano ogni anno. 
A lungo la pericolosità restò in dubbio. Una vera e propria svolta si ebbe tra la fine degli anni ’90 e i primi anni del nuovo secolo, quando si eseguirono una serie di misure sui ghiacci profondi dell’Antartide. Il risultato fu sorprendente e preoccupante al tempo stesso: in 800.000 anni la concentrazione di CO2 è rimasta sempre in un intervallo tra 180 e 300 ppm, molto inferiore a quella attuale (415 ppm).

Conclusioni

Oggi i combustibili fossili, la causa principale del riscaldamento globale, producono l'80% della nostra energia e l’86% di tutte le emissioni antropiche di CO2, oltre 35 miliardi di tonnellate ogni anno. La CO2 potrebbe divenire una “preziosa” materia prima e le vie  di utilizzo potrebbero essere:
  • simulare i processi di fotosintesi naturale attraverso dei sistemi artificiali, dei foto-catalizzatori in grado di catturare la luce solare e usarla per trasformare CO2 e acqua in prodotti utili come metanolo (CH3OH), o addirittura metano(CH4) o altri idrocarburi, ma oggi l’efficienza di questi processi è ancora troppo bassa per essere competitiva sul piano economico;
  • riutilizzare la CO2 fossile da far reagire con un’altra sostanza di importanza strategica: l’idrogeno; infatti, combinando la CO2 con l’idrogeno attraverso reazioni ben note è possibile produrre sostanze utili, inclusi veri e propri combustibili ( e-fuels). L’idrogeno oggi viene prodotto a partire dal metano (produzione di 70 Mt da steam reforming) rilasciando in atmosfera la CO2, ma se l’idrogeno venisse prodotto mediante l’elettrolisi dell’acqua, utilizzando energia elettrica da fonti rinnovabili sarebbe sostenibile. È il cosiddetto “idrogeno verde”, l’unico che potrà veramente cambiare il paradigma. Infatti, gli “e-fuels” possiedono caratteristiche del tutto simili a quelle dei corrispondenti combustibili tradizionali fossili che li rendono compatibili sia con l’esistente infrastruttura di trasporto, distribuzione e stoccaggio, sia con gli attuali sistemi di utilizzo finale.
È (o sarà) vera gloria? Ai posteri l'ardua sentenza.

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