Visione e proposte della dirigenza

Il confronto fra i manager dei settori pubblico e privato hanno permesso di verificare la volontà di rilancio del Paese, con iniziative coraggiose che permettano di agganciare la corsa dell’Europa verso lo sviluppo.

 

Giorgio Ambrogioni 

Presidente CIDA
La recente crescita del PIL, oltre le aspettative, rischia di essere interpretata con eccessivo ottimismo, dimenticando le distanze rispetto agli altri Paesi europei, che corrono più velocemente. L’Italia vive oggettivamente un momento delicato della sua storia. Il Paese, esposto in particolare sotto il profilo finanziario, appare sotto molti punti di vista – istituzionale, sociale, economico, culturale – prossimo ad un bivio: accelerare la ripresa aumentando l’occupazione, l’efficienza e la competitività, oppure crogiolarsi sui risultati dell’attuale congiuntura favorevole e continuare a “tirare a campare”. 
È compito della classe dirigente nel suo complesso e di ogni sua componente offrire al Paese una visione lungimirante in grado di indicare responsabilmente la strada verso il futuro. I dirigenti e le alte professionalità dei settori rappresentati da CIDA (industria, commercio, terziario, funzione pubblica, scuola, sanità pubblica e privata, agricoltura, assicurazioni, Banca d’Italia, Consob, università e ricerca) – pienamente consapevoli dei limiti dei loro compiti, ma consci anche della loro valenza – non intendono sottrarsi a questa sfida. Credono, anzi, di avere titolo per farlo nel ruolo di motore d’innovazione e di sviluppo del Paese, perché i manager - privati e pubblici - sono soggetti promotori del cambiamento culturale, essendo il risultato di un percorso lavorativo di selezione meritocratica spesso duro e faticoso, come non sempre è facile riscontrare in altri campi. Non si diventa manager per caso, né tantomeno lo si diventa se non si è portatori di competenze tecniche e professionali riconosciute. In questo senso i manager sono espressione di percorsi professionali e personali che potrebbero costituire un modello di riferimento meritocratico – in termini di selezione, formazione e attenzione al risultato - mutuabile anche da parte della classe politica.
In un momento di particolare complessità della situazione economica e sociale come quello attuale, compito primo di ogni manager è quello di svolgere al meglio i compiti che gli sono stati affidati. Ma, cercando di far funzionare un Paese che a volte sembra aver perso il gusto delle “cose che funzionano”, i manager vogliono alzare lo sguardo oltre la realtà quotidiana per immaginare un’Italia diversa, meno vulnerabile, più autorevole, più meritocratica, più dinamica, più equa: che associ al necessario realismo la capacità di guardare oltre l’attualità, per intravedere il futuro, come ogni dirigente si sforza di fare ogni giorno.
Il Paese deve tornare a crescere per uscire dalla pericolosa strettoia in cui oggi si trova. Perché ciò accada ognuno dovrà fare la sua parte. I dirigenti e le alte professionalità vogliono e possono farlo forse come e più di altri. Essi vogliono essere un motore di crescita in sinergia con la società e le imprese. Il 60% degli imprenditori italiani ha più di 60 anni. Solo il 25% delle nostre imprese sopravvive alla seconda generazione di imprenditori e solo il 15% alla terza. Molto capitale manageriale e imprenditoriale è andato disperso nel corso della crisi e ha bisogno di essere al più presto ricostituito. Le dimensioni aziendali italiane tendono ad essere limitate il che, a parità di rischio, riduce i fabbisogni finanziari legati all’eventuale acquisizione delle aziende. Considerando le criticità del mercato del credito, è arrivato il momento di valutare e sostenere i fenomeni di acquisizione di imprese da parte di manager interni o esterni (management buy out e buy in), ad esempio con fiscalità agevolata sulle liquidazioni dei dirigenti direttamente o indirettamente indirizzate alla acquisizione di imprese.Per tornare a crescere il Paese deve tornare ad essere credibile sul versante dei conti pubblici e, in particolare, dei processi di revisione della spesa pubblica e, solo in questo quadro, usare con attenzione ma anche con decisione la leva degli investimenti pubblici e quella fiscale associata ad una ripresa dei processi di privatizzazione delle imprese non strategiche e l’aggregazione dei servizi per recuperare efficienza con una più efficace gestione manageriale.

Politica di Bilancio

La Legge di Bilancio 2018 dovrà essere intesa come un nuovo inizio nel percorso di risanamento della finanza pubblica: i rischi di marginalizzazione del Paese sono strettamente legati alla sua incapacità di apparire credibile sotto questo aspetto. I processi di revisione della spesa timidamente avviati in passato possono e devono essere portati avanti con determinazione. Ci sono ampi margini di manovra per una razionalizzazione ulteriore della spesa per beni e servizi, così come permangono significativi nella spesa locale e nella giungla ancora inesplorata degli Enti Pubblici e parapubblici, che possono essere resi efficienti da manager competenti. Ad essi dovrebbe aggiungersi un radicale ripensamento di alcuni bonus che hanno segnato la più recente fase politica ed il cui unico tangibile risultato è stato quello di creare un attivo mercato secondario dei trasferimenti pubblici e benefici fiscali a carico e scapito delle solite categorie dei lavoratori dipendenti e pensionati.

Politica sociale

Per contrastare i crescenti fenomeni di marginalità sociale, molti aspetti del nostro sistema di sicurezza sociale vanno ripensati alla radice. In qualche caso facendo passi ulteriori verso l’adozione di modalità diverse di finanziamento della fornitura di servizi superando la natura strettamente categoriale di alcuni Istituti e adottando un nuovo universalismo nel campo dell’assistenza, con precise allocazioni preventive di bilancio e percentuali del PIL, che permettano la verifica dei risultati a consuntivo, che favoriscano maggiore equità, sussidiarietà ed efficienza nel rispetto dei diritti di tutti.

Politica di coesione

Nella discussione con l’Unione Europea vorremmo che si puntasse – più che su una inutile trattativa sulla flessibilità, che implica maggiore debito pubblico a carico delle nuove generazioni – sulla urgenza e necessità per l’Italia e per l’Europa di considerare il Mezzogiorno per quello che è: non un insieme di piccole regioni, ma una grande area in grave ritardo di sviluppo economico e sociale che costituisce un potenziale non solo culturale e turistico europeo.

Politica industriale

Il secondo Paese manifatturiero europeo merita una particolare attenzione alle politiche di sviluppo della competitività delle imprese, promuovendo gli investimenti in innovazione e crescita del capitale umano, investendo nelle infrastrutture di comunicazione, nei piani energetici e nelle iniziative che possano favorire il rientro delle produzioni delocalizzate (Reshoring). La politica prioritaria che lo Stato dovrebbe mettere in campo riguarda il suo core business e cioè il funzionamento della Pubblica Amministrazione. Sotto questo profilo siamo ancora molto lontani da qualcosa che assomigli ad una PA 4.0. Dovremmo non solo limitarci a produrre un po’ più efficientemente i beni e i servizi di sempre, ma cominciare seriamente a domandarci quali beni e servizi la Pubblica Amministrazione debba produrre per essere moderna e strategicamente indispensabile per lo sviluppo del Paese. In anni in cui la presenza dello Stato nell’economia è tornata ad essere spesso pervasiva ed invasiva, gli investimenti pubblici hanno toccato un minimo storico. È ora che lo Stato torni a fare la sua parte, ma solo nelle cose che gli competono: gli investimenti pubblici in capitale fisico e in capitale umano sono un buon esempio. Sulle banche poche cose chiare: concentrarsi sulla creazione di un mercato efficiente dei crediti deteriorati; in caso di crisi di valenza sistemica, l’intervento dello Stato può essere necessario ma deve essere chiaro negli obbiettivi, nei modi e nei tempi; prepararsi per tempo ad affrontare le sfide dei prossimi anni (innovazione tecnologica, ridotta redditività, accresciuta concorrenza). Ma non si può vivere di sole banche. Langue, in Italia per assenza di massa critica, il comparto dei fondi di credito molto attivo invece altrove in Europa e spesso paradossalmente sostenuto da risorse italiane. Qui ci sarebbe lo spazio per uno Stato “facilitatore” di investimenti per creare valore.

Politica fiscale

La competitività del Paese richiede una riduzione del carico fiscale; fra i più elevati d’Europa per chi paga le tasse e cioè i lavoratori dipendenti i pensionati e le aziende ben gestite. È necessario un intervento finalizzato a ridurre la pressione fiscale, semplificare il sistema, garantire una maggiore neutralità del sistema rispetto alle scelte dei singoli, assicurando l’equità di trattamento verso i contribuenti realmente incapienti.

Impegniamoci per un Paese migliore

Due milioni di manager e professionisti del privato e del pubblico credono sia il momento di dare un segnale di responsabilità sociale e rispetto dei cittadini, con un piano ambizioso che impegni concretamente il Paese al rigore morale e finanziario. Una manovra 2018 ambiziosa che impegni lo Stato a generare consistenti risorse dalla riduzione dell’evasione fiscale e contributiva, dalla riduzione della spesa utilizzando tecnologie abilitanti per aumentare l’efficienza e dalla privatizzazione di attività non strategiche. Le risorse così generate dovranno essere investite per: disinnescare le clausole di salvaguardia mettendo in sicurezza le finanze pubbliche; ridurre la tassazione per favorire la competitività; investire nelle iniziative strategiche per il lavoro; iniziare a ridurre il debito pubblico, per dimostrare nei fatti che "ce la possiamo fare".
Il documento completo CIDA è disponibile cliccando di seguito "proposte-della-dirigenza.pdf"

Proposte della dirigenza

proposte-della-dirigenza.pdf

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