Invecchiamento: dall’assistenza familiare all’assistenza professionale

Il progressivo allungamento della speranza di vita si accompagna, inevitabilmente, anche a una crescita dei bisogni socio-assistenziali. In Italia la speranza di vita residua a 65 anni è: 19,2 anni per gli uomini e 22,4 per le donne, ma la speranza di vita a 65 anni in buona salute (senza limitazioni funzionali) è: 9,4 anni per gli uomini e 9,8 per le donne. Paradossalmente, la non autosufficienza è, quindi, e sempre più spesso, inevitabile conseguenza dell’allungamento dell’aspettativa di vita media. Viviamo dunque più a lungo, ma non necessariamente meglio.

Mino Schianchi

Presidente Comitato Nazionale di Coordinamento dei Gruppi Pensionati e Vicepresidente ALDAI-Federmanager
Nella riunione del Consiglio Nazionale Federmanager del 29 Novembre 2019, illustrando la situazione della previdenza oggi in Italia, avevo dedicato una parte della mia presentazione ai crescenti bisogni di assistenza collegati all’invecchiamento. Avevo sottolineato che oggi la spesa pubblica destinata alla "Long Term Care" (assistenza a lungo termine) vale circa 29,3 miliardi di euro, pari all’1,7% del PIL del 2018 e che l’attuale modello pubblico di gestione della non autosufficienza presenta un eccessivo sbilanciamento a favore dell’erogazione di prestazioni monetarie mentre, invece, si dovrebbe ragionare sulla “presa in carico” del soggetto non autosufficiente.

Allo stato attuale, la non autosufficienza è affrontata da singoli e famiglie, prevalentemente con l’impiego dei propri redditi e risparmi per un totale di spesa a loro carico di quasi 20 miliardi di euro. Senza un adeguato sostegno da parte del sistema di welfare pubblico, difficilmente, in futuro, famiglie sempre più piccole, riusciranno a portare avanti, come oggi, il loro prezioso ruolo di "caregiver".

Dal 4 febbraio 2020, è in discussione, in Commissione Lavoro del Senato, il Disegno di Legge n. 1461-2019 che mira all’incremento delle tutele nei confronti dei "caregiver". Con il termine "caregiver" familiare si designa colui che si prende cura di una persona cara in condizioni di non autosufficienza. 

Con questo disegno di legge si riconosce il valore sociale ed economico dell’attività di cura e di assistenza svolta dal "caregiver" familiare quale risorsa volontaria dei servizi socio-sanitari e sanitari locali di assistenza alla persona e si elencano nel dettaglio i requisiti necessari per accedere ai benefici previsti dalla stessa legge.

Il "caregiver" familiare deve farsi carico dell’organizzazione delle cure e dell’assistenza, nonché di ogni altro atto, anche amministrativo, che la persona assistita non è più in grado di compiere.  In relazione a tale impegno si prevede il riconoscimento al "caregiver" familiare della copertura a carico dello Stato, limitatamente a tre anni, dei contributi figurativi riferiti al periodo di lavoro di assistenza e cura effettivamente svolto, che vanno a sommarsi ai contributi da lavoro eventualmente già versati. Si stabiliscono anche specifiche detrazioni fiscali in favore del "caregiver" familiare per le spese sostenute per l’attività di cura e assistenza.

Inoltre, al fine di valorizzare le competenze maturate dal "caregiver" familiare nello svolgimento dell’attività di cura e di assistenza e di agevolarne l’accesso o il reinserimento lavorativo, si prevede il riconoscimento delle competenze acquisite utili per la certificazione delle stesse, anche ai fini dell’acquisizione della qualifica di operatore socio-sanitario o di altre figure professionali dell’area socio-sanitaria.

Ritengo lodevole e positivo il tentativo di creare con questo disegno di legge una rete di sostegno per queste figure che oggi in Italia costituiscono un esercito invisibile di oltre 7 milioni di persone; persone che rappresentano un valore sociale ed economico per il Paese e per le quali il sommarsi dei compiti assistenziali a quelli familiari e lavorativi può determinare frustrazione e problemi economici. Sarebbe però auspicabile che, accanto al formale riconoscimento dei "caregiver" familiari, venissero proposti anche strumenti in grado di incentivare e promuovere la costruzione di un mercato del lavoro di cura in cui professionisti, adeguatamente formati, possano rispondere alle esigenze delle famiglie e degli assistiti, sollevando i "caregiver" familiari da oneri di cura sempre più gravosi e sempre meno gestibili all’interno delle mura domestiche.
 
Una maggiore leva verso prestazioni in forma specifica (e non di mero accompagno) potrebbe ridurre i costi e, soprattutto, consentire di dare lavoro “in chiaro”, e a veri professionisti del settore del "caregiving".

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