Prestazioni della sanità integrativa
Sintesi dell'intervento del Presidente FASI Marcello Garzia al convegno Mefop del 17 dicembre 2020 ha aperto il dibattito sul tema: "Quali sono le criticità più importanti da risolvere e quali i passi decisivi da compiere per la definizione di un sistema solido e riconosciuto di sanità integrativa?
Marcello Garzia
Presidente Fasi
L’anno che ci siamo lasciati alle spalle, l’anno in cui il mondo che conoscevamo è stato scosso fin dalle fondamenta, ha innegabilmente impresso un impatto sulla sfera economica e demografica, ma anche su quella familiare, di genere, dei rapporti generazionali, lavorativa e mentale. Stiamo assistendo ad una completa rivoluzione nei nostri stili di vita, di lavoro, di consumo, ma anche di cura.
È quindi giunto il momento di ripensare al sistema salute, alla luce delle crepe - più o meno già note - messe in evidenza dalla crisi pandemica.
Il sistema salute è soggetto a forti spinte evolutive, dal lato dell’offerta, con la modifica del concetto di integratività e dal lato della domanda, con l’emersione di bisogni sempre crescenti da parte della popolazione, in termini di tutela delle cronicità e delle non autosufficienze. Queste spinte di evoluzione necessitano di un adeguato supporto, che nello specifico è offerto dall’innovazione in senso digitale dei servizi sanitari e para-sanitari.
Ritengo, infatti, che solo attraverso l’utilizzo consapevole dei nuovi strumenti digitali, solo assecondando l’evoluzione del sistema salute verso nuove forme e nuovi canali, e non di certo opponendosi ad essa, sia possibile giungere ad un nuovo approccio di sanità integrativa.
Prendendo contezza del fatto che la pandemia abbia modificato per sempre il nostro punto di vista sulla sanità e il modo in cui ci rapportiamo ad essa, è necessario dare un nuovo significato alla parola integrazione: superando la dicotomia essenziale-integrativo, LEA ed extra-LEA. È giunto il momento di non vedere i Fondi Sanitari integrativi non come attori isolati all’interno della filiera della salute, ma parte rilevante di un meccanismo ben integrato, che aggiungono - e non sottraggono - valore rispetto a quanto il nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN) già eroga.
Il nostro SSN è e deve rimanere universale e solidaristico, ma allo stesso tempo possiamo - e dobbiamo- valorizzare, incentivare e “sfruttare”, tale integratività in maniera efficiente, efficace e soprattutto equilibrata. Equilibrata in senso sì economico, ma anche sociale.
La sanità integrativa, se compresa e ben gestita, rappresenta il modo che lo Stato ha di intervenire nelle aree in cui il SSN non riesce ad intervenire: non sto parlando solo di lunghi tempi di attesa, prestazioni odontoiatriche o riabilitative, ma anche di prevenzione e di gestione delle cronicità, delle non autosufficienze e delle fragilità.
E in questo contesto di “nuova integratività”, è necessario superare la dicotomia pubblico-privato: la sanità integrativa e privata dovrebbe sviluppare sinergie con il settore sanitario pubblico, al fine di favorire il più possibile una visione di mutuo completamento e superare le contrapposizioni che ancora persistono. Per raggiungere tale obiettivo è necessario andare oltre gli storici attriti funzionali che intercorrono fra questi due mondi, come ad esempio il disallineamento dei nomenclatori, i problemi autorizzativi, i costi maggiorati rispetto agli erogatori privati, per giungere ad un linguaggio comune e condiviso.
Per quanto riguarda la cronicità, gli ormai noti scenari di evoluzione socio-sanitaria dei Paesi industrializzati, i cui interrogativi principali si pensava fossero limitati all’invecchiamento della popolazione e allo sviluppo di comorbilità devono essere ora ripensati: da un lato le malattie non trasmissibili continuano a rappresentare una grave incognita per la salute umana, ma dall’altro è innegabile che esse non costituiscano il fattore di rischio più (mediaticamente) critico ed urgente, rappresentato, invece, dalle c.d. “malattie trasmissibili”. E questa “duplicazione” delle necessità di salute, ci impone di non gestire la cronicità come abbiamo fatto fino a questo momento.
Non deve sorprenderci la previsione del forte incremento nel numero dei pazienti cronici, sia per le complicazioni legate al Covid (di natura respiratoria e cardio-circolatoria) sia per la mancanza di cure per i pazienti attuali, cronici e oncologici soprattutto. Non a caso il Covid è stato definito non una pandemia, bensì una sindemia.
Questa nuova “urgenza” pone la necessità di ripensare l’assistenza territoriale: la crisi pandemica ha evidenziato l’assenza di una dimensione più prossima del sistema sanitario e ha messo in luce la necessità di ripensare il paradigma del sistema sanitario, attualmente “ospedalo-centrico”. È quindi auspicabile implementare un modello per la gestione non solo della dimensione intermedia (extra-ospedaliera, ambulatoriale e di residenzialità), ma anche della dimensione domiciliare delle cure e della presa in carico dei pazienti. Potremmo dire, semplificando, che effettuando le cure direttamente presso l’abitazione dei pazienti, si incentiva, a fianco della tutela del benessere individuale e collettivo, la resilienza dell’intero sistema.
Nello specifico, il tema della non autosufficienza va affrontato a 360°: il ribaltamento della piramide demografica e la sempre maggiore rilevanza delle patologie cronico-degenerative ad effetto invalidante rendono indispensabile al più presto una classificazione e una ri-definizione delle necessità e dei bisogni di assistenza della popolazione. Tali attività idealmente dovrebbero rispondere a criteri di appropriatezza clinica e di appropriatezza organizzativa, e tenere conto le varie sfumature di bisogni molteplici e complessi che si possono osservare in questo ambito.
Ma queste due spinte di evoluzione sia dal lato dell’offerta - l’integratività- che della domanda - con cronicità e non autosufficienza - devono essere supportate da adeguati strumenti. Ed è qui che entra in gioco l’innovazione in sanità, che vede il digitale come strumento attuale e potenziale.
La crisi pandemica ha messo in evidenza il ruolo che le nuove tecnologie informatiche e digitali svolgono come fattori abilitanti per l’assistenza dei pazienti nelle proprie abitazioni e per la gestione delle patologie croniche (come avviene nel caso del c.d. Cronic Care Model). Ma mentre dal lato pubblico la spinta all’innovazione sembra fermarsi all’assistenza domiciliare, è innegabile che le tecnologie ICT svolgano - e svolgeranno sempre di più - un ruolo fondamentale sia nella ridefinizione dei processi aziendali, andando a migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’intera filiera della salute, ma anche - e forse soprattutto - nella definizione di una nuova governance clinica e manageriale dei sistemi sanitari.
E, last but not least, la crisi pandemica ha messo in luce la necessità di organizzare in senso mutualistico tutte quelle prestazioni sanitarie ad oggi non coperte né dal SSN né rimborsate dai Fondi sanitari, ma finanziate direttamente dai cittadini attraverso l’out of pocket.
Il rapido ribaltamento della piramide sanitaria, il moltiplicarsi di cronicità e l’emergere di condizioni di non autosufficienza, pongono la questione economica - e di sostenibilità economica - al centro del dibattito sanitario. La proposta è quindi di sviluppare una forma di “neo-mutualismo”, favorendo, eventualmente anche attraverso leve economiche e fiscali, l’aggregazione dei cittadini non già coperti da un contratto di lavoro.
Come il primo pilastro non richiede la cittadinanza quale requisito per accedere al Servizio Sanitario nazionale, così il secondo pilastro dovrebbe garantire la possibilità di usufruire delle prestazioni integrative a tutte le collettività, a prescindere dal loro status lavorativo.
L’estensione della tutela sanitaria integrativa a tutte le categorie non coperte che ad oggi, per garantirsi un’integrazione rispetto a quanto già offerto dal SSN, devono ricorrere la mercato assicurativo privato. Tale mercato tuttavia risponde a logiche di natura commerciale, completamente diverse, spesso contrapposte rispetto a quanto invece avviene nella realtà dei Fondi integrativi, soprattutto quelli di origine contrattuale e sindacale.
La possibilità di istituzionalizzare la spesa lasciata ad oggi “libera” ai cittadini, non in ottica di maggior controllo o di maggiori vincoli, ma per una maggiore tutela per tutti, permette sia la maggiore tracciabilità dei pagamenti, evitando fenomeni di evasione fiscale fin troppo diffusi nel comparto sanitario, sia di dare una forte spinta, e soprattutto una visione, ad un settore ad oggi in crisi.
Per concludere, i Fondi sanitari hanno la possibilità di intercettare i bisogni non gestiti da parte del SSN, aprendo la strada a nuove forme di “fare salute”, attraverso la prevenzione, l’assistenza alla persona e la gestione delle fragilità che rappresentano le sfide attuali per un futuro sostenibile e inclusivo.
01 febbraio 2021