Vivere più a lungo e meglio ha un costo. Ma chi lo paga?

L’aumento della spesa sanitaria integrativa testimonia l’importanza di questo settore nel panorama sanitario italiano

Roberta Lovotti

Vicepresidente ALDAI e Presidente della Commissione Previdenza e Assistenza Sanitaria 


Che la spesa sanitaria sia in crescita costante è ormai un dato di fatto. Anche le motivazioni le conosciamo bene:
  • viviamo più a lungo, quindi abbiamo bisogno di curarci di più;
  • cerchiamo di garantirci una qualità di vita migliore, quindi, più sana;
  • sappiamo che medicina, chirurgia e diagnostica sono in continua evoluzione con grandi vantaggi in termini di risultati, ma con costi più elevati.
Analizzando i dati ufficialmente disponibili (MEF, ISTAT) per il decennio 2014-2023 si può vedere come la spesa sanitaria sia in costante crescita. Ma se la spesa pubblica è cresciuta del 21% quella privata è aumentata del 25%, e in particolare quella integrativa, intermediata da fondi e assicurazioni, ha raggiunto un + 37%.
Cifre in miliardi di euro
<br>Fonte: nostra elaborazione dati MEF e ISTAT

Cifre in miliardi di euro
Fonte: nostra elaborazione dati MEF e ISTAT

In questo contesto due dati risultano particolarmente preoccupanti. Nel 2023 4,5 milioni di italiani (pari al 7,6% della popolazione) hanno rinunciato alle cure mediche a causa di liste di attesa troppo lunghe da parte del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e dell’impossibilità di pagarsi di tasca propria le cure rivolgendosi alle strutture private. Sempre nel 2023 il 31% della spesa sanitaria è stata sostenuta direttamente dai cittadini. Il quadro della sanità nazionale è a tinte sempre più fosche e se è incostituzionale che un cittadino debba rinunciare alla propria salute perché impossibilitato ad accedere alle cure, è altrettanto preoccupante che sempre più cittadini decidano, pur di curarsi, di pagare direttamente le prestazioni. 

La delibera della Giunta Regionale lombarda n. 4986 del 15 settembre 2025, la cosiddetta Super Intramoenia, attiva ospedali e servizi ambulatoriali delle ASST (Azienda Socio Sanitaria Territoriale) perché pongano le proprie prestazioni di libera professione a disposizione di assicurazioni, mutue e fondi di welfare aziendale. Le prestazioni libero professionali, già disponibili da molti anni presso le strutture pubbliche, vengono così stimolate e offerte a tariffe scontate e intermediate dai fondi sanitari. La soluzione avrebbe potuto considerarsi molto positiva se avesse comportato anche un potenziamento di organico e posti letto per dare alle strutture pubbliche la possibilità di massimizzare lo sfruttamento delle risorse strumentali, erogare maggiori prestazioni contribuendo così al miglioramento dei bilanci delle strutture stesse. Poiché la normativa non prevede alcun potenziamento, meno che mai dei posti letto e dell’organico, ci auguriamo che l’applicazione della normativa non distolga risorse dal SSN indebolendolo ulteriormente e portando alla sempre maggiore marginalizzazione di chi non può permettersi di pagare. L’eventuale peggioramento del SSN non gioverebbe nemmeno alla sanità integrativa trasformandola sempre più in sanità sostitutiva e affaticandone la sostenibilità.

Quale categoria che ogni giorno partecipa alla crescita del nostro Paese, ma anche come cittadini dello stesso, dobbiamo pretendere che la sanità pubblica riceva i giusti finanziamenti dallo Stato e che gli investimenti nella formazione e nell’impiego in ambito pubblico di personale sanitario competente siano garantiti.

Dal quadro generale passiamo a occuparci della sanità integrativa ribadendo che i costi sostenuti da chi la assicura sono aumentati nel decennio in esame del 37%. Nel 2023 erano 16 milioni i lavoratori iscritti a uno dei 324 fondi sanitari integrativi iscritti alla specifica Anagrafe. In soli 3 anni il numero dei fondi è cresciuto del 21%.
I fondi integrativi si suddividono in tipologia A, destinati esclusivamente a prestazioni che non rientrano nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), e in tipologia B, che svolgono una funzione complementare e sostitutiva del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) ed erogano ai propri iscritti sia le prestazioni già offerte dal sistema pubblico (incluse nei LEA) sia quelle extra-LEA. I fondi di tipo B sono tenuti a destinare almeno il 20% delle risorse a prestazioni integrative non LEA. 
Il 96% dei fondi appartiene alla tipologia B e ciò significa che la quasi totalità dei fondi sostiene circa l’80% della spesa per surrogare il SSN.  

La crescita costante degli iscritti e l’aumento della spesa sanitaria integrativa testimoniano l’importanza di questo settore nel panorama sanitario italiano. Stabilito che di questo pilastro non se ne può più fare a meno, diventa indispensabile regolamentarlo meglio e dargli voce ai tavoli dei decisori politici in ambito di sanità. Abbiamo bisogno di una legge chiara che regoli il settore, definendo con precisione i diritti e i doveri dei fondi sanitari, le modalità di controllo e vigilanza, e i criteri per accedere alle prestazioni. I fondi devono impegnarsi a promuovere la prevenzione sanitaria e garantire prestazioni di alta qualità. Infine, devono comunicare in modo chiaro e comprensibile le informazioni relative alle prestazioni offerte e ai relativi costi. 

Analizzando i Fondi Sanitari della galassia Federmanager (FASI e ASSIDAI), possiamo dire con soddisfazione che, grazie all’ esperienza pluridecennale e all’obbiettivo primario di salvaguardare la salute degli assistiti, risultano ampiamente aderenti alle linee guida nazionali in materia di sanità integrativa. L’attenzione alla prevenzione, con un numero sempre maggiore di pacchetti specifici e gratuiti ne è solo un esempio. I criteri di accreditamento degli erogatori sono consolidati e, recentemente, è stata introdotta una logica premiante in termini di rimborsi per le strutture che erogano prestazioni diagnostiche di alta tecnologia, consentendo una capacità di diagnosi di gran lunga superiore rispetto all’uso delle apparecchiature più diffuse e obsolete.
Dal punto di vista economico-finanziario gli Enti di cui sopra possono contare su organi interni e di vigilanza che tendono a garantire la stabilità dei Fondi monitorandone l’andamento annuale e producendo proiezioni di medio e lungo periodo. Ciò comporta notevole sforzo, considerando il contesto sanitario nazionale e la volontà di non lasciare indietro nessuno degli assistiti e delle relative famiglie. Il perno delle decisioni dei nostri Fondi è il fondamentale equilibrio tra la massimizzazione dei rimborsi e la stabilità, anche prospettica, dell’Ente.

Come associati avremmo il diritto di preoccuparci se ci rendessimo conto che i nostri contributi non venissero usati correttamente, ma per ora possiamo continuare a sostenere i nostri Fondi pensando che la salute nostra e delle nostre famiglie sia in buone mani.

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