L’importanza del riconoscimento del merito

Il Dizionario Devoto Oli alla parola merito recita: “il conseguimento di quanto consente una attribuzione secondo equità sia di premio che di castigo”

 Michele Carugi

Socio ALDAI-Federmanager e componente del Comitato di redazione Dirigenti Industria
Il dibattito pubblico sul “merito”, sugli eventuali riconoscimenti a esso dovuti, sulla sua importanza nella società e sulla sua stessa definizione, si è acceso improvvisamente e in maniera vibrante; è stata infatti sufficiente l’aggiunta della parola “merito” alla denominazione del Ministero dell’Istruzione per scatenare una reazione verbale forte in coloro che ritengono che una Società che lo valorizzasse sarebbe una Società classista che penalizzerebbe gravemente le classi più povere della popolazione.
La discussione sul riconoscimento del merito è sempre, nel nostro Paese, molto accesa; da un lato chi propugna questi valori tende a indurre a pensare che si voglia instaurare una “meritocrazia”, dall’altro, chi si oppone, vede il merito come frutto di una competizione impari in quanto a condizioni di partenza e, peggio, come risultato di appartenenza a gruppi, lobby di potere; con questi presupposti, il dibattito si è radicalizzato, divenendo politico.

Per ricondurlo a una discussione più pacata e scevra da ideologie, può aiutare guardare al significato originale di “merito”; il Dizionario Devoto Oli recita: “il conseguimento di quanto consente una attribuzione secondo equità sia di premio che di castigo” - prevalendo il senso positivo, richiama l’idea di “ricompensa”, irrigidendosi quindi nel significato di “pregio, valore”.

Appare evidente che il focus di tutti coloro che discutono animatamente di merito nella Società sia sulla seconda parte della definizione, in particolare sulla ricompensa dovuta a chi “merita”. La prima parte, che identifica il merito come un “conseguimento” di qualcosa, è quasi sempre trascurata, mentre è proprio nel processo di “conseguimento”, nel quale devono essere spese energie, capacità, competenze, che risiede la ragione del premio, della ricompensa.

Sull’opportunità, anzi sulla necessità di premiare chi consegua dei risultati utili a un’organizzazione o alla società, credo che possa obiettare in buona fede soltanto qualche utopista fiducioso nel totale altruismo dell’uomo, mentre è sui criteri di valutazione dei risultati e soprattutto dei processi di conseguimento che si crea l’attrito; gli avversari del merito ritengono che i risultati ottenuti da ciascuno siano sempre il meglio ottenibile in funzione delle proprie condizioni di partenza e che gli eventuali insuccessi dipendano sempre da cause esterne. In più, aggiungono, le ricompense non vengono quasi mai attribuite in base a un effettivo merito, ma per simpatie, appartenenze a gruppi di potere, servilismi.
Viceversa, i sostenitori del merito affermano che vadano premiati i risultati in quanto frutto di competenze, capacità, creatività e impegno.
La visione dei primi, contrariamente al loro intento anti-classista, toglie ogni speranza a chi non nasca in un ceto avvantaggiato, perché, senza un ascensore sociale mosso dal merito, non resterebbe loro alcuna possibilità; la visione dei secondi è funzionale all’incentivazione a rendersi utili alla Società, ma funziona in pieno purché vengano agevolate le pari opportunità e si rifugga da ogni tipo di nepotismo, faziosità e ogni altro fattore che possa sporcare la valutazione di competenze, capacità, risultati.

L’uso migliore delle risorse disponibili va nell’interesse di tutta la comunità, pertanto uno strumento ben affinato, che aiuti a selezionare e premiare le migliori competenze disponibili e assegni responsabilità a chi meglio può assumerle, è strumentale al progresso.

Ben venga quindi un dibattito sul riconoscimento del merito, al quale la categoria dei dirigenti può dare un contributo sostanziale e basato su esperienze consolidate nel tempo; infatti, i manager sono abituati a essere valutati sulla base di ciò che conseguono nel loro ruolo e, nell’impresa privata - quantomeno in quella medio-grande -, sono soggetti a sistemi di valutazione dei risultati ai quali sono legate quote significative della loro retribuzione. A loro volta, hanno il compito di selezionare e valorizzare le competenze e i meriti dei loro team per garantirne la migliore efficienza ed efficacia.
Il contributo dei dirigenti al dibattito, oltre che nell’apporto di idee e di esperienza, può stare anche nell’esempio; diventa perciò vitale che - nell’assegnare responsabilità, nel premiare il merito - le loro scelte siano sempre e soltanto improntate alla valutazione delle competenze, per non portare mai acqua al mulino di coloro che vedono il successo come dovuto a un privilegio di appartenenza a una parte o a una casta.
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