Certezza del diritto per ricostruire la fiducia
Sulla sentenza della Consulta pesa la politica; ed è alla politica, che penalizza le pensioni di chi ha sempre pagato le tasse e i contributi piuttosto che creare efficienza e intensificare la lotta all'evasione fiscale, che è necessario dare una risposta.
Stefano Cuzzilla
Presidente Federmanager
Abbiamo intentato numerose azioni legali, abbiamo sollevato dubbi di costituzionalità e siamo arrivati, anche questa volta, al pronunciamento della Corte Costituzionale, che ben conosciamo. Poche righe finora, ma sufficienti a confermare il blocco della perequazione automatica per le nostre pensioni introdotto con la legge del luglio 2015 con cui l’allora governo Renzi aveva risposto al precedente richiamo della Consulta, anche quello generato da nostro ricorso.
Non conosciamo i dettagli della motivazione della sentenza, però noi tutti abbiamo letto con sconcerto che (e cito testualmente il comunicato ufficiale) «la Corte ha ritenuto che – diversamente dalle disposizioni del “Salva Italia” annullate nel 2015 con tale sentenza – la nuova e temporanea disciplina prevista dal decreto-legge n. 65 del 2015 realizzi un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica».
Dunque, è inaccettabile che di fronte al riconoscimento così povero previsto dal “Bonus Poletti”, pari ad appena il 10% per le pensioni più basse e pari a un sonoro zero per tutti gli altri, si ritenga sanata l’irragionevolezza.
A prescindere dall’entità degli importi, è bene chiarire subito che qualsiasi penalizzazione sulle nostre pensioni, è e resta un intervento irragionevole.
È irragionevole che il bilancio pubblico sia risanato con riscossioni forzose.
È irragionevole, e anche discriminatorio, che questo avvenga solo per alcune categorie.
È irragionevole che i diritti siano “temporaneamente” sospesi.
In attesa di leggere le motivazioni della pronuncia, voglio sottolineare che la perequazione automatica degli importi pensionistici, in questi anni in cui non c’è stata praticamente inflazione, non può essere posta esclusivamente come questione economica. Noi lo poniamo come un principio di diritto che va difeso sempre, in tutte le sedi e in ogni tempo.
Se ci soffermiamo sul peso economico dell’operazione che è stata fatta, il danno subito dai pensionati, quantificato dalle stesse fonti ufficiali come pari a 20 miliardi di euro (secondo altri, anche oltre) equivale a una manovra di bilancio.
Vogliamo parlare di salvaguardia della finanza pubblica? Ognuno, dice la Costituzione, è tenuto a partecipare in funzione della propria capacità contributiva, non in funzione del suo status né tantomeno in funzione delle esigenze di cassa pubbliche.
Se in questo Paese si separassero assistenza e previdenza non potremmo più affermare l’insostenibilità del sistema previdenziale perché i nostri conti pensionistici sarebbero in linea con quelli dei Paesi europei.
Consideriamo anche che il potere di acquisto delle pensioni non si misura soltanto sull’andamento dei prezzi di beni e servizi. Sappiamo che la crisi economica ha prodotto un profondo cambiamento sociale in questo Paese: il welfare pubblico (basti vedere i ticket sanitari) è diventato più oneroso per i cittadini, i salari non sono cresciuti, la disoccupazione giovanile si è accentuata in modo molto preoccupante. Per molte famiglie italiane il reddito da pensione, quando c’è, costituisce una voce di sostenibilità del bilancio familiare.
Non considerare questo vuol dire avere una visione distorta delle finalità che la finanza pubblica dovrebbe perseguire.
A questa mia riflessione, perciò, dobbiamo aggiungere una considerazione politica.
Il 2015 non è il 2017. In due anni abbiamo dovuto fare i conti con un’instabilità politica che è specchio del disorientamento dei partiti.
In questo contesto la nostra Federazione è impegnata in un lavoro serrato affinché la Legge di Bilancio 2018 non tocchi il tema previdenziale, rafforzando il fronte della bilateralità affinché continui a costituire quel pilastro con cui diamo garanzie concrete ai colleghi che sono in pensione, a quelli che si avvicinano al pensionamento e a quelli più giovani che hanno il diritto di avere fiducia nel loro futuro.
Mai dobbiamo permettere che la questione previdenziale tracci un solco tra le generazioni.
È nel nostro interesse, e in quello del sistema Paese, che il lavoro sia tutelato in tutte le sue fasi. Pertanto la nostra determinazione, la stessa con cui abbiamo sostenuto la CIDA nel promuovere il ricorso contro la mancata restituzione degli importi dovuti ai nostri colleghi, ci porterà a intervenire ancora su questo tema.
Agiremo ove possibile per le vie legali e per le vie istituzionali. Vigileremo contro i colpi di mano, che la storia ci ha insegnato essere sempre dietro l’angolo. Ma soprattutto, e su questo voglio richiamare la vostra attenzione, non giocheremo solo in difesa.
Avevamo già messo in agenda l’appuntamento del prossimo 15 dicembre a Milano quando riuniremo tutti i colleghi in pensione per dire che, invece delle solite scorciatoie, sono altri i percorsi da intraprendere.
Nel tempo attuale la materia previdenziale merita molti interventi correttivi, merita di essere ripensata e messa in sicurezza. Penso alla separazione tra assistenza e previdenza, ma anche alla valorizzazione della previdenza complementare e alla riforma del fisco.
Una partita che va giocata in attacco, nell’interesse di tutta la categoria e del Paese.
01 novembre 2017