Lo sciopero del ceto medio
Lo sciopero del ceto medio è un fenomeno che sta ormai emergendo, in quanto le classi medie (cioè i professionisti, gli impiegati, i dirigenti, i piccoli imprenditori e tutti coloro che si trovano tra la classe operaia e la classe più abbiente) iniziano a ritirarsi dall’economia o dalla vita sociale in segno di protesta contro politiche economiche percepite come ingiuste o dannose.

Mario Merigliano
Presidente Federmanager Venezia
COSA SI INTENDE PER
“SCIOPERO DEL CETO MEDIO”
Il concetto di “sciopero del ceto medio” è un’espressione che si è sviluppata in vari contesti per descrivere una forma di resistenza sociale e di protesta economica da parte delle classi medie. Esso non si riferisce tanto a uno sciopero nel senso tradizionale (ad esempio, il rifiuto di lavorare da parte dei lavoratori di un’industria), quanto a un’azione collettiva o a un comportamento diffuso che riguarda l’inattività economica, la riduzione dei consumi o la critica al sistema economico e sociale che mette a dura prova il benessere di questa categoria.
Lo sciopero del ceto medio è un fenomeno che sta ormai emergendo, in quanto le classi medie (cioè i professionisti, gli impiegati, i dirigenti, i piccoli imprenditori e tutti coloro che si trovano tra la classe operaia e la classe più abbiente) iniziano a ritirarsi dall’economia o dalla vita sociale in segno di protesta contro politiche economiche percepite come ingiuste o dannose.
Questo sciopero può manifestarsi in vari modi, quali:
- il rifiuto di consumare, con una riduzione significativa della spesa privata, un abbassamento del livello dei consumi, per protestare contro l’inflazione, il caro-vita o le politiche fiscali;
- la mancata partecipazione a iniziative politiche, per disillusione nei confronti della politica, con una crescente astensione dalle urne, o rifiuto di impegnarsi in attività politiche tradizionali, come la partecipazione a movimenti o partiti;
- l’evitare il sistema fiscale o economico, con aumento dell’evasione fiscale o elusione di normative fiscali ritenute ingiuste, praticando un comportamento di “non contribuzione” alle politiche economiche.
Le motivazioni che possono spingere il ceto medio a intraprendere questo tipo di “sciopero” sono varie e legate principalmente alla percezione di un crescente divario economico e a politiche pubbliche che non rispondono alle necessità di questa fascia della popolazione.
Alcuni dei motivi vengono elencati di seguito:
- Crisi economica e stagnazione salariale. Le classi medie possono sentirsi particolarmente colpite dalla stagflazione (un periodo in cui si verifica contemporaneamente stagnazione economica e inflazione). I salari non crescono al passo con l’inflazione e il costo della vita aumenta, mentre le politiche fiscali e monetarie non riescono a contrastare questi problemi.
- Imposizione fiscale eccessiva. La pressione fiscale sulle classi medie è uno dei fattori più discussi. Quando il ceto medio percepisce di contribuire pesantemente alle finanze pubbliche senza vederne i benefici (in termini di servizi pubblici, sanità, educazione, ecc.), può svilupparsi un senso di frustrazione e disillusione.
- Perdita di potere d’acquisto. Causata dall’aumento dei prezzi di beni di consumo essenziali, l’incremento delle tasse locali e una riduzione dei servizi pubblici, che possono portare a una diminuzione della qualità della vita per il ceto medio, che non si sente sufficientemente tutelato dal sistema.
- Perdita di status e opportunità. Il ceto medio si sente minacciato dalla crescente disuguaglianza sociale. La percezione che le opportunità di avanzamento sociale o economico siano limitate, o che le politiche pubbliche favoriscano tanto le élite quanto le classi meno abbienti, può alimentare il malcontento.

EFFETTI DELLO SCIOPERO DEL CETO MEDIO
L’impatto di uno sciopero del ceto medio può essere significativo, sia a livello individuale che collettivo, provocando:
- Rallentamento della crescita economica: se il ceto medio inizia a ridurre i consumi, a ridurre gli investimenti o a non partecipare attivamente al mercato, può provocare una contrazione della domanda interna, rallentando ulteriormente la crescita economica.
- Instabilità politica e sociale: un rifiuto o disinteresse crescente del ceto medio nei confronti della politica può portare a una disaffezione generale verso il sistema politico, con la crescita di movimenti populisti o di protesta, che non trovano rappresentanza nelle istituzioni tradizionali.
- Sfiducia nelle istituzioni: il senso di abbandono e di non rappresentanza nelle politiche pubbliche può generare una profonda sfiducia nei confronti dello Stato, delle politiche fiscali e della classe politica, alimentando il disincanto e la frustrazione.
LO SCIOPERO DEL CETO MEDIO NON È UNA NOVITÀ
Negli ultimi anni si è manifestato in vari contesti, come, a esempio, il movimento dei “gilet gialli” in Francia. Sebbene non sia stato esclusivamente uno sciopero del ceto medio, questo movimento ha avuto una grande partecipazione da parte di cittadini francesi che si trovano nel ceto medio e medio-basso, stanchi delle politiche fiscali e del costo della vita. Il movimento ha in parte riflettuto il malcontento di chi si sente oppresso dal sistema economico e da politiche fiscali inique.
La disaffezione al voto. In molti paesi, la disaffezione politica del ceto medio si traduce in una bassa partecipazione elettorale. Quando il ceto medio percepisce che la politica non risponde alle sue esigenze, molti scelgono di astenersi dalle urne, contribuendo a un abbassamento della qualità della rappresentanza politica.
Proteste in Italia e in altri paesi europei. Il malcontento del ceto medio, in particolare riguardo alle difficoltà economiche e alle politiche fiscali, si è tradotto in proteste e scioperi contro le tasse, le politiche di austerità e le disuguaglianze sociali. La frustrazione cresce quando il ceto medio non si sente adeguatamente supportato da politiche di welfare o di sviluppo economico.
Per affrontare i problemi che alimentano lo “sciopero del ceto medio”, è necessario attuare:
- Politiche economiche più inclusive: adottando misure che alleggeriscano il carico fiscale sulle classi medie, soprattutto se colpite dalla stagnazione salariale, garantendo maggiore equità e sostenibilità fiscale.
- Miglioramento dei servizi pubblici: investendo nella qualità e nell’accessibilità dei servizi pubblici (sanità, educazione, trasporti) per garantire che anche il ceto medio possa beneficiare di risorse adeguate, senza sentirsi penalizzato da inefficienze o tagli.
- Rafforzare il potere d’acquisto: implementando politiche per migliorare il reddito disponibile del ceto medio, come riduzioni fiscali, incentivi all’occupazione e politiche per aumentare le retribuzioni e le pensioni.
CONCLUSIONI
- Lo sciopero del ceto medio è un fenomeno che segnala la crescente frustrazione di una fascia della popolazione che si sente in difficoltà e marginalizzata dalle politiche economiche e fiscali.
- La riduzione del consumo, l’astensione politica e il disinteresse verso le istituzioni sono manifestazioni di una crisi di fiducia che può avere ricadute gravi per la stabilità sociale ed economica.
- Affrontare questo fenomeno richiede politiche economiche più inclusive, mirate a garantire equità, sostenibilità e benessere per le classi medie, evitando che siano costrette a “scioperare” dal sistema, anche in forme destabilizzanti.
- I Dirigenti potrebbero/dovrebbero farsi interpreti e protagonisti primari di questa forma di resistenza e protesta, appropriandosene anche per la sua conduzione sul piano politico, sociale e morale, anziché piangersi inutilmente sempre addosso senza alcun risultato tangibile.
15 aprile 2025