Il Paese di Ghino di Tacco

Pubbliche o private che siano, le rendite di posizione ci complicano la vita, inutilmente

Giuseppe Colombi

Consigliere ALDAI-Federmanager e componente del comitato di redazione Dirigenti Industria

Monti e valli

Immaginiamo che un bel giorno un utente del trasporto pubblico di Milano, metropoli di pianura, si trovasse a Genova o a Roma, ambedue città dall’orografia accidentata. Se per assurdo il nostro viaggiatore scoprisse che in quei contesti il biglietto dell’autobus si vende diciamo a 3 euro, forse rimarrebbe stupito.
Indipendentemente dalla qualità del servizio, che probabilmente non è la stessa nelle tre situazioni, quell’utente se ne domanderebbe la ragione. E se la risposta fosse che ciò dipende dalla conformazione orografica, poiché le pendenze rendono più complicato il servizio, penserebbe di essere al manicomio.
Se nel caso del trasporto urbano non è (ancora) così, questo è invece quanto avviene normalmente con le autostrade, la cui tariffa può essere legata alla geografia del tratto percorso, e alla presenza di gallerie. Il percorso Milano-Aosta (184 km) costa come Milano-Pesaro (362 Km). E tutti ci abbiamo fatto l’abitudine.
A pensar male, si potrebbe pensare che la ragione vera della differenza tariffaria sta nella forza e nella rapacità del concessionario.
I più anziani ricordano ancora quando il prezzo della benzina era stabilito per legge, ed era uguale in tutt’Italia: altri tempi, e oggi invece possiamo divertirci a cercare il distributore meno caro. Ma quelli di noi che più di altri hanno il “braccino corto”, sanno che comunque si deve evitare di far benzina in autostrada.
Qui infatti i prezzi dei carburanti sono aggravati da un indebito balzello che li può far lievitare anche oltre il 10%, appesantendo di decine di euro il conto finale del pieno.  
Tra l’altro, questo è davvero un eccellente sistema per guadagnarsi subito la stima e la fiducia dei turisti stranieri che in auto accedono al nostro Paese. Come primo impatto, non è davvero male…

Radicofani: la rendita di posizione

Forse che distribuire i carburanti in autostrada costa di più rispetto al resto della rete? O è colpa delle accise? Certamente no: anche questo è semplicemente un risultato dell’effetto “Ghino di Tacco”.
Ai tempi dei governi Craxi, rifacendosi alla memoria storica del taglieggiatore di Radicofani, si era così definito il potere di ricatto legato alla collocazione di un partito relativamente piccolo, ma centrale per la costituzione e la sopravvivenza dei governi. Si potrebbe definire, in altri termini, una rendita di posizione.
Di questa dovremmo parlare di più nel nostro Paese, perché essa permea ormai la gran parte della nostra esistenza di utenti, o consumatori che dir si voglia. Sulla benzina, i concessionari autostradali sembrano pretendere “il pizzo”. E c’è chi glielo ha concesso, regolarmente.
Passiamo ad altro: tutti noi veniamo assillati telefonicamente, a volte in modo aggressivo, da soggetti che ci propongono, quando non tentano di imporci, cambi dei contratti di elettricità, gas, acqua, telefono.
Anche aziende pubbliche che un tempo si caratterizzavano per rispetto dell’utenza si sono oggi adeguate ai tempi. Si prenda un qualsiasi marchio, anche glorioso, gli si posponga il suffisso “Energia” ed ecco fatto che si è creato “sul libero mercato” un vascello di pirati capace di proporre all’utente meno attento i contratti più assurdi. Se un benzinaio proponesse di acquistare la benzina presso di lui “a forfait”, forse pochi aderirebbero alla proposta nella certezza che non potrebbe essere conveniente, ma questa è la sostanza dei contratti che molti sottoscrivono con i vari marchi “Elettrogas-Energia”, salvo poi rendersi conto quanto più vantaggioso sarebbe stato rimanere nel “Contratto di maggior tutela” che, spesso dichiarato alla fine del suo percorso, in realtà continuerà ancora a esistere per almeno qualche anno.

Dal sarto, a contatore

Un’altra rendita di posizione particolarmente odiosa è quella dei call center a pagamento: sempre fantasticando un pochino, chi di noi andrebbe ad acquistare un vestito pagando a tassametro il tempo che trascorre nel negozio di abbigliamento?
Ebbene questo è quello che succede con molte aziende di trasporto pubblico. I biglietti ormai si acquistano, si modificano o si rimborsano dopo l’accesso a un call center che vi carica fino a un euro al minuto per informarvi che “gli agenti sono momentaneamente impegnati, si prega di restare in linea per non perdere la priorità acquisita”. E intanto gli euro corrono, quando per porre fine allo scandalo basterebbe una leggina di un solo articolo, come segue: “Nei servizi di pubblica utilità è vietato l’uso di call center a pagamento”.
A quel punto almeno, se si dovessero ancora aspettare settimane prima di trovare la linea libera e magari persino ottenere ascolto presso una nota azienda di trasporto aereo già oggetto delle nostre attenzioni, questo avverrebbe senza ulteriore aggravio, fermo restando che baracconi del genere alla fine non possono che chiudere, comunque.
Viene ancora da chiedersi che ne pensano i dirigenti locali… sempre molto silenziosi su questi temi.

Voce amica

Ormai anche le banche, a cui sono affidati i nostri risparmi, mostrano una crescente propensione a considerare il rapporto col titolare di un conto un inutile fastidio da evitare. Consegnare al proprietario i suoi soldi in contanti è una pratica che le banche considerano disdicevole, se non quasi illegale; molte agenzie non hanno più nemmeno la cassa presidiata. Così, se va bene, si può colloquiare con un Bancomat oppure infilarsi nel “numero verde” a risponditore automatico che, dopo sedici passaggi “digiti 1, digiti 9, prema zero…” vi rimanda all’inizio come nel gioco dell’oca, escludendo la possibilità di collegarvi con un essere umano. E questa non è un’esagerazione, ma la più recente esperienza dello scrivente con un noto conto telematico di larga diffusione. Non è anche questa una pratica scorretta derivante dalla solita rendita di posizione?

Il servizio è mio, e lo gestisco io

Qualcosa ci sarebbe da dire poi anche sulle condizioni e sul livello tariffario che ci vengono imposti. È accettabile che un’azienda pubblica di trasporto si comporti come Ghino di Tacco, rendendo quasi del tutto non rimborsabili i suoi biglietti, mediamente già più cari del 20-30% almeno rispetto al concorrente privato? E ancora, che decida di chiudere tratte ferroviarie per mesi e mesi accampando “esigenze manutentive” che un tempo non avrebbero comportato interruzione del servizio quotidiano? Persino l’alta velocità Roma-Milano, nota nel mondo per il viaggio “tra le due metropoli in meno di tre ore”, ha di recente aumentato il tempo di percorrenza di quasi mezz’ora per esigenze manutentive che, bontà loro, dovrebbero durare forse diciotto mesi. Magari, a questo punto, nei servizi pubblici sarebbe ora di ridare importanza all’utenza, e non solo al mero conto economico di fine anno, che comunque, sovvenzioni a parte, rimane quasi sempre in rosso fisso. Incidentalmente, non sempre dall’eliminazione del monopolio pubblico derivano benefici globali: in quest’anno di turismo ridotto a causa del virus, la Sardegna ha misurato pesantemente gli svantaggi connessi con la fine di un trasporto navale che ancora quarant’anni fa trasportava tutti sull’isola senza svenare nessuno. Su questo tema magari si potrebbe ritornare in futuro, col suffragio di qualche numerino interessante.

L’Autorità Garante

Ma i moderni Ghino vanno ben oltre: il sistema formalmente è dotato di tutte le garanzie. Senza entrare nei dettagli, sono probabilmente decine le agenzie nazionali preposte alla tutela degli utenti, che regolano i contratti, che si preoccupano della “privacy” (parola ferale…) fino al punto di proibire persino la tradizionale scolastica foto di classe, un tempo tra i ricordi più preziosi di noi vecchi.
Il meccanismo di costituzione di questi organi è lo stesso del CNEL, ente dichiarato da molti poco utile, ma tuttora vivo e vegeto. Si prende un certo numero di ex-parlamentari, più o meno trombati, qualche altro papavero con vere o millantate “esperienze nel settore”, li si dota di un palazzone romano, di almeno qualche decina di milioni di appannaggio annuo (gli emolumenti della prima linea sono di solito “da leccarsi i baffi”…), ed ecco insediata l’Autorità Garante.
L’efficacia reale di questi organismi è facilmente desumibile dalla lettura delle bollette elettriche e del gas, più volte modificate: a tutt’oggi questi documenti rimangono indecifrabili per la maggior parte degli utenti. Tanto al KWH (o m3) per tanti KWh  (o m3) consumati fa X più Y+Z di veicolamento e di spese fisse = Totale, rimane un obiettivo apparentemente irraggiungibile.
Non si può escludere che in qualche caso qualcuna di queste agenzie possa anche funzionare: di certo però la loro capacità di regolare il settore di competenza non può dirsi soddisfacente.

Che fare?

Non c’è da inventare nulla: gli utenti/consumatori devono organizzare una difesa comune. Ci si può avvalere delle molte organizzazioni esistenti, ma con atteggiamento prudente, perché anche tra quelle possono prevalere interessi che non sono prioritariamente quelli dei fruitori dei servizi.
Chi fa da sé fa per tre: in ALDAI ci stiamo provando. I tempi sono più lunghi del prevedibile e del ragionevole, ma, più o meno a breve, potremmo costruire uno strumento di difesa comune dei colleghi, specie quelli più anziani e in difficoltà. Sarà bene che torniamo a parlarne quando avremo completato l’iter dei contatti in corso.
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