Il vaccino contro l’altro virus
Mentre combattiamo la pandemia in atto, condividendo provvedimenti che limitano taluni nostri diritti e libertà o che ci impongono precisi comportamenti, per il tempo strettamente necessario, è tempo di renderci più attivi nell’impedire l’espandersi degli effetti politici collaterali del contagio.
Antonio Dentato
Non si possono sacrificare tutte le libertà in nome del principio di precauzione; concetto che, a sua volta, per riferirci alla vicenda pandemica che stiamo vivendo, si traduce nella necessità di trovare il giusto equilibrio tra gli strumenti che legittimano provvedimenti che limitano la diffusione del contagio e provvedimenti che, nel contempo, permettano una vita economica e sociale dignitosa, il rispetto dello Stato di diritto e della vita democratica.
Difficile, per qualsiasi Governo, fare nel contempo i due mestieri: premere sul freno dei rapporti interpersonali e sociali e spingere sull’acceleratore del rilancio dell’economia. Difficile, soprattutto per noi, nel nostro Paese, dove a questi problemi si sovrappone il dibattito su temi di grande rilievo giuridico, la cui più estesa trattazione andrebbe oltre l’articolo di questa Rivista. Qui ci limitiamo a dire, per quanto ci è dato comprendere, che appaiono sufficientemente convincenti le argomentazioni di quanti sostengono la legittimità dei provvedimenti adottati, in quanto trovano copertura in diverse norme della nostra Costituzione.
È vero: i nostri Padri costituenti, dei quali non pochi portavano ancora sulla loro “pelle” i segni delle leggi restrittive adottate nel “ventennio”, non se la sentirono di assegnare a qualcuno degli organi costituzionali la legittimazione a limitare o sospendere, in casi eccezionali, diritti fondamentali dei cittadini; questo, però, non significa che i provvedimenti che vengono ora adottati siano privi di copertura costituzionale. Basti qualche esempio.
La nostra Costituzione (art.16) dice che “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale” ma aggiunge anche che la legge può adottare limitazioni “in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”. E il successivo art 17 dice che la libertà di riunione può essere vietata “per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. Se poi leggiamo l’art.32, osserviamo che esso esplicita un concetto molto chiaro: che cioè la salute deve essere tutelata non soltanto come fondamentale diritto dell’individuo, ma anche nell’interesse della collettività. Il che significa che le condizioni di salute dell’individuo vanno prese in conto non solo nell’interesse del singolo ma anche ai fini della tutela della salute di tutti gli altri cittadini.
Possiamo dire, allora, che tutti i provvedimenti governativi che vengono emanati, mentre il virus imperversa nelle nostre vite, sono legittimati dalle norme costituzionali? Non proprio.
Questi provvedimenti, a leggere le opinioni di eminenti giuristi, possono essere applicati sempre che siano limitati nel tempo e che prevedano una scadenza; sono giustificati fintanto che non s'inverte il trend del contagio. Va anche considerato, intanto, il protrarsi e la recrudescenza della manifestazione epidemica. E allora, mentre diventa urgente rafforzare con uomini e mezzi la medicina territoriale, gli ambulatori, la ricerca (incomprensibili appaiono i ritardi nel decidere di utilizzare i 36 miliardi di euro da investire nella sanità pubblica che l’Europa ci mette a disposizione; al riguardo si veda in questa Rivista, 21 settembre 2020, Marcello Garzia, “Perché è necessario ricorrere al Mes”), ci si domanda anche se non sia opportuno l’emanazione di una legge che renda meno problematico il coordinamento fra poteri centrali e quelli regionali nel frastagliato nostro sistema sanitario, e specifichi, riassumendole, le finalità e le funzioni dei vari strumenti occorrenti per tutto il tempo in cui persiste l’emergenza. Sono anche questi, ovviamente, argomenti di dibattito. Dibattito che diventa più pertinente e puntuale ora, se si tiene conto che molte situazioni ed eventi sono gestite con i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M). Atti legittimi, provvedimenti adottati sulla base del Decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 convertito in L. 5 marzo 2020, n. 13.
Ma le fonti giuridiche che disciplinano più particolarmente provvedimenti eccezionali in situazioni di emergenza risalgono a tempi non sospetti. In particolare le fonti relative alle emergenze sanitarie sono nella legge n.833/1978 (art.32) e più specificatamente nel Codice di protezione civile (D.lgs. 2 gennaio 2018 n.1). In particolare si vedano: l’art.7 comma 1, dove, elencate le tipologie degli eventi emergenziali di protezione civile, alla lettera c) si richiamano le emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell'uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d'intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo…; e l’ art 24, comma 1 dove è detto che al verificarsi degli eventi calamitosi di cui all’art 7, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, e anche su proposta delle autorità territoriali, delibera lo stato d'emergenza di rilievo nazionale, fissandone la durata e determinandone l'estensione territoriale….
E, tuttavia, quelli adottati dal Governo, attualmente sono oggetto di pressanti critiche perché in questo clima di incertezze e tensione potrebbero indurre una sorta di reazione a catena, o meglio un circolo vizioso dove si alimentano a vicenda misure restrittive imposte dai governi e desiderio di sicurezza dei cittadini, e creare così un clima di assuefazione nel quale può diventare ordinario limitare libertà costituzionali e diritti fondamentali tramite strumenti normativi secondari, a prescindere dall’esistenza di effettive emergenze.
Come è evidente, l’argomento che, per cenni, abbiamo fin qui segnalato, vuole introdurre riflessioni su un tema di portata più generale e che maggiormente occupa il dibattito politico.
Un drammatico allarme
La preoccupazione più forte è che, per questa via, si possa rendere accettabile il diffondersi dell’altro virus che pure circola nel mondo. Un virus che non è meno pericoloso di quello che cammina con la pandemia. Le evidenze nascono da modelli di gestione politica che si vanno diffondendo qua e là nel mondo. Il sentimento della paura e le difficoltà della scienza a trovare rimedi rapidi contro l’espandersi del morbo hanno reso più disponibili le collettività ad affidare ai Governi la ricerca di formule più idonee a combattere “l’oscuro nemico”, anche a costo di vedere ridotte talune libertà e compressi diritti fondamentali.
Gli studiosi si interrogano se questo atteggiamento sia solo un’accettazione rapida di accantonamento della libertà per ottenere protezione sanitaria, una parentesi - potremmo dire - ovvero l’inizio di qualcosa di nuovo nel comportamento dei popoli. Il “virus” dello “Stato forte” (e l’identificazione simbolica con figure di riferimento), capace di fronteggiare meglio e in solitudine l’urgenza di epidemie, o di eventi simili, si è insediato in molte aree del pianeta. La pandemia ha fatto suonare un drammatico allarme. Che avverte di un possibile non meno pericoloso “contagio”. Contagio di ideologie dei “pieni poteri” o della sospensione delle garanzie costituzionali, della libertà dell’informazione e dell’espressione del dissenso politico.
Concorrono alla diffusione di queste ideologie fenomeni essenzialmente economici. In particolare, il fatto che quote sempre maggiori di PIL mondiale siano prodotte in Paesi che hanno spezzato ideologicamente il legame tra libertà politica e dinamismo economico. Nella situazione che viviamo, la caduta del PIL mondiale per l’anno 2020 e una ripresa inferiore alla perdita subita da singoli Stati per gli anni a venire, non è notizia da meritare solo l’attenzione degli esperiti economici. Perché la caduta del PIL, e in maniera così generalizzata, significa rallentamento generale della produzione della ricchezza e, nel contempo, minor lavoro e caduta dei redditi. Tutti aspetti economici che, anche nel timore di una seconda ondata di misure economiche restrittive, con conseguenti fallimenti e licenziamenti, alimentano spinte centrifughe; spinte e sollecitazioni che mettono a rischio, in particolare, i sistemi democratici. Tutti aspetti che domandano approfondite riflessioni e una massiccia dose di vaccino culturale che di quest’altro “virus “ne prevenga l’espansione. (Per approfondimenti su questi argomenti v. “Il mondo che verrà”, Quaderni del CNEL, 25/05/2020).
Mentre combattiamo la pandemia in atto, condividendo provvedimenti che limitano taluni nostri diritti e libertà o che ci impongono precisi comportamenti, per il tempo strettamente necessario, è tempo di renderci più attivi nell’impedire l’espandersi degli effetti politici collaterali del contagio.
È tempo di produrre un maggiore sforzo di comunicazione e formazione per dire e insegnare che è possibile contenere e sconfiggere la pandemia con gli antidoti che sono propri dei sistemi democratici: la diffusa consapevolezza che solo il rispetto delle norme di comportamento individuale e di protezione collettiva possono rendere meno gravosi e sopportabili provvedimenti restrittivi e prolungati periodi di lockdown; il buon governo dei sistemi sanitari; l’efficienza dei servizi pubblici; la cooperazione e la condivisione dei dati epidemici con gli altri Paesi, soprattutto i più vicini; la solidarietà come sistema sociale in grado di fronteggiare in maniera più penetrante e diretta la drammatica vicenda che stiamo vivendo.