Le buone battaglie dei pensionati

Possiamo attivare anche la nostra voce e collaborare alle iniziative che indirizzano verso la maggiore “trasparenza” le attività economiche del nostro Paese. Possiamo impegnarci in favore delle innovazioni tecnologiche che consentono le buone pratiche nelle attività finanziarie e commerciali.

Antonio Dentato 

Componente Sezione Pensionati Assidifer-Federmanager
Combattiamo le buone battaglie. Difendiamo i nostri diritti e, con essi, la nostra dignità, a fronte di quanti ci consegnano all’opinione pubblica come dei “privilegiati”, perché - dicono - percettori di pensioni non coperte dai contributi previdenziali. Non è vero, fake news che, purtroppo, appena sentite sono subito credute, come effetto delle manipolazioni che i sistemi di propaganda consentono. Inascoltate le smentite. Le nostre Rappresentanze sono riuscite a bloccare proposte palesemente incostituzionali. Si sono confrontate con la politica sui temi che, a loro volta, gli autori di questa Rivista hanno approfondito e divulgato. Hanno posto in prima evidenza i disagi e le crescenti esigenze economiche e sociali che si manifestano nel Paese: la questione demografica, le discriminazioni sociali; hanno affrontato il problema dei problemi: dove reperire le risorse per realizzare infrastrutture materiali e immateriali, incluse digitalizzazione, istruzione e formazione; migliorare i servizi, sviluppare la crescita. (Fra vari articoli, V. in questa Rivista, 1 agosto 2018: “F. De Renzo, Perché si pagano le tasse). Servono più entrate fiscali. Partiamo da qui. 

È costantemente oltraggiato il principio dell’equa distribuzione della pressione fiscale su tutti i cittadini: nessun rispetto per il dovere inderogabile di solidarietà sociale di cui il Paese ha urgentemente bisogno; una solidarietà in grado di far contribuire in maniera giusta, secondo la capacità contributiva di ciascuno (persone fisiche e giuridiche), al finanziamento della spesa pubblica. Al contrario: aumenta il numero di quanti le tasse non le pagano. E come “effetto collaterale”, quelli che le pagano, ne devono pagare sempre di più. 

L’internazionale dell’elusione fiscale è l’oggetto di una ricerca a livello mondiale svolta da un gruppo di economisti di diverse Università europee. (V. Gabriel Zucman e altri: The Missing Profits of Nations, 2019). Società multinazionali, in un anno (2016), hanno intascato 200Mld di dollari per effetto dello spostamento dei profitti (più di 650Mld) in paradisi fiscali. Analisi particolari dicono che, ogni anno, grazie a un complicato sistema di elusione, spostano dall’Italia verso i paradisi fiscali più di 24 miliardi di profitti. Sottraendo alle casse dello Stato qualcosa come 6 miliardi di euro. (Cfr. N. Bertoncello: Se i profitti delle multinazionali vanno in paradiso, in “lavoce.info” 01.10.19).
L’Italia della frode fiscale è raccontata nella “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva - anno 2019 - del Ministero dell’economia”. Si legge che l’evasione media (2014-2016) è di 110 miliardi l’anno. Di cui, oltre 98 miliardi di mancate entrate tributarie e quasi 12 Mld di mancate entrate contributive. Stima parziale, perché riguarda solo le principali imposte: IVA, IRES, IRPEF, addizionali locali, IRAP, IMU, TASI, accise sui prodotti energetici, canone RAI. Rappresentano circa l’87,5% del gettito tributario potenzialmente evadibile. Pur con questi limiti metodologici, siamo di fronte a una montagna di soldi che l’erario e l’Inps non incassano. Tra elusione internazionale e frode fiscale, alle casse dello Stato vengono a mancare circa 116Mld all’anno. (Fig.n.1). L’IVA è l’imposta più evasa in Italia. Nello stesso tempo, il nostro Paese è al settimo posto tra i Paesi europei dell’area occidentale quanto a pressione fiscale complessiva (comprensiva dell’ammontare delle imposte dirette, indirette, in conto capitale e dei contributi sociali in rapporto al Pil). (Nota: ci permettiamo ricordare che quando si parla di evasione (tax gap), si parla di importi stimati. Si fa riferimento al divario tra gettito teorico e gettito effettivo dell’imposta. Si tratta, pertanto, di un rapporto che definisce l’ampiezza dell’inadempimento dei contribuenti. Invece, per quanto riguarda la pressione fiscale, è bene tenere conto che si tratta di un indicatore medio. Il quale risulta dal rapporto gettito fiscale/PIL e rappresenta una media complessiva della pressione fiscale per tutti i tipi di reddito. Può accadere, perciò, che alcune categorie di contribuenti hanno un livello di tassazione superiore a quello rilevato, o anche più basso). 
Con la Figura n.2 ci proponiamo di esporre in maniera più semplice il concetto. Almeno questa è l’intenzione. Senza nessuna pretesa di voler rappresentare una correlazione fra i due fenomeni. E’ argomento troppo complesso questo per poterlo esporre in un articolo. Pertanto, non si possono trarre conclusioni affrettate. Ne discutono da tempo specialisti del settore. Ma meriterebbe un largo dibattito e riflessioni approfondite anche fra i cittadini, soprattutto in preparazione di quella Riforma del sistema fiscale sempre annunciata e mai portata a compimento. 

Che cosa si può fare?

Gli studiosi del settore dicono che si può bloccare la spirale di elusioni da trasferimenti nei paradisi fiscali. Pensano a un “catasto” mondiale dei patrimoni finanziari per poter seguire tutti i movimenti e, in casi anomali, intervenire con sanzioni. La prima azione da intraprendere sarebbe quella di riunire le banche dati dei titoli informatizzati (Cfr. G. Zucman, La ricchezza nascosta delle nazioni ADD Ed,2017, Kindle). E l’OCSE, in materia, punta alla trasparenza e alla certezza del diritto. L’Ue, a sua volta, ritiene indispensabile fermare la sotterranea concorrenza tra economie che si sviluppa a colpi di agevolazioni, esenzioni. (V. Parlamento europeo: Relazione sui reati finanziari, l'evasione fiscale e l'elusione fiscale (2018/2121-INI-). Operazioni difficili, però, perché è ancora troppo lontana l’unità politica dell’Europa, quella che potrebbe consentire anche una politica fiscale comune. Operazioni difficili per la lungaggine dei negoziati fra i Governi (28/27?). Ad aggirare queste difficoltà sembrano voler supplire alcune idee del noto economista francese Thomas Piketty. Che propone una struttura assembleare, da affiancare alle istituzioni europee, che possa decidere su alcune principali imposte comuni per ricavarne circa il 4% del Pil. Un gettito per finanziare un budget europeo a sostegno non solo di investimenti e crescita, ma anche per l'accoglienza e l'integrazione dei migranti. Idee che già furono diffuse nel “Manifesto per la democratizzazione dell’Europa”, nel mese di dicembre 2018, e che ora sono riprese, con più dettagli, nel nuovo volume di T. Piketty: “Capital et idéologie, pp. 1033-1037. Ed. Le Seuil, sept. 2019). In Europa il dibattito è molto acceso, tra favorevoli e contrari, a livello politico e accademico.

Per intanto il percorso più realistico, sul quale cercare intese, pare quello di trovare accordi sul miglioramento dei sistemi fiscali dei singoli Stati, sull’ottimizzazione dell’interscambio delle informazioni, e sugli interventi che facilitino le attività degli operatori economici. 

Cambiare gli strumenti operativi

Si racconta che Stewart Brand, un personaggio divenuto leggendario nel campo delle tecnologie informatiche, una volta abbia detto: «Molte persone provano a cambiare la natura degli umani, ma è davvero una perdita di tempo. Non puoi cambiare la natura degli umani; quello che puoi fare è cambiare gli strumenti che usano, cambiare le tecniche. Allora, cambierai la civiltà»: (Riferita in: A. Baricco, The Game, p.108, Einaudi, 2018). Non siamo del tutto d’accordo. Siamo più ottimisti sull’evoluzione della natura umana. Perché a definire i comportamenti delle persone sono talune variabili socio-culturali e politiche: l’educazione familiare, le iniziative di formazione dello Stato, una più diffusa cultura della legalità. Fattori che possono andare di pari passo con l’altra idea e che condividiamo: cioè che gli strumenti coi quali gli uomini devono operare hanno una funzione importante nel guidarli verso condotte più rispettose di obblighi cui sono tenuti. Nel rispetto della privacy di ciascuno possono essere strumenti per la migliore redistribuzione della ricchezza nel modo più legittimo e giusto: pagare tutti il dovuto fiscale. Per restare al nostro argomento, tutto è strettamente legato alla creazione di basi informative in grado di tracciare le transazioni. Per esempio: la dichiarazione dei redditi precompilata, la fatturazione elettronica, l’uso del Pos (acronimo dall’inglese: Point of sale), lo scontrino elettronico, i pagamenti tracciati in luogo del contante, i registratori di cassa telematici, ecc. 

L'altra buona battaglia dei pensionati

Combattiamo buone battaglie a difesa dei nostri diritti e della nostra dignità. Svolgiamo una buona attività divulgativa. Lo abbiamo detto prima. Ora, però, è giunto il tempo di fare anche qualcosa di più. Si tratta di insistere perché vengano realizzati i progetti che orientino le attività economiche verso la maggiore “trasparenza”. In maniera più concreta, possiamo fare queste cose: 
  1. disinnescare la “cortesia pelosa” di chi contrasta l’uso della moneta elettronica, adducendo come argomentazione contraria la scarsa attitudine delle persone anziane a impratichirsi delle tecnologie informatiche o, anche semplicemente, a utilizzare le carte di credito (dicono: i vecchi dimenticano il pin). (Non in nostro nome, grazie!). A parte il fatto che, a chi vuole, non è impedito utilizzare il contante, non può essere la pretestuosa tutela delle persone avanti negli anni il motivo fondamentale per rallentare l’ammodernamento degli strumenti di relazione nelle attività economiche;
  2. diffondere informazioni delle “buone pratiche” utilizzate nel commercio, nelle attività professionali e artigianali;
  3. promuovere iniziative, nel quadro delle attività di Federmanager/CIDA, dirette alla più diffusa utilizzazione degli strumenti informatici anche da parte degli anziani. 
Dalle innovazioni tecnologiche di cui abbiamo detto ne potrà derivare – a nostro parere - una più equa distribuzione delle risorse e un minor carico fiscale su quelli che finiscono per pagare sempre più tasse al posto di quanti non le pagano; sicuramente ne apprezzeranno i vantaggi gli operatori onesti, che subiscono gli effetti pregiudizievoli connessi all’alterazione delle regole di concorrenza.
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