Menzogne ideologiche

L’articolo “Prefetti, piloti e manager: i pensionati che resistono ai tagli previdenziali” pubblicato oggi da La Repubblica umilia la meritocrazia, alimenta l’invidia sociale e sostiene la persecuzione mediatica nei confronti della categoria sociale protagonista dello sviluppo del Paese.

 

Danilo De Stefani

Socio ALDAI - Federmanager 
Inizio la giornata della domenica 30 luglio con la lettura dei quotidiani e me la rovino subito osservando l’abilità del giornalista di turno nel costruire, con forbita dialettica ed esempi proposti ad arte, una visione completamente distorta della realtà. Ecco le prime quattro delle numerose falsità dell’articolo che puoi leggere cliccando "La Repubblica":
  1. Equiparare i vitalizi dei politici alle pensioni dei manager è di per sé scorretto e fazioso in quanto non esiste alcuna analogia in termini di contributi versati e retribuzioni differite rappresentate dalle pensioni dei manager, rispetto ai vitalizi dei politici. Le pensioni non sono privilegi, come qualcuno vorrebbe far credere per il proprio tornaconto ideologico o elettorale, perché rappresentano retribuzioni differite nel tempo risultanti dal riconoscimento del merito da parte del datore di lavoro e dai contributi versati, che lo Stato non può rinnegare applicando l’ideologia dell’uguaglianza pensionistica in nome della “dittatura sociale” in contrapposizione al riconoscimento del merito che rappresenta il riferimento delle società più evolute compresa quella cinese.
  2. Il sistema retributivo ha favorito soprattutto le classi più agiate” è la seconda falsità dell’articolo, almeno per quanto riguarda il management del privato, per il quale l’ipotetica applicazione del calcolo contributivo genererebbe più incrementi rispetto alle riduzioni, secondo le elaborazioni dichiarate da Federmanager. E allora non mi meraviglierei se il giornalista “Robin Hood” di turno proponesse di non applicare l’ipotetico ricalcolo contributivo ai manager che ottenessero un vantaggio dalla sua applicazione. Ricordo poi che lo stesso Boeri ha dichiarato che l’INPS non dispone delle necessarie informazioni per il ricalcolo contributivo e quindi si vuole proprio alimentare ad arte una sollevazione mediatica con evidenti finalità elettorali, che è doveroso stigmatizzare. 
  3. La terza falsità sta nella parola “potuto” della frase “ben tre milioni di lavoratori hanno potuto lasciare all'età di 58 anni con una pensione media di quasi 2 mila euro lordi al mese”, perché il giornalista avrebbe dovuto usa il termine “dovuto”. Infatti per evitare crisi aziendali e fallimenti sono stati imposti ai lavoratori programmi ponte per anticipare la pensione. Una situazione ben diversa rispetto alle baby pensioni maturate dagli insegnati con 15 anni e sei mesi per raccogliere il consenso elettorale. Se si volesse applicare il contributivo sarebbe doveroso pubblicare le informazioni sulla percentuale di decurtazione delle baby pensioni. Quanto si dovrebbe decurtare la pensione degli insegnati con 15 anni di contributi percepita a partire dai 40 anni di età ? Certamente non del 20 o 30%, ma ben oltre l'80 % ! O i dipendenti pubblici sono una categoria “protetta”, alla faccia della giustizia sociale ? Che dire poi dei 5 anni di contributi e stipendi concessi in questi giorni a decine di miglia di dipendenti bancari per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, programmi finanziati dai generosi contributi statali dei quali i mezzi di comunicazione tacciono ?
  4. Nell’articolo si danno “letteralmente i numeri” per alimentare con populismo gratuito l’invidia sociale ed il consenso nei confronti di proposte politiche che distruggerebbero le basi fondamentali del diritto. Tutti gli esempi indicati nell’articolo sono il risultato di leggi e provvedimenti dello Stato, che se lo stesso Stato smentisse a posteriori alimenterebbe un generalizzato senso di sfiducia interno ed esterno con un rischio di lievitazione degli interessi sul debito che potrebbe aumentare oltre 100 miliardi l’anno. Inoltre la fiducia dei giovani nel sistema pensionistico andrebbe a zero perché la loro pensione non sarebbe frutto di regole stabili bensì della cassa dello Stato e degli umori del momento e l’unico modo di garantirsi la pensione rimarrebbe il risparmio in proprio, … magari in nero.
Penso che i quattro commenti siano sufficienti a mettere in evidenza la faziosità e il rischio per il Paese di tali proposte.
Questi articoli hanno il sapore dell’inquisizione nei confronti di specifiche categorie sociali con il preciso disegno di nascondere i veri problemi del Paese. Con il falso luogo comune dell’equità, l’articolo ha il solo fine di alimentare la persecuzione nei confronti della classe media riproponendo le gesta di “Robin Hood” in un contesto che non ha più nulla a che vedere con la contea di Nottingham, perché oggi viviamo in democrazia e lo Stato, al contrario della indicata contea, ha accumulato un patrimonio di debiti, e non di ricchezza, per mantenere la metà della popolazione che non versa un euro di contributi.
In altri Paesi le pensioni hanno più pilastri per ridurre i rischi, mentre in Italia esiste di fatto solo un pilastro, la pensione dello Stato, e le ideologie politiche dimenticano la differenza fra le imposte e i contributi. In altri Paesi non esistono articoli analoghi perché le pensioni statali hanno prevalentemente obiettivi sociali e la maggior parte del monte pensioni è gestito da piani previdenziali aziendali e personali. Lo stesso giovane che in Italia percepisce un netto di 1.300 €, trasferito in Svizzera ottiene un netto di 3.900 € per pagarsi la previdenza e la sanità che preferisce. Chi ha provato non torna indietro ed è ora che gli Italiani ne siano consapevoli.
La stampa italiana si occupa più di campagne mediatiche per alimentare le tirature che di argomenti per favorire la crescita economica e valoriale del Paese. Invece di promuovere una informazione oggettiva sulle iniziative necessarie per accelerare lo sviluppo, aumentando le opportunità di lavoro e riducendo l’evasione e gli sprechi, cioè le vere priorità del Paese, si affida alle ideologie e agli scandali costruendoli ad arte.

Aggiungo che il Prof. Alberto Brambilla ritiene la legge approvata alla Camera sui vitalizi demagogica e di dubbia costituzionalità, come è possibile leggere nella sua nota "La "solita Italia del retroattivo": l'addio ai vitalizi tra demagogia e incostituzionalità".

Le finanze pubbliche non permettono di scherzare con il fuoco della mancanza di fiducia e la coesione sociale e l’articolo La Repubblica di stamane rischia di accelerare la deriva verso il modello greco.
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