Controcorrente: e se proponessimo Pubbliacqua?

Con i cambiamenti climatici, l’acqua, un bene primario trascurato da decenni, è diventato una risorsa scarsa e costituisce un problema da affrontare. Come ?

Giuseppe Colombi 

Consigliere ALDAI Federmanager
Federmanager in questi mesi è impegnata in un lodevole lavoro, che a livello nazionale coinvolge molti colleghi,  di definizione  di strategie industriali settoriali. In particolare molti, peraltro giustamente, si occupano di “Industry 4.0”, perché il paese deve tenere il passo con le più avanzate realtà internazionali del nostro tempo. Difficile però occuparsi di settori innovativi ad alta tecnologia quando, per così dire,  si vestono pantaloni in cui le toppe prevalgono sul tessuto originale…
Allora,  a volte, chi ha già una certa età  preferisce guardare indietro, alla storia. 
Così, in quest’estate rovente, non si può non pensare che, duemila anni fa,  uno dei  settori più all’avanguardia dell’impero romano era quello degli acquedotti.  “De aquis”, l’opera di Frontino,  ci ragguaglia su quelle meraviglie dell’epoca,  che restarono operative per secoli: ci sarebbero volute le invasioni barbariche per interrompere il flusso. Il confronto col tempo presente è proprio sconfortante.
Ma se la siccità 2017 ha posto Roma e la sua disgraziata società di distribuzione sulle prime pagine di tutti i giornali, perché non cogliere anche la notiziola del “Gazzettino Padano” radiofonico che Zavattarello, verdissima località appenninica dell’Oltrepo Pavese,  per insufficienza delle sorgenti  viene alimentata con le autobotti?  
Più di mezzo secolo fa, quando ancora in molte località sperdute si illuminava con le candele, una grande operazione “keynesiana”, quella dell’Enel ( o della nazionalizzazione dell’energia elettrica, come si diceva allora), permise all’Italia un balzo nella modernità. E la corrente, la stessa in tutto il paese, allo stesso prezzo (ragionevole) per tutti, fu disponibile dalla Vetta d’Italia a Capo Passero. Si potrebbe eccepire che in qualche isoletta non arrivò proprio subito, ma sono dettagli.
Un sistema complesso fu messo in piedi, integrato prima a livello nazionale e poi interconnesso al sistema europeo.  E modernizzato, reso capace di superare passaggi complessi quali quello del cambio di orientamento nazionale sul nucleare . Comunque la si pensi, Enel, costituita integrando strutture private preesistenti, ha condotto il paese fuori da quelle vicende, senza lasciare eredità pesanti.
Ora, che in un cavo elettrico passi corrente o in tubi passino gas, petrolio o magari vino (anche quello…), le problematiche coinvolte sono sostanzialmente le stesse, quelle delle reti di distribuzione. Con tecnologie specifiche, normative, sistemi di gestione, problematiche manutentive che in buona approssimazione sono dappertutto le stesse, che ci si trovi a Vercelli, Cerignola o Alghero. 

E di recente, con il fotovoltaico e l’eolico si è persino riusciti a rendere le reti  “bilaterali”, cioè capaci non solo di fornire energia, ma anche di assorbire quella prodotta localmente.  In genere, si tratta di sistemi che, sebbene diffusi capillarmente in modo decentrato sul territorio, si giovano di un approccio unitario ed omogeneo, a livello almeno nazionale.
Ma allora, perché non anche l’acqua?
Qualche anno fa, un referendum molto partecipato, per lo scorno di qualche politico cialtrone che ne temeva l’esito, ha sancito che l’acqua dovesse essere considerata un bene comune da rendere disponibile a tutti, senza lucrarci sopra profitti, proteggendola, evitando sprechi, usi scorretti ed interessi privati più o meno inconfessabili. 
Il popolo italiano ha assunto una posizione che, mai come in questo caso, si può definire controcorrente.
Per attuare questa determinazione chiara, negli anni, nulla è stato fatto. Anzi, qualcuno ricorderà le lotte di Latina e provincia per contrastare le sopraffazioni di grandi gruppi internazionali venuti a commercializzare l’acqua di quei territori.  Magari con qualcuno che, a livello centrale,  commentava che “Lo vuole l’Europa, questo è il mercato”.  
Nell’area viterbese molti comuni hanno un grosso problema di presenza di arsenico, nel Veneto ci sono aree in cui siamo ormai all’avvelenamento endemico da residui chimici.  In Lombardia si viaggia spesso con i nitrati ai limiti, per non parlare dei composti clorurati. 
Come gestire dunque il sistema idrico nazionale? 
Può sembrare bizzarro e paradossale, di questi tempi,  prospettare l’ennesimo “carrozzone”  centrale.  Ma questo è proprio un caso in cui una gestione unitaria potrebbe portare grandi vantaggi. 
Si potrebbe organizzare il monitoraggio continuo delle sorgenti secondo standard nazionali, integrare le risorse disponibili, garantire quindi all’acqua una qualità media più adeguata, dando certamente garanzie che probabilmente oggi non sono sempre disponibili a livello locale. E ci sarebbe un gran lavoro di rifacimento delle reti, che attualmente perdono la metà di una risorsa sempre più scarsa.
Un ente unico potrebbe costruire una rete primaria nazionale integrata, capace di bilanciare gli squilibri di disponibilità, saprebbe intervenire in tempo reale con una propria struttura manutentiva più o meno decentrata, per garantire anche a Palermo che d’estate, in tutta l’estate, non si abbia l’acqua a giorni alterni.
Anche riguardo alla dimensione delle opere, immaginando di alimentare l’intera Sicilia dal continente, e non ce ne sarebbe nessuna necessità, ragionando a spanne, basterebbero un paio di condotte da due metri di diametro per portare ai  siciliani duecento litri/ giorno a testa. Che poi nell’isola, se non la sprecassero nelle reti colabrodo, l’acqua l’avrebbero senza bisogno di importarla.

Sempre procedendo con la fantasia, l’ente dell’acqua, che potremmo provvisoriamente chiamare Pubbliacqua, ( L’acronimo ENRIT, Ente Nazionale Risorse Idriche e Trattamento sembra un po’ fuori tempo) potrebbe farsi carico non solo di costruire e razionalizzare ma addirittura di operare in modo professionale anche  gli impianti di trattamento reflui liquidi degli oltre ottomila comuni italiani, di cui la gran parte, specie nel Mezzogiorno ma non solo, non funziona proprio e scarica inquinamento nei nostri mari.
Allora, concediamo pure a Pubbliacqua a una bella sede centrale romana, tanto di palazzoni pubblici sfitti disponibili ce ne sono una caterva,  immaginiamo un’organizzazione con capacità interne di ingegneria, ricerca e sviluppo, funzioni amministrative, acquisti centralizzati, persino un ufficio stampa, possibilmente più piccolo di quello della regione Sicilia.
Allarghiamoci poi a quindici strutture regionali di amministrazione e riscossione, pronto intervento, manutenzione, gestione della rete e degli impianti di trattamento. Ebbene, considerando tutte le strutture comunali, di consorzio, di comprensorio, di provincia, regione e via dicendo che potrebbero essere eliminate, non se ne trarrebbe una razionalizzazione semplice quanto doverosa?
Quante risorse potrebbero essere prima risparmiate e poi meglio spese?
Il problema è che si smonterebbe tutta quella struttura di centinaia di migliaia di persone che, a livello politico, amministrativo, gestionale ed  operativo,  operano negli innumerevoli acquedotti locali e che solo in parte troverebbero riassorbimento nel nuovo sistema. 
Con l’approccio burocratico legalistico che caratterizza ed ormai ha paralizzato il nostro paese, si può scommettere che Pubbliacqua, così come qui prospettata, non potrebbe mai nascere. Ad impedirglielo basterebbe probabilmente un pugno di “governatori” regionali contrari.
Il sistema vigente si difende in modo automatico, rottamare è facile a dirsi, ma è più semplice non provare nemmeno a farlo seriamente. E se poi, come riporta il Sole24Ore, il nostro sistema pubblico è uno tra quelli che funzionano peggio in assoluto, tanto peggio per i cittadini.
Al più, si può promuovere una consorteria rispetto ad un’altra: ma che non si tenti davvero di razionalizzare. Quelle sono cose da ingegneri, che di solito di politica capiscono poco.
E tra vent’anni,  una futura Goletta Verde ci spiegherà che la metà dei reflui italiani è scaricata in mare senza trattamento: chissà che buone cozze ne deriveranno…
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