Pochi milioni dal taglio delle pensioni svelano le reali motivazioni
La proposta di riduzione delle pensioni va giustificato per motivi contributivi, serve solo per fare cassa, oppure giustizia sommaria ? I pensionati sono ben disposti a fare solidarietà, purché questa sia condivisa da tutti, tutti, ma proprio tutti. I prelievi discriminatori e non giustificati da abusi previdenziali dimostrati non sono accettabili.
Michele Carugi
Consigliere e componente del comitato pensionati ALDAI - Federmanager
La campagna anche denigratoria nei confronti dei pensionati così detti, con termine volutamente dispregiativo, “d’oro” prosegue ormai da anni; fu iniziata sull’onda dell’invito alla ribellione contro “la casta” che velocemente si trasformò da messa in evidenza di situazioni di privilegio ad astio nei confronti di qualsiasi gruppo che si distaccasse economicamente o per la natura delle attività svolte, dalla media.
Con una “mossa del cavallo” finalizzata a confondere le idee, l’attenzione venne spostata dalla natura della posizione (monopolistica, di controllo delle regole, dominante, frutto di auto-legislazione) all’entità della posizione economica. Così le pensioni cominciarono per esempio a essere accomunate, nella narrazione tendenziosa di molta stampa, ai vitalizi dei parlamentari, senza alcun riguardo a due punti di differenza fondamentali: Il parlamento si era dato in modo auto referenziale le regole privilegiate di pensionamento, mentre agli altri pensionati erano state applicate regole decise da altri e la sconnessione tra prestazioni e contributi che era stridente per gli ex parlamentari non lo era per le pensioni più alte, con qualche eccezione.
Il fatto che, come vedremo, i benefici del sistema retributivo si attenuassero fino ad azzerarsi con il salire dell’importo delle pensioni non suggerì alcun ripensamento a coloro che, con metodi propagandistici anche di bassa lega, continuarono a inculcare nell’opinione pubblica l’idea che esistesse una categoria privilegiata di pensionati particolari da odiare e punire.
E così siamo arrivati ai giorni nostri, quando la discussione sul taglio alle pensioni più alte, dato come ineluttabile, equo e fondamentale, verte sul come: calcolo attuariale basato sull’età di pensionamento, contributo di solidarietà, blocco della perequazione, un mix di questi interventi.
Tutti coloro che caldeggiano una riduzione di queste pensioni, temporanea o permanente che sia, si sbizzarriscono in suggerimenti e calcoli sul gettito che deriverebbe dai diversi interventi, ma nessuno spiega preliminarmente, dettagliatamente e in modo convincente, il perché questo intervento si abbia da fare; al massimo viene ripetuta fino alla noia la favola dei privilegi da abbattere e della iniquità generazionale, senza che però venga mai supportata da spiegazioni razionali.
Le ragioni che non vengono spiegate potrebbero essere logicamente di due ordini: la correzione di storture e/o abusi o la necessità di fare cassa.
Come noto, la narrativa del Movimento 5 Stelle, sull’onda di quanto iniziato dall’attuale presidente dell’INPS quando ancora non lo era, è che pensionati così detti “d’oro”, godano tutti di privilegi innominabili che vanno a scapito delle pensioni future; il ministro Di Maio è arrivato addirittura a dichiarare che i pensionati fregano le risorse ai giovani e che non hanno versato neppure un decimo dei contributi necessari a giustificare le loro pensioni, con ciò implicitamente dando del truffatore a qualche decina di migliaia di pensionati e dimostrando ancora una volta la sua totale ignoranza in materia previdenziale e in matematica.
In realtà, prescindendo dal fatto che i pensionati non si sono auto determinati le pensioni, ma se le sono viste assegnare in base a regole decise altrove, la storia dei privilegi da abbattere è da chiarire molto bene e da vedere su uno sfondo diverso.
Per fare ciò bisogna capire i perché e i meccanismi del sistema retributivo; esso fu introdotto nel 1969 dalla riforma Brodolini, legge n.153, con gli scopi principali di tutelare gli occupati nella transizione alla pensione e di garantire ai cittadini sprovvisti di reddito la pensione sociale, obiettivi che il sistema contributivo in vigore fino quel momento non consentiva, legando le prestazioni ai contributi versati.
Il meccanismo di conversione delle ultime retribuzioni in pensione fissò un valore dell’80% (da raggiungersi a regime in sei anni) a fronte di 40 anni di anzianità di servizio. Ciò era basato su un coefficiente del 2% dell’ultima retribuzione per ciascun anno di anzianità, ma solo fino a redditi equivalenti a circa 25.000 € di oggi; per redditi superiori vigeva un sistema solidaristico di coefficienti tendente a spostare risorse dai contributi delle pensioni più elevate a quelle più basse.
In ragione di questo schema, il sistema retributivo ha favorito negli anni soprattutto le pensioni più basse e, tra quelle alte, quelle che hanno beneficiato di regimi particolari o di scatti di carriera (sospetti) negli ultimi anni di attività, ancorché numerose.
Su La voce.info, a fine 2013, nel pieno dell’offensiva del Prof. Boeri contro il sistema retributivo, fu pubblicato un articolo di Stefano patriarca, scritto a quattro mani con il figlio Fabrizio, nel quale era pubblicato un grafico dove veniva riportato l’andamento dello squilibrio tra calcolo contributivo e retributivo. A testimonianza della solidarietà insita nelle modalità di calcolo del sistema retributivo, il grafico mostra come il massimo dei benefici fossero ottenuti da pensioni originate da redditi intorno ai 5.000 € lordi/mese, vale a dire pensioni di importo lordo intorno a 3.500 €/mese (2.800 € netti) e come da lì in poi il beneficio tendesse a diminuire rapidamente fino ad azzerarsi per le pensioni superiori a circa 5.800 € lordi mese (circa 3.800 e netti), originate da ultimi redditi intorno ai 10.000 € lordi mensili.
A fronte di tutto ciò, le pensioni superiori a 4.500 € netti/mese, che sono quelle che il governo vuole aggredire in una qualsiasi maniera, hanno avuto dai calcoli retributivi poco o nessun vantaggio, sempre salvo eccezioni che però andrebbero valutate approfonditamente e senza generalizzazioni.
L’argomento del privilegio quindi non regge e, anzi, ove si volessero realmente rivedere i benefici passati a scopo equitativo bisognerebbe guardare alle pensioni basse e (soprattutto) medie.
Sgombrato il campo dalle pretese equitative e da privilegi che nelle pensioni elevate esistono solo in parte, resta l’altro motivo potenzialmente cogente a intervenire su di esse: la necessità di fare cassa generando risorse da utilizzare per motivi solidaristici immediati (incremento delle pensioni più basse) e per le future pensioni dei giovani.
Affinché un intervento sulle pensioni superiori a 4.500 € netti/mese potesse avere una consistenza tale da costituire una risorsa di qualche significato nel panorama pensionistico complessivo occorrerebbe che le stesse fossero tagliate in maniera ferina, con percentuali di decurtazione inammissibili; le stime di tutti gli esperti, basate sulla proposta di ricalcolo attuariale basato sull’età di pensionamento come delineata nella proposta di legge 1071 giacente in commissione lavoro e, parrebbe, accantonata, che già comporterebbe tagli dell’ordine anche del 25 % e quindi insostenibili, indicano invece gettiti compresi tra i 130 e i 200 milioni di euro all’anno e pertanto irrisori ai fini di un incremento delle pensioni minime. Perciò, ai fini di realizzare un gettito di qualche utilità occorrerebbe abbassare di molto la soglia al di sotto della quale le pensioni sarebbero esenti dall’intervento, anche in considerazione che la platea numerica delle pensioni interessate aumenta mano a mano che si scende con la soglia; in questo caso il gettito sarebbe ottenuto non tanto per l’entità percentuale dello stesso sulle singole pensioni, ma per il numero delle persone coinvolte. Chiunque caldeggiasse una soluzione di questo genere dovrebbe anche avere il buon gusto di precisare che l’intervento sarebbe sulle pensioni d’argento e anche su qualcuna di bronzo.
Prescindendo comunque dalla quantità di pensionati coinvolti e dalla soglia, qualsiasi prelievo di questo genere, sotto qualsiasi forma esso venisse attuato, avrebbe una natura puramente fiscale in quanto motivato esclusivamente dall’entità del reddito pensionistico e senza alcuna connessione a ragioni previdenziali, non essendo sostanziata dal legame prestazione-contributi. Tale prelievo fiscale, ancorché destinato specificamente a solidarietà intergenerazionale o verso i ceti meno abbienti oppure genericamente al bilancio dello Stato in una situazione di crisi economica ha un senso e ci sono esempi storici quale il famoso prelievo notturno del governo Amato sui conti correnti; ma una condizione sine qua non un prelievo del genere diverrebbe una misura vessatoria nei confronti di un’unica categoria, è che venisse applicato a tutti i redditi di qualsiasi natura, nella stessa misura. Un contributo di solidarietà basato sui redditi o sull’ISEE (nel qual caso assumerebbe più l’aspetto di una patrimoniale) non troverebbe certamente alcuna resistenza da parte dei pensionati i quali non sono affatto dei parassiti egoisti arroccati sulla difesa di privilegi, ma non vogliono essere discriminati né tantomeno essere trattati da truffatori da esponenti del Governo.
E comunque, in un Paese civile prima di tagliare le pensioni, per pochi milioni di euro, si devono stanare i miliardi del sommerso.