Riflessioni sul “Paese che non premia chi ha voglia di lavorare”

Gli articoli che vengono pubblicati su questa Rivista stimolano riflessioni e, in via immediata, possono essere riproposte all’autore e agli altri lettori che potrebbe essere la base per ulteriori approfondimenti e dibattiti. Con tale spirito l'autore ha ripreso l'articolo sul "lavoro in Italia".

Antonio Dentato 

Componente Sezione Pensionati Assidifer-Federmanager
Mi riferisco ora all’articolo di Franco Del Vecchio “Non è un Paese che premia chi ha voglia di lavorare”, focalizzato in particolare sul problema dell’occupazione in Italia.  Emergono, connesse alla questione centrale, quelle in grado di aprire il fronte ad altri dibattiti. Che poi si legano anch’essi al tema sul quale l’articolo ci chiama a riflettere. Come la questione relativa al dovere della politica di creare benessere adottando misure prioritarie. In maniera più specifica: ”la riduzione e la semplificazione della tassazione, la riduzione del cuneo fiscale, lo sviluppo di infrastrutture, l’aggiornamento del sistema educativo, la lotta all’evasione, la competitività complessiva del sistema Paese riducendo i costi dell’apparato burocratico, insomma una radicale semplificazione, razionalizzazione e allineamento della funzione pubblica alle prassi più diffuse in altri Paesi Europei.” Di tutte queste, mi soffermo sul tema prioritario dello sviluppo delle infrastrutture.
Mi domando se, come sistema Paese e nei confronti internazionali, sia corretto, su questioni di tale portata, ogni volta tornare d’accapo.  Certo, è giusto che si faccia un analisi costi/benefici: che siano coinvolte, preliminarmente, nella decisione, tutte le parti interessate.   Ma una volta presa la decisione e avviati i lavori, ci si si può bloccare ad ogni cambio di governo?  Specialmente se le opere sono frutto di accordi internazionali, e quando altri Paesi hanno fatto affidamento sulla serietà dell’impegno dei Governi del nostro?  
La domanda che dobbiamo porci è la seguente: quale Stato, in futuro, sarebbe disponibile a sottoscrivere con l’Italia l’esecuzione di un progetto infrastrutturale che comporti investimenti finanziari notevoli, a lungo termine?  Nella lista dei costi andrebbe messa la volatilità degli impegni politici assunti dai nostri Governi. Ogni progetto internazionale in cui potrebbe partecipare l’Italia indurrebbe gli altri ad includere anche il “rischio Italia”. Con incremento complessivo dei costi dell’opera.
E questo vale anche per le imprese. Sarebbero disponibili un domani ad un impegno che comporterebbe progettazione, investimenti finanziari, acquisti di macchinari, allestimenti di cantieri, assunzione di personale per molti anni?  A quest’ultimo riguardo si ripropone la criticità occupazionale.  Come assicurare lavoro a centinaia, forse migliaia di lavoratori, per anni, se a ogni mutamento di governo ci sarebbe il rischio di bloccare l’esecuzione dell’opera e mandare a casa migliaia di persone che avevano affidato la vita delle loro famiglie alla continuità di un progetto da eseguire nel corso di molti anni? Anche questo è un costo sociale che non dovrebbe essere escluso dal calcolo costi/benefici.
E c’è, infine, la responsabilità specifica delle scelte strategiche della politica.  
Prendiamo la costruzione di infrastrutture di comunicazione terrestre: stradali, ferroviarie. Quando si parla di costi/benefici, è sufficiente decidere prevalentemente in rapporto alle previsioni di sviluppo del traffico? O non è forse necessario partire da un altro approccio? Ad esempio, partire dalla politica del territorio. Vale a dire dai progetti che si intendono promuovere per un suo sviluppo sostenibile. E’ su questo piano che la politica è chiamata a fare le sue scelte e ad assumersi le relative responsabilità. Decidere quale protezione intende dare al territorio dal punto di vista ambientale, mentre si intensificano gli scambi commerciali; decidere se e dove consentire insediamenti urbani, quali tipologie di insediamenti produttivi favorire; decidere sull’integrazione di uno sviluppo armonico comune di Regioni transnazionali aventi vocazioni economiche turistiche e culturali omeogene.
A questo riguardo va ricordato che è su queste basi che molte aree europee hanno maturato il loro sviluppo. E’ stato il frutto di molti studi, approfondimenti, progetti, via via elaborati fin dagli anni ’70, e conclusi in una documentazione molto importante della Commissione europea, sintetizzati nel volume “Europe 2000 +. Coopération pour l'aménagement du territoire européen, 1994”. 
In ogni caso, quali che siano state le ispirazioni di richiamo (tra molte, le più significative: la dorsale economica e demografica dell'Europa occidentale, detta anche “banana blu” per la  somiglianza alla forma curvata di questa dorsale e per il riferimento al colore dominante della bandiera dell'Unione europea, presente nel disegno di presentazione; ovvero il policentrismo dello sviluppo europeo, il c.d. "grappolo d'uva europeo" per significare  piccole o grandi agglomerazioni urbani e presenze industriali), l’obiettivo è stato sempre quello dell’ampliamento e della progressiva integrazione sociale ed economica dei territori europei, valorizzandone  le risorse specifiche.

Per concludere. La preparazione di progetti infrastrutturali, specialmente se d’importanza internazionale, è stata disposta a seguito di lunghi studi e valutazioni di possibili sviluppi del territorio europeo: tutti ai fini della migliore integrazione delle economie e dei popoli europei.  Occorre domandarci: quale impatto sullo sviluppo economico del Paese (industrie, indotto), e quindi anche sull’occupazione (tecnici, maestranze), potrebbe derivare dall’abbandono di una concezione di integrazione territoriale per lunghi anni studiata e che ha portato vantaggi a molte aree degli altri Stati che l’hanno praticata? Anche questo è un aspetto che andrebbe considerato nel calcolo dei costi/benefici della realizzazione delle infrastrutture terrestri. 
Un aspetto che certamente non sfuggirà alla rappresentanza Federmanager che, partecipando alle sessioni   di lavoro delle Istituzioni comunitarie di Bruxelles, avrà occasione di avanzare proposte e monitorare anche gli interventi finanziari e legislativi nel campo delle infrastrutture. (Cfr. Strategia e visione Federmanager per accelerare il cambiamento, in “Dirigentindustria”, Dicembre 2018).
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